Dopo una gita al Gran
Sasso o dopo un periodo di intenso lavoro, gli artisti di Francavilla si
recano spesso a far visita ai più cari amici e "compari" di Michetti:
Simone e Vinca Sorge Delfico che abitano a Nereto, un paese operoso
situato al centro della Val Vibrata, in provincia di Teramo.
Lui è un grande
proprietario terriero ospitale e generoso che accoglie gli amici alla
sua "mensa fiorita" rallegrata dal "vino di topazio e di rubino" e
"illuminata magnificamente" dal sorriso della padrona di casa – parola
dell’immaginifico d’Annunzio, subito conquistato dalla bella e raffinata
Donna Vinca.
Alla giovane e nobile
teramana discendente del filosofo illuminista Melchiorre Delfico, egli
scrive una serie di lettere traboccanti ammirazione e seduzioni.
Ma l’opera di conquista
del poeta, che raggiunge il culmine negli anni 1887-’88, non va proprio
secondo le speranze del consumato dongiovanni.
Egli ammira Vinca sin da
quando aveva sedici anni e seguiva con lo sguardo la sua figuretta
sottile che usciva da Villa Delfico di Montesilvano - una villa
inaccessibile al poeta, come tutte le dimore patrizie - e passeggiava
lungo il litorale.
"… Ero un fanciullo e
camminavo lungo la riva del mare con la vaga speranza d’incontrarvi…"
scrive il poeta a Vinca nel settembre 1888.
Colpito da quel nome
rarissimo "il nome di un fiore cupo e vellutato che cresce all’ombra
delle siepi" - la pervinca -, egli lo dà al personaggio di una sua
novella, Favola sentimentale, entrata poi a far parte della
raccolta Il libro delle vergini. Ma curiosamente, Vinca De Rosa,
l’avvenente e decisamente sexi zia di Cesare, che conquista cinicamente
il nipote e fa morire di crepacuore la sua innamorata, Galatea, è
l’opposto della riservata e religiosissima sposa di Simone che si ritrae
costantemente di fronte alle avances del poeta.
Che sia questa una sorta
di raffinata vendetta da parte dell’intraprendente poeta che si sente
rifiutato?
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Vinca Delfico a 18 anni |
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"Bella selvaggia" la
chiama scherzosamente Michetti che la ritrae nel 1887 come una ninfa del
bosco, con un tralcio d’edera sulla sula candida. L’ha dipinta già nel
1882, orata di trine, di fiori e di coralli, con in mano un ventaglio di
raso color avorio. Un ritratto non finito, giudicato troppo "frivolo"
dalla famiglia e messo da parte per lasciar posto a questo più aulico.
Ma entrambi, soprattutto il primo che svela come per magia la vera
natura di Vinca, romantica e naturalmente gioiosa, ci riportano alla
mente le parole del critico Francesco Netti:
"Il pennello di Michetti,
innamorato di ciò che sta facendo nascere sulla tela, carezza come una
mano le tempie, le guance, e il collo di una bella fanciulla e si posa
teneramente sulla sua spalla nuda come un bacio…".
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F.P. Michetti, Ritratto
di Vinca Delfico Sorge (1882) |
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F.P. Michetti, Ritratto
di Vinca Delfico Sorge (1887) |
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Il Maestro in realtà
nutre una grande ammirazione e anche un profondo affetto per una donna
così sensibile e colta che sa apprezzare come nessun’altra l’afflato
poetico delle sue pitture e dei versi di D’Annunzio, che sa cogliere
quell’ansia di nuovo che anima gli artisti del Convento.
Vinca diventa, a
dispetto della sua ritrosia, la Musa ispiratrice del cenacolo
michettiano.
Le sue apparizioni ai
concerti estivi e alle feste di Francavilla, registrate nelle cronache
mondane dell’epoca (anche in quelle dannunziane), fanno sensazione: gli
uomini portano in suo onore un fiore di pervinca all’occhiello
affascinati dalla sua freschezza e dalla sua raffinata eleganza.
Vinca è alta, pallida,
altera e sfuggente come la misteriosa nobildonna cantata nei versi di
Paradiso Perduto, la lirica dannunziana che farà poi parte della
Chimera con il titolo di Gorgon.
"… Qual segreta
attrazione è ne’ vostri occhi varianti come l’acqua profonda che chiuda
in sé strani tesori?" le scrive d’Annunzio nel settembre 1888.
Le sue parole ricalcano
maliziosamente l’incipit della lirica che appare per la prima volta
sulla Domenica letteraria del 23 agosto 1885:
"Ella aveva diffuso in
volto / quel pallor cupo che adoro. / Le splendea l’alma ne li occhi, /
quale in chiare acque un tesoro…".
A "Madonna Vinca" gli
artisti del cenacolo di Francavilla dedicano dipinti, libri, versi e
note. Tutti lasciano un segno tangibile della loro presenza a casa
Sorge, specie negli anni 1887-1888 in cui le loro visite si fanno più
frequenti.
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Castellamare Adriatico
(cartolina,1919) |
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Con le loro discussioni
sull’arte, i loro scherzi, i loro canti e i sogni di gloria, Michetti e
i suoi amici artisti rompono la monotonia della vita del piccolo paese
della Val Vibrata e soprattutto rallegrano l’animo di Vinca della quale
intuiscono la profonda solitudine interiore, in particolar modo
d’Annunzio che non si scoraggia di fronte alla barriera di severi
principi morali e religiosi dietro cui la bella padrona di casa nasconde
la sua natura romantica. Come di consueto è lui, il cronista e mentore
del cenacolo, a rievocare nelle sue lettere a Vinca i bei giorni di
Nereto la cui "memoria sarà assai lunga e assai dolce in tutti", le
serate passate ad ascoltare gli "incantesimi vocali" di Tosti, il mago
di Francavilla, le passeggiate per la Via Larga, fuori di Nereto, le
lunghe chiacchierate "sotto la pergola già carica di grappoli".
Ci sono tutti a godere
della calda atmosfera di casa Sorge dove affluiscono in gran copia i
prodotti della terra: Assieme a d’Annunzio e a Michetti sono ospiti di
Nereto Vittorio Pepe, Carmelo Errico, Alfonso Muzii, Costantino Barbella
che "passa le giornate intere nell’aer perso della fonderia" e Guido
Boggiani, "pronto a partire per l’America dove va a cercar la fortuna e
a trovar mogli belle e ricche alli amici brutti e poveri".
Tutti hanno un dono per
Vinca, la bella Musa ispiratrice.
Ecco il bel ventaglio di
raso nero con le note e i versi dipinti in oro di un breve stornello
firmato dal Maestro Vittorio Pepe e dal poeta Carmelo Errico e ornato da
una libellula e da stelline dorate:
Alla
gentil Donna Vinca Sorge De Filippis Delfico
Ricordo
di Vittorio Pepe
"Fior
d’ogni fiore: quando spira Aquilon s’infosca il mare,
Quando
nasce l’amor spunta il dolore".
Ed ecco, sull’altra
faccia del ventaglio di raso nero, un ramo di fiori di melo dagli
splendidi colori, dipinto da Alfonso Muzii.
"… Avevo portato con me
il ventaglio vostro: Lo lascio all’amico Michetti: Ve lo porterà, un
giorno o l’altro dipinto", scrive d’Annunzio a Vinca nel marzo ’88. In
realtà voleva usare il dono come pretesto per farle una visita breve
"contro ogni vostro consiglio". Evidentemente il poeta è uscito allo
scoperto: la sua opera di seduzione allarma la giovane sposa di Simone
che preferisce non riceverlo.
Ma intanto le arriva una
preziosa edizione dei Sonetti Pro Anima: uno di essi,
All’Ideale, è stato scritto per lei, per Madonna Vinca.
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Ventaglio dipinto nel
1888. Note di Vittorio Pepe. Parole di Carmelo Errico |
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ALL’IDEALE
Tu sei
la luce limpida e tranquilla
Ove il
mal ne li spiriti fuggenti
Perdesi, come ne le foglie a’ venti
Perdeasi la sentenzia di Sibilla.
La
fontana tu sei che canta e brilla
Ne
l’alba e chiama all’acqua i sizienti:
accorron essi, come l’api ardenti
a’l
giglio che il più puro miel distilla.
Ma non
poss’io veder la tua sovrana
Luce,
poi che un crudele bacio ancora
Queste
aggravate palpebre m’aggrava.
Bere io
non posso a la tua pia fontana,
poi che
un crudele bacio m’addolora
questa
bocca che molto t’anelava.
Un casto bacio sulle
palpebre di un uomo è il massimo che una donna "timorata di Dio" come
Vinca può concedere senza provar pentimento?
Il casto bacio
incoraggia comunque il poeta a fare delle avances. Vinca è una turris
eburnea di cui lui è sicuro di avere la chiave. Lei è una donna
intelligente, dalla forte personalità. Costretta a vivere in un piccolo
paese di provincia, sogna segretamente e irrimediabilmente una vita
diversa. Nonostante il suo riserbo, il desiderio di evasione si
manifesta attraverso dei segnali che il vorace d’Annunzio capta sin
dalla sua prima visita a Nereto. Il volto di lei spesso imbronciato, i
suoi occhi sognanti, il suo entusiasmo per l’arte, la musica e
soprattutto per la sua poesia di cui sa cogliere ogni sfumatura, il suo
stile che le viene da una famiglia illustre e aristocratica, troppo
raffinato per l’ambiente in cui vive e la straordinaria eleganza delle
sue toilettes che provengono dalle grandi sartorie di Piacenza, non
lasciano dubbi sui suoi sogni di evasione.
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Ventaglio dipinto nel
1888 da Alfonso Muzii |
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Dopo tanti anni di
rispettosa amicizia in cui il lupo d’Annunzio si è travestito da
agnello, l’8 settembre del 1888 il poeta getta infine la maschera e
scrive una lettera di audacia inaudita:
"… Avete mai pensato che
da quasi dieci anni, a intervalli, io giro intorno a voi, e sono
attratto dal vostro fascino? Sono un uomo corrotto dalla esperienza
della vita, provato dal dolore e tendo le braccia verso di voi come
verso la mia chimera più desiderabile…".
A questo punto il
pericolo per Vinca Sorge di fare la fine di Maria Ferres, la sfortunata
eroina del Piacere che, dimentica di ogni principio morale e
religioso, cede alla corte insistente del perverso Sperelli, si fa
piuttosto grave.
Nella calda estate
dell’88 d’Annunzio, chiuso nel Convento di Michetti, sta appunto
scrivendo il suo primo romanzo ed è tutto preso dal suo personaggio,
Andrea Sperelli, che per vincere le resistenze della religiosissima
Maria, si mostra bisognoso di consigli, disarmato e disarmante. Vita e
fiction, come sempre in d’Annunzio, sono interscambiabili.
"… Perché ha parlato?
Perché ha voluto rompere l’incanto del silenzio ove l’anima mia si
cullava senza quasi rimorso e senza quasi paura?...", scrive donna Maria
nel suo diario dopo che Sperelli le ha confessato il suo amore. Le
stesse cose deve aver pensato Vinca dopo la lettera troppo audace del
poeta.
E se le parole di Maria,
riportate nel romanzo, fossero un remake di quelle dette realmente da
Vinca a d’Annunzio?
Comunque sia, la
reazione della turris eburnea alla lettera dell’8 settembre, prende il
poeta di contropiede: lei non risponde, almeno per iscritto. Si limita a
inviare al "signor d’Annunzio", chiuso in convento, un cesto di pesche
della sua terra. Esprime così il desiderio di continuare un’amicizia per
lei preziosa, ma al tempo stesso anche quello di mantenere le distanze
con quel formale "signor d’Annunzio".
"… Avrei da dirvi cose
molto gravi, in materia spirituale. Cercherò di vedervi, prima di
giovedì…", le risponde subito d’Annunzio dopo averla ringraziata per le
pesche, riprendendo, sfrontatamente, la vecchia tattica della crisi
spirituale. Il lupo torna a travestirsi da agnello.
Ma quanto può durare la
resistenza della povera Vinca?
Nonostante il pericolo
d’Annunzio lei accetta l’invito di Michetti di visitar Roma con gli
amici abruzzesi e di andare con loro al teatro dell’Opera. Ma un
improvviso malessere del suo primogenito manda all’aria all’ultimo
momento il viaggio sognato.
La "salvezza" per Vinca
viene paradossalmente proprio dalla lettura del Piacere che il
poeta le invia subito dopo la pubblicazione. Con dedica, naturalmente.
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Vinca Delfico Sorge |
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Il romanzo, che lei
divora in una giornata, le apre finalmente gli occhi. Ecco svelate le
tecniche di seduzione dello Sperelli:
"… Secondare le
aspirazioni spirituali della donna da conquistare, far finta di
accettarla come la sorella più cara, l’amica più dolce, per poi
trascinarla ad una amicizia voluttuosa, e da un’amicizia voluttuosa alla
totale resa del corpo…".
Vinca legge incredula
quelle pagine, si riconosce nella pia e dolce Maria Ferres,
rabbrividisce di fronte al suo destino.
"… Voi siete Andrea
Sperelli, vi siete ricopiato in ogni minima piega dell’anima…", scrive
Vinca indignata a d’Annunzio. E’ sconcertata di fronte alla scoperta
dell’animo perverso di d’Annunzio/Sperelli e di fronte alla corruzione
"del gran mondo" e della vita della capitale descritta nel romanzo. E’
stata ingenua a credere nella sincerità del poeta e ora – con le lacrime
gli occhi? – benedice il suo piccolo paese e la semplicità della sua
famiglia.
Il Piacere per
lei è stato paradossalmente più salutare della Imitazione di Cristo.
Ma la rottura fra donna
Vinca e Gabriele d’Annunzio non avverrà mai. Nonostante tutto il poeta
continua a frequentare casa Sorge assieme a Michetti sino al 1894.
Che sarà mai successo?
Forse il poeta incantatore ha convinto la sua bella conterranea di
essersi redento con la pubblica confessione dei suoi trascorsi?
Negli anni successivi
Vinca, divisa fra l’ammirazione per il grande artista e la condanna
dell’uomo, continua candidamente a sperare che il diabolico poeta si
ravveda. Gli scrive persino un biglietto in cui gli rimprovera il male
che egli arreca con le sue opere scandalose. Ma poi il buon senso
prevale e lei rinuncia a spedire il suo buon messaggio che resta lì,
nella grande casa di Nereto, assieme al ventaglio, alla deliziosa
gavotta che Vittorio Pepe le ha dedicato, ai giornali con le poesie e le
cronache mondane di d’Annunzio e ai libri con dedica del poeta a lei
"devotissimo".
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Vinca Delfico e Simone
Sorge |
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Nata a Teramo nel 1861,
Vinca Sorge Delfico visse a Nereto sino alla sua morte, avvenuta nel
maggio 1911. Ebbe sette figli che divennero tutti grandi amici di
Francesco Paolo Michetti, in specie Mario di cui il pittore era compare
di battesimo. L’ultima figlia, Maria, laureata alla Sorbonne, visse
nella grande casa di Nereto dove custodì gelosamente le lettere e i
libri di d’Annunzio.
"… Vinca era una
gentildonna perfetta e di una bellezza soave, affascinante, …
maestosamente splendida e simpatica e con tutte le seduzioni
dell’intellettualità vera e completa, seduzioni che con gli anni invece
di scemare aumentarono". Così scrisse di lei una sua compagna di
collegio dopo la sua morte prematura.
La figura di questa
eroina da romanzo tornò alla mente di d’Annunzio quando si accinse a
comporre la sua favola antica. Il nome latino del fiore "vinca pervinca"
faceva pensare a una di quelle filastrocche bizzarre che si cantano ai
bambini:
"… Su
Vienda! Su, capo d’oro!
Guardatura di vinca pervinca!
Or si
falcia alla campagna
Quella
spiga che ti somiglia…".
(Figlia di Iorio, Atto I, scena I)
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Nicola D'Antino, Vinca
Delfico Sorge (busto in terracotta, 1904) |
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Lettere di Gabriele d’Annunzio a Vinca
Sorge Delfico
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I |
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Francavilla, 25
giugno 1887
Madonna Vinca,
noi siamo disperati.
Poiché il nostro amico Guido Boggiani deve partire domani per Roma, la
gita al Gran Sasso va in fumo, miseramente.
Jeri sera, sotto la
luna novella, disputammo a lungo; ed in fine rinunziammo, con molta
malinconia. Intorno intorno i lunghi pini eleganti scuotevano il capo in
atto di compassione.
Lunedì dunque noi non
verremo a battere alla vostra porta, non verremo a chiedere ospitalità
nella vostra casa che già ci accolse con tanta larghezza di cortesia; né
ci sederemo alla mensa illuminata magnificamente dal vostro sorriso; né
sogneremo su i placidi letti, agl’incantesimi vocali del mago di
Francavilla! Il fato è duro.
Addio dunque, madonna
Vinca. La gratitudine dei vostri amici è caldissima, e la memoria dei
bei giorni di Nereto sarà assai lunga e assai dolce in tutti.
Questa sera
pranzeremo a Francavilla, su la terrazza, in cospetto del mare; e vi
manderemo un saluto rispettoso e affettuoso.
Una stretta di mano,
cordialissima, da parte nostra a Don Peppe e a Simoncino.
À la très chère, à la
très belle
Salut en immortalité
Gabriele d’Annunzio
Sabato
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Don Peppe è il padre di Simone Sorge |
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II
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A bordo della Lady
Clara
Agosto, 30 – 1887
Mare leggermente
mosso
Maestrale – Cirri a
sud-ovest
Cara donna Vinca,
vi do mie notizie
subito. Io e il mio amico Adolfo stiamo bene; e siamo neri come il
catrame e voraci come sciacalli. Fin qui il mare è stato assai benigno,
in grazia specialmente dei vostri augurii, e noi vi siamo grati. Non
posso scrivere una lunga lettera, ma vi racconterò a voce tute le
mirabili avventure navali che han reso dilettosissimo il nostro viaggio.
Non so che faremo. Ci
tenta Venezia, ma il passo del Quarnaro è periglioso e non so se basterà
la nostra audacia a varcarlo. Per ora stiamo in crociera fra Rimini e
Ancona aspettando la squadra italiana.
Lady Clara ha una
condotta eccellente, ed ha molto successo quando è coperta di tappeti e
di cuscini. Jeri nel porto di Ancona, eseguì una manovra splendida,
portando a poppa alcune signore eleganti. Urrà!
Voi che fate? E’
tornato Simoncino? I vostri figli stanno bene?
Salutate per me
vostro marito e Don Peppe, cordialmente, e Ciccillo Michetti anche, se
lo vedete. Parliamo spesso di tutti voi, nelle dolci calme di queste
notti lunari.
Adolfo e io, vi
baciamo le mani umilmente. Lady Clara abbassa le bandiere in segno di
omaggio.
La ciurma famelica vi
fa un urrà formidabile.
Addio, cara donna
Vinca
Gabriele d’Annunzio
|
La lettera scritta a bordo del cutter
Lady Clara di Adolfo De Bosis è ornata di segni marinareschi. Il fatto che il poeta stia
tranquillamente aspettando la squadra italiana per superare il
"periglioso" passo del Quarnaro, contraddice le affermazioni dei
biografi di d’Annunzio che parlano di un "salvataggio in extremis" del
cutter da parte della Agostino Barbarigo. Come spesso accade, il
presunto incidente in mare è dunque un’invenzione dell’Imaginifico per
rendere interessante la sua crociera estiva con l’amico De Bosis. Il cutter era effettivamente arredato
dannunzianamente con "molti e pesanti tappeti turchi e persiani e con un
tabouret, mirabile opera di tarsia, per posarvi su il caffè", come
raccontano dei testimoni oculari. In quanto ai cuscini, non si può non
pensare a quello su cui d’Annunzio, secondo quanto scrive a Barbara
Leoni lo stesso giorno singhiozzò, disperato per l’assenza dell’amata. |
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III
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Cara Signora,
io sono a Roma fin
dai primi d’ottobre. Come mi dispiacque d’esser partito senza salutar
voi e i vostri, pensavo di venire a farvi una visita rapida a Nereto nel
tornare da Venezia. Ma i fatti vollero che io prendessi la via di
Firenze e tornassi direttamente qui. Non ho rinunziato, del resto, alla
visita. In questo inverno, alle prime nevi di Natale, verrò in terra
d’Abruzzi, e allora mi avrete alla vostra mensa fiorita, e io fra un
vino di rubino e uno di topazio (oh dolce cura du Don Peppe!) vi
racconterò le sovrammirabili avventure della navigazione.
Giungemmo a Venezia
ai primi di settembre. La mollezza della vita veneziana ci vinse, e
rimanemmo assi più giorni che non avessimo stabilito. Le ultime notizie
vostre le ebbi da Ciccillo Michetti che si trattenne a pena poche ore.
Ora egli è a Venezia,
reduce da Milano. Il mondo avrà fra poco due grandi opere d’arte, poiché
da alcuni indizii posso arguire ch’egli lavorerà intorno ai due ritratti
con molto ardore. I quadri di Venezia li conoscete? Nessun artefice mai
è giunto a una rappresentazione così profonda della natura e nessun
artefice mai ha suscitato nel mio spirito maggiore abondanza di sogni.
E’ Qui Costantino
Barbella, che lavora con una straordinaria perseveranza, e passa le
giornate intere nell’aer perso della fonderia. E’ qui Guido Boggiani,
pronto a partire per l’America dove va a cercar la fortuna e a trovar
mogli belle e ricche alli amici brutti e poveri.
Io tra gli altri
fastidii ho, in questo momento, quello di cambiar casa. Lascio la serena
vista del palazzo Barberini benedetto dal sole e vado più al centro, su
la via del nuovo Tritone, in un appartamento assai allegro.
Sapete che sono per
la terza volta padre? Per la terza Volta! – Il bambino è molto bello ed
ha un nome eroico; si chiama Venièro; Venièr d’Annunzio suona bene, non
vi pare?
Quando ebbi la
notizia della sua nascita, io ero a Venezia. Alcuni ufficiali di marina,
amici miei, in un pranzo amichevole, fecero brindisi augurali al nuovo
nato e gli predissero una grande gloria navale. Così gli fu imposto il
nome del capitano che vinse alla battaglia di Lepanto, L’Italia avrà
dunque un capitano di più.
E voi come state,
cara Donna Vinca? Quando sarete libera dal gran peso filiale? Come
passate le vostre ore nella solitudine di Nereto? La vendemmia vi
rallegra?
Io vi faccio tutte
queste domande oziosamente, senza speranza di aver risposta; poiché io
so che la vostra pigrizia è più grande della misericordia di Dio.
Vi ricordate le
chiacchierate sotto la pergola già carica di grappoli? – Meraviglioso
paese quel Francavilla! Anche in questo divino ottobre romano, che è
tutto d’oro come una primavera palustre, io ripenso con un po’ di
malinconia alle collina sparse d’olivi, al convento, al mare armonioso,
al mare buono e consolatore.
Io son tornato, dopo
il mio viaggio, con una passione del mare assai più profonda e più
ardente e più nostalgica.
Già faccio molti
sogni per l’estate futura. Avrò un nuovo cutter che si chiamerà La
Chimera. Vi piace il nome?
Il cutter sarà
abbastanza grande da alloggiare comodamente quattro persone, sotto
coperta, nelle cabine. Offrirò due dei posti a voi e a vostro marito; e
vi porterò nel Bosforo, a Smirne, nelle isole. Passeremo le notti
d’agosto sul ponte coperto di tappeti, favoleggiando come in quella sera
che passeggiavamo per la Via Larga, fuori di Nereto. Vi rammentate?
Peccato che per ora
La Chimera sia veramente una chimera! Ma Iddio mi aiuterà. Intanto io
studio pazientemente un trattato su la manovra delle vele, tutto irto di
segni algebrici e stridulo di parole barbariche. Mi preparo ai venti
futuri.
Mi accorgo però di
avere scritto troppo e di cose che molto probabilmente non v’interessano
affatto. Perdonatemi. Mi son messo a scrivere tra una tazza di thè e
l’altra, e a poco a poco mi son lasciato andare come in una
conversazione piacevole.
Con voi è sempre
dolce conversare.
Poiché voi non vi
meravigliate che io passi le serate a casa, vi do una notizia. In questo
momento sono in vena di saggezza. Vivo solitario, e studio e lavoro
molto; ed ho una condotta lodevolissima.
Vi manderò i miei
libri nuovi a pena saranno pubblicati; e vi manderò i giornali.
Addio, cara signora.
Salutate per me cordialissimamente Simoncino e Don Peppe, e baciate i
vostri bambini. Rammentatemi a Don Antonio.
Vi auguro un inverno
dolce e tranquillo, con molte giornate di sole. Vi prego di rivolgervi a
me, se avete commissioni per Roma. Io vi rimanderò uno di questi giorni
il ventaglio, con i versi promessi. Meglio tardi che mai!
Di nuovo addio. Vi
bacio le mani. Vogliatemi bene e credetemi vostro devotissimo.
Gabriele d’Annunzio
Il 25 ottobre ‘87
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I due ritratti a cui Michetti lavorerà
"con molto ardore" sono quelli, a figura intera del re Umberto I e della
regina Margherita.
I quadri di Venezia sono quelli
presentati dal pittore alla Esposizione Nazionale artistica di Venezia
del 1887 e comprendono: Scena umana, 10 piccole scenette a
olio e il Ritratto della signora Maria de Bernardkay.
Nell’ottobre del 1887 d’Annunzio andò a
abitare con la famiglia a Palazzo Martinori, in via del Trittone.
Veniero, nato dopo Mario e Gabriellino,
deve il suo nome all’ammiraglio veneziano Sebastiano Venier. Divenne
ingegnere meccanico e pilota; durante la prima guerra mondiale, lavorò
nelle Officine Caproni e mise a punto gli aerei su cui volava il padre.
Fu in seguito rappresentante della Isotta-Fraschini a New York. Nel 1927
prese la cittadinanza americana.
Il cutter La Chimera rimase davvero un
sogno impossibile per il poeta impegnato nella sua attività quotidiana
di cronista mondano della Tribuna dal 1884 al 1888, anno in cui decise
di lasciare il giornale per dedicarsi esclusivamente alla composizione
del suo primo romanzo, Il Piacere.
D’Annunzio mantenne la promessa di
mandare a Vinca le rime edizioni dei libri che andava componendo. L’Isaotta
Guttadauro, Il Piacere, Giovanni Episcopo e Il
Trionfo della Morte portano tutti la dedica autografa del poeta alla
sua "chimera" e ora fanno parte del Fondo Sorge Delfico della Biblioteca
di via Senato a Milano.
Non è rimasta invece traccia del
ventaglio con i versi promessi. |
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Lettera di Gabriele
D'Annunzio a Vinca (25 ottobre 1887), pag. 1 |
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Lettera di Gabriele
D'Annunzio a Vinca (25 ottobre 1887), pag. 2 |
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Pescara, 9 marzo 1888
Cara Donna Vinca,
sono in terra
d’Abruzzi e mando un saluto cordiale a voi, a vostro marito, a Don
Peppe, a tutti i bambini.
Domani con Michetti e
con Barbella, andrò a Teramo, a una festa di non so chi.
Spero di vedervi là.
E spero anche di poter venire a Nereto, a farvi una visita breve, se
bene io abbia le ore contate.
Ho un gran desiderio
di rivedervi.
Tante cose affettuose
a tutti i vostri.
Vi bacio le mani.
Gabriele d’Annunzio
Venerdì
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D’Annunzio è in questo periodo a Pescara
per cercare di sistemare i dissesti finanziari del padre che, con la sua
vita dissoluta e le donne che manteneva alla "Villa del Fuoco", stava
portando la famiglia alla rovina, tanto che i figli progettarono di
farlo interdire. |
|
V
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Cara Donna Vinca,
sarei venuto contro
ogni vostro consiglio, a farvi una visita breve, ma qui ho prese le
fabbri miasmatiche e una nevralgia alla parte sinistra della faccia.
Parto domani per
Roma, fuggendo l’aria natale che questa volta m’è stata maligna.
Avevo portato con me
il ventaglio vostro, Lo lascio all’amico Michetti, Ve lo porterà, un
giorno o l’altro, dipinto.
Io tornerò forse in
maggio, o prima. Allora spero di rivedervi e di e di riveder guarito,
florido e sano, Don Peppe.
Salutatelo
affettuosamente e fategli inoltre buoni augurii.
Tante cose cordiali a
vostro marito. Vogliatemi bene, cara Donna Vinca, e datemi occasione di
mostrarvi la mia devozione sincera.
Rimanderò i miei
libri nuovi, a pena editi.
Riceveste Pro
anima?
Gabriele d’Annunzio
19 marzo (1888)
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Pro Anima
è la preziosa edizione numerata, stampata nel 1888 in soli dieci
esemplari, dei Sonetti dell’Anima: che saranno poi inclusi nella
Chimera. La domanda è sottolineata da d’Annunzio che ne dedica
uno a Vinca. |
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VI
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8 settembre 1888
Triste cosa è pensare
che tutte le più nobili idealità dello spirito debbano essere disperse e
profanate dal contatto della vita comune.
Avete mai pensato che
da quasi dieci anni a intervalli, io giro intorno a voi e sono attratto
dal vostro fascino?
Ero un fanciullo e
camminavo lungo la riva del mare alla ventura, con la vaga speranza
d’incontrarvi.
Sono un uomo corrotto
dalla esperienza della vita, provato dal dolore, e tendo le braccia
verso di voi come verso la mia chimera più desiderabile.
Che avete voi? Qual
segreta attrazione è ne’ vostri occhi varianti come un’acqua profonda
che chiuda in sé strani tesori?
Gabriele d’Annunzio
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Della lettera ci è rimasta la copia
scritta da Vinca che aggiunse. "Distrussi l’autografo il 1° gennaio
1890". Evidentemente strappò la lettera sotto
l’impressione negativa ricevuta dalla lettura del Piacere. Ma queste frasi le aveva mandate a
memoria e, passato lo sdegno, le ricopiò due volte su due foglietti
custoditi nella casa di Nereto assieme alle altre lettere. |
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VII
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Martedì 18
[settembre]
Francavilla al mare
(Abruzzi)
Cara Donna Vinca,
vi son molto grato
delle pèsche. Sono veramente magnifiche di colore, di sapore e di odore;
sembrano colte dalle vostre mani pure, in un orto favoloso, nell’orto
delle Esperidi o in quello del mio biondo re Astìoco. Già le più belle
hanno esperimentato l’acutezza de’ miei denti.
Mi dispiace che voi
partiate così presto. Avrei da dirvi cose molto gravi, in materia
spirituale. Cercherò di vedervi, prima di giovedì; ma non son certo di
riuscire.
Quanto prima vi
manderò il sonetto, in compenso dei frutti. Lo comporrò per voi, con
ogni regola d’arte. Sarà armonioso come una musica di Dominazioni e
fulgido come una fiamma sacra.
Voi mi parlate di
bontà infantili. Siete ingenua. Io sono ora come dieci anni a dietro;
credetemi.
Addio, cara Donna
Vinca. Salutate per noi cordialmente Simoncino.
Rammentatemi a vostra
madre, che mi pare una donna d’alti spiriti, e a Donna Albina e a Donna
Diomira e a Don Filippo.
Vi bacio le mani,
devotamente
Il Signor
d’Annunzio
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Con il "biondo re Astìoco" d’Annunzio si riferisce alla
ballata di Madonna Isaotta inclusa nella raccolta L’Isaotta-La
Chimera.
Donna Albina e Donna Diomira erano le sorelle maggiori di
Vinca.
Don Filippo De Filippis Delfico era il padre di Vinca, e
abitava a Palazzo Delfico a Teramo, oggi sede di una splendida
biblioteca intitolata al filosofo illuminista Melchiorre Delfico. |
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Lettera di Gabriele
D'Annunzio a Vinca (18 settembre 1888), pag. 1 |
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Lettera di Gabriele
D'Annunzio a Vinca (18 settembre 1888), pag. 2 |
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Lettera di Vinca Sorge Delfico a Gabriele d’Annunzio
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I |
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Nereto, 21 maggio ‘89
Vi ringrazio tanto
del libro che mi mandaste. L’ho letto con avidità, ed è stato per me un
gusto finissimo legger il vostro romanzo, anzi troppo intenso.
Ho dovuto riposarmi
tutto un giorno, il sabato non lessi, anche per un’antica consuetudine.
Avrei voluto che mi si fosse imposto di leggerlo a spizzico, come in
un’appendice di giornale, avrei voluto come un compito tutti i giorni,
tanto e non più; invece gli occhi scorrevano senza freno, e le pagine
passavano una dopo l’altra rapidamente.
Ma perché scrivete
voi di questi libri?... Un giorno dovrete renderne conto a Dio; io ve lo
dico. E come farete allora?
Nel vostro romanzo vi
sono molte cose vere, perfettamente vere, analisi sottili, meravigliose,
immagini stupende, erudizione profonda, e per la forma è un gioiello
purissimo che brillerà ne’ secoli.
Ma, debbo ripetere,
perché la vostra penna, che potrebbe sollevarsi altissima, la degradate
così, costretta incessantemente nella miseria più triste?
Tentate invano con
ogni sforzo di coprirla con un manto fulgido! Tale contrasto abbatte
l’anima e la conturba profondamente.
Voi siete Andrea
Sperelli, vi siete ricopiato in ogni minima piega dell’animo, altrimenti
con la sola immaginazione come avreste potuto concepire un tale
personaggio? Il vostro eroe sarebbe stato inverosimile! – Io non so
capire come siete voi, chi vi ha traviato così… Come potete scrivere
perennemente in un’atmosfera corrotta…Io non so capire…
Ma avrò tutta l’aria
di farvi un predicozzo e forse vi secco.
In quanto a me, la
mia impressione, l’effetto risentito leggendo Il Piacere è stato lo
stesso che meditando una delle più severe meditazioni del Hempis.
Lo spettro del gran
mondo, la vita della capitale, mi hanno fatto paura e quasi
istintivamente rifugiandomi nella mia solitudine, ho benedetto il mio
piccolo paese e la semplicità della mia famiglia.
Ed un fiero
pentimento per tutte le insofferenze, le ribellioni, ed i lamenti
passati prenderà posto in me riconoscendo sulla nostra via la Mano
divina, sempre provvida e amorosa.
Voi vi congratulerete
forse con me del salutare frutto, ed io ve ne ringrazio anticipatamente.
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Il testo di questa lettera è ripreso
dalla brutta copia miracolosamente ritrovata fra le carte della casa di
Nereto. Con "le severe meditazioni di Hempis",
Vinca allude alla Imitazione di Cristo, vero e proprio best seller
dell’epoca.