De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Amore e matrimonio per Melchiorre Delfico

di Francesca Cerulli

Nell’ambito del Progetto multidisciplinare Delfico & Delfico nell’a. s. 2008/09 le discussioni intorno al ruolo della donna nel ‘700 hanno ispirato questa riflessione sul "Saggio Filosofico sul Matrimonio" di Melchiorre Delfico. L’analisi condotta dalla studentessa del 3° Liceo Classico, si pone nell’ottica dell’evoluzione della società e delle concezioni attuali relative alla figura femminile e al matrimonio. (Emilia Perri, docente responsabile del progetto)

Nel Saggio filosofico sul matrimonio, pubblicato anonimo e senza indicazione di luogo nel 1774, Melchiorre Delfico rivela la sua formazione culturale che affonda le radici nel giusnaturalismo, nel sensismo, nel culto per la ragione che lo portano a parlare dell'amore, inteso come piacere soprattutto morale, in una prospettiva, inequivocabilmente laica e naturalistica, tale da indurre la Congregazione del Santo Uffizio a inserire il trattato nell' Index librorum prohibitorum . A nulla valse che egli rivendicasse la "moralità" dell’opera chiaramente celebrativa dell’istituto matrimoniale contro ogni pratica di libertinaggio.

La lettura del saggio, soprattutto inizialmente, ha lasciato in me una sensazione complessa da descrivere per l’indubbia difficoltà che ho incontrato nell’affrontare un testo così attuale nella tematica, ma al tempo stesso così lontano per l’analisi effettuata e le soluzioni cui giunge.

Nelle opere classiche ho trovato quasi sempre risposte adeguate ai quesiti e ai problemi che ieri, come oggi, tormentano l’uomo, non sono riuscita, invece, a reperire nel saggio un qualcosa che possa essere adeguato e condiviso dall’uomo del terzo millennio che pur vive drammaticamente la crisi della coppia e della famiglia.

Proverò ad analizzare il testo sinteticamente per illustrare quanto ho sopra detto, alla luce, anche, di quanto il papa Benedetto XVI ha teorizzato nell’Enciclica "Deus caritas est".

Innanzitutto M. Delfico chiarisce che lo scopo della trattazione, scritta per il bene dell’umanità, si prefigge di allontanare dal vizio e dall’errore. L’amore viene analizzato, perciò, non in se stesso, "ma negli effetti" che ne derivano.

Asserisce l’autore  che gli uomini prediligono i sentimenti in cui è insito un piacere ed evitano quelli dolorosi, i quali ultimi, per la loro intensità e prorompenza, sono di breve durata e producono "i mali maggiori". Glissa, il filosofo, sui "bisogni fisici maggiori o minori secondo i temperamenti", cioè sull’aspetto fisico dell’amore,  incentrando il suo studio sui "bisogni morali".

L'amore tra uomo e donna, in cui corpo e anima concorrono inscindibilmente, e per il quale all'essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile e che oggi per noi emerge come archetipo di amore per eccellenza, esula, dunque, dalla trattazione.

Alla passione, che non nasce dal pensare e dal volere, ma in certo qual modo s'impone all'essere umano, l'antica Grecia aveva dato il nome di eros includendo in questo termine l'ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una « pazzia divina » che strappava l'uomo alla limitatezza della sua esistenza in ciò facendogli sperimentare  la più alta beatitudine. « Omnia vincit amor », affermava Virgilio nelle Bucoliche, « et nos cedamus amori ».

Melchiorre Delfico,  nel far  cenno alle pulsioni che sono insite nell’uomo,  teorizza la necessità non di disciplinarle ma di soffocarle, come se il reprimerle e l’annullarle possa essere garanzia di un connubio, non dico felice, ma accettabile.

Freud ne inorridirebbe… la libido non soddisfatta adeguatamente, infatti, secondo lo psicanalista austriaco, si accumula a livello intrapsichico costituendo una sorta di serbatoio da cui i sintomi nevrotici o psicotici attingono la loro energia.

Un buon presupposto per iniziare una "serena" vita a due fondata sull’insoddisfazione e la patologia…

Il bisogno d’amore, afferma il Delfico, è insito in ciascuno fin dalla più tenera età, strettamente connesso con un piacere che deriva da una circolarità di dare-avere…ma, nel tempo"arrivando alla stagione dell’amore" l’uomo impara a vivere sentimenti diversi sperimentando, anche, il tormento e l’inquietudine…

E’ l’ Odi et amo.

Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

di Caio Valerio Catullo, (Carmina, LXXXV).

Certo l’amore reca in sé la sofferenza e gli amanti tendono ad isolarsi dal mondo che li circonda ma perché evitare ciò che è naturalmente insito in ognuno di noi facendo tacere il cuore? Perché considerare la libido solo come un male, come un qualcosa di peccaminoso che impedisce di raggiungere la virtù?

E’ chiaro che, secondo l’autore teramano, la passione allontana tutti gli altri sentimenti,ignora doveri e virtù, chiude la coppia in se stessa e se è vero che non è in grado di donare il " ben essere" è pur vero che è capace, però, di offrire quelle sublimi sensazioni che equivalgono a vivere.

Sostiene il filosofo: "la natura dandoci dei bisogni vuole, che li soddisfacciamo…Il privarcene " è distruggere una parte della sensibilità,  è il rendersi meno uomo, è il rinunciare a quella quantità d’azione, che… distingue gli esseri viventi". Il concetto è propedeutico all’introduzione dell’idea di libertà, al potere cioè di autodeterminarsi, potere che il filosofo asserisce è necessario perdere per essere felici.

 In questo modo, quasi paradossale, viene introdotto l’istituto del matrimonio che il Delfico vede funzionale al " darsi gli ostacoli al male, al moderare gli eccessi…".

 Rifuggire dal matrimonio per lo scrittore porterebbe a ricadute devastanti: per una donna solo "pallore della virginità, mancanza di libertà,  perpetua dipendenza,  servitù domestica, …inazione forzata ed, infine il pentimento", per l’uomo un’ ineluttabile caduta verso la "corruzione".

D’altra parte, secondo il filosofo, la dipendenza reciproca "dell’un sesso per l’altro" non è uno status contrario alla natura , perché non si può negare che "nella continuità di questo sentimento non sia collocato il piacere". Il tumulto delle passioni, infatti, finisce e, in tarda età, l’uomo, che fuggendo dal libertinaggio e dalla galanteria è riuscito a costruirsi un legame di coppia e una famiglia numerosa, certo trascorrerà meglio, nella gioia derivante da affetti stabili, i suoi giorni rispetto a chi ha sempre e solo inseguito il piacere.

 La felicità risiede, secondo il Delfico, in "una pacata successione di sentimenti, scevra dai profondi turbamenti e dagli slanci propri della passione che lasciano dietro di sé "le pene più amare e velenose".

Ragione e virtù non sono elementi sufficienti, però, per rendere felice un’unione, ma per renderla solamente stabile infatti : "Appartiene alla sensibilità unire i cuori, se la sensibilità perde in qualunque momento della sua forza, se il cuore resta qualunque volta insensibile, allora la ragione presterà il suo ajuto… la ragione è sempre vera, ma uniforme, e la virtù un gran piacere che costa caro; la sensibilità rompe la monotonia della ragione, rende più dolce e più bella la virtù, ed uno stato che partecipasse di questi tre sentimenti, che tutti agissero di concerto, sarebbe senza fallo il più vicino a quella felicità, che gli uomini possono acquistare"."

Teorizzato ampliamente il fallimento di un vincolo che si fonda su ragione+virtù+sensibilità, che costringe l’uomo nel più totale grigiore dei suoi giorni, privandolo di quella vis che gli appartiene per natura, lo scrittore imperterrito afferma che, in ogni caso è preferibile ad: " un vizioso ed inutile celibato".

Dalla lettura  di questo saggio si evidenzia, inoltre, come il Delfico, nella disperata e non sempre, a mio avviso, critica e obiettiva valutazione della donna, si dimostri un femminista ante litteram, una posizione certamente di assoluta rottura con i canoni del passato: "…A voler parlare ragionevolmente, quello che le donne sono, non è che un effetto di quello che gli uomini sono la causa. Sono essi gli autori delle leggi e delle opinioni, sono essi che hanno in mano il potere e non è che per l'abuso che ne hanno fatto che si hanno comperata la loro infelicità…".

Le parole non hanno bisogno di ulteriori commenti,vi è, poi, una connotazione del maschilismo che non lascia margini di difesa:

"Gli uomini, per usare la loro superioritànon mancano di imporre alle donne, sin dalla loro infanzia, inutili e superflui doveri… ".

Sottolinea il Delfico che la causa dell’infelicità delle unioni coniugali deve essere imputata all’ uomo che con spregiudicatezza, disincanto e con un cuore indegno per le pregresse esperienze si accosta al matrimonio.  

Anche i difetti del "bel sesso" sono imputabili all’uomo: la "vanità " è, infatti, alimentata "dalle sciocche adulazioni dei galanti" e l’infedeltà deriva "dall’esempio ed è alimentata dal libertinaggio". D’altro canto il sesso forte, su cui non gravano che in minima parte i pesi di un vincolo matrimoniale, non è neppure in grado di rendere "alle donne amabili e cari i loro doveri,  … così cambiando i dolori in piaceri, …" .

Concludendo, senza aver la capacità di scandagliare nel profondo il cuore dell’autore, ma per quel po’ di conoscenza spicciola di psicologia che mi deriva da qualche lettura e dall’ascolto di programmi televisivi che sono ricchi di trattazioni in materia, potrei affermare che, aldilà della sua posizione laica e naturalistica, l’autore è stato  pesantemente condizionato, nello scrivere il saggio,  dall’educazione confessionale ricevuta, dall’aver vestito l’abito talare, dall’essere stato, insomma, abituato a "sentire" la donna come tentazione e la passione come mezzo per allontanarsi dalla virtù. Se l’amore, invece, viene incardinato nei rigidi limiti di un matrimonio senza passione lo scrittore vede risolto il problema con la conquista, forse, anche di un premio nell’aldilà…

 Per quanto attiene, infine, all’idealizzazione, tenera quanto ingenua, della figura femminile penso che sia il frutto delle pesante situazione di vita del Delfico fortemente segnata dalla prematura perdita delle figure femminili di riferimento a lui più care.