Melchiorre
De Filippis Delfico nasce a Teramo nel 1825, dall'unione della Marchesa
Marina Delfico con Gregorio De Filippis-Delfico, conte di Longano. E'
il secondogenito di una numerosa figliolanza (sei figli): Troiano,
Melchiorre, Filippo, Ludovico, Aurora e Margherita.
La
famiglia Delfico appartiene alla più antica aristocrazia di Teramo, e,
soprattutto dalla seconda metà del Settecento, è considerata la prima
famiglia della città, protagonista, attraverso l'opera dei tre illustri
fratelli Melchìorre, Gianbernardino e Gianfilippo, dello sviluppo del
movimento illuminista e riformista napoletano in ambito locale e non
solo locale, coinvolta nelle vicende della rivoluzione partenopea del
1799, e nella battaglia per l' "eversione della feudalità". Quando
Melchiorre nasce è ancora vivo l'illustre prozio Melchiorre Delfico,
che morirà nel 1835. La famiglia ha una solida situazione economica ed
ha un prestigio ed una posizione sociale che la conducono ad occupare
sempre un ruolo non secondario nella vita politica, economica, sociale e
culturale della città. Le scarsissime informazioni che abbiamo sulla
formazione di Melchiorre nei primi 16 anni della sua vita, concorrono a
tratteggiare il quadro tipico del cursus studiorum di un rampollo di
illustre casata nella prima metà dell'Ottocento.
Attende
soprattutto allo studio delle Arti Liberali e la sua autobiografia in
caricatura ci testimonia l'importanza che fin dai primi anni dovette
avere lo studio della musica, in cui si impegnò fin dall'età di 7
anni. Sempre secondo l'autobiografia, nel 1835, quindi a 10 anni, il
nostro avrebbe scoperto la propria "inclinazione per la caricatura".
Sicuramente nel 1839, all'età di 14 anni, attende, e con onore, agli
studi artistici nella Pubblica Scuola di Disegno di Teramo, fondata e
diretta da Pasquale Della Monica.
A
16 anni, nel 1841, viene condotto a Napoli, a completare gli studi
umanistici sotto la guida del noto professore e poeta latinista
monsignor Antonio Mirabelli, "buon discepolo" del purista Basilio
Puoti.
A
Napoli viene probabilmente collocato sono la protezione dello zio, il
barone Genovese, figura affettuosa ed amichevole che accompagnerà
continuamente il Delfico, e che sarà da lui innumerevoli volte
caricaturato. Ma sicuramente il barone Genovese non era l'unico parente
residente nella Capitale, poiché in varie lettere alla madre il Delfico
fa riferimento ad altri zii e zie.
I
primi 4 anni nella capitale sono di studio duro e serrato, sotto la
bacchetta vigile di Monsignor Mirabelli.
Il
giovane Delfico non disdegna le lettere, anzi si diletta a scrivere
versi, e dipinge, ma il suo grande amore è la musica. Nel '44 si dà a
comporre e nell'estate del 1845 viene messa in scena al Teatro Nuovo la
sua prima opera: Il carceriere del 1793, un melodramma su libretto di
Domenico Bolognese.
Già
nel 1842, forse per interessamento dello zio, il Barone Genovese,
Melchiorre aveva avuto un posto di "alunno d'ordine" presso il
Ministero dell'Interno, cioè un posto di impiegato non ancora regolare
e senza retribuzione. Nel corso degli anni il lavoro impiegatizio
diventerà regolare e retribuito (certo non in modo principesco), e
contribuirà (sempre in modo insufficiente) al sostentamento suo, e poi
della sua numerosa famiglia, fino ad età avanzata. Intanto
eventi luttuosi e dolorosi si profilavano all'orizzonte:
-
nel 1847 viene a mancare il padre, il conte Gregorio De Filippis
Delfico, e le redini economiche e morali della famiglia vengono prese
dalla madre, Marina Delfico, madre affettuosa e donna di carattere, di
spiriti liberali e risorgimentali.
A
seguito degli eventi rivoluzionari degli anni 1848-49 i due fratelli di
Melchiorre, Troiano e Filippo, compromessi nei disordini scoppiati a
Teramo, sono costretti a prendere la via dell'esilio.
Melchiorre
intanto continua a condurre la sua vita nell'ambiente "haut"
napoletano, interrotta da brevi puntate nella città natale, in
occasione delle feste "comandate" e per sfuggire al solleone estivo.
Secondo
la sua autobiografia in caricatura, già nel '47-'48 aveva
cominciato ad utilizzare la sua grande capacità caricaturale e forse a
vendere le sue caricature, ricevendone spesso esplicita richiesta dai
potenziali caricaturati.
Ma
questa resta ancora un'attività per lui marginale, un hobby, e
probabilmente l'idea di trasformarla in un'occasione di sistematico
guadagno doveva essere molto lontana dal suo spirito aristocraticamente
educato, nonostante le perenni deficienze economiche che la vita mondana
napoletana comportava per un giovane cadetto. Certo, un giovane cadetto
non sprovvisto di mezzi, ma pur sempre legato ai cordoni della borsa
materna, come chiaramente si evince dalla corrispondenza intercorsa con
la madre, e questa parziale dipendenza economica si protrarrà fino, e
forse oltre, l'anno 1859.
Intanto,
negli anni che vanno dal 1845 al 1858, la metropoli napoletana (che
secondo molti studiosi era, all'epoca, l'unica capitale europea presente
in Italia), conobbe una straordinaria vivacità musicale ed un gran
fervore compositivo. A suscitare questo furor creativo, soprattutto
giovanile, concorse in modo importante la presenza in quegli anni, a
Napoli, del Maestro Giuseppe Verdi, presente una prima volta nel 1845,
poi ancora nel 1848-49, e poi ancora nel 1857, sempre in relazione ad un
contratto con il Teatro di San Carlo, ora per la messa in scena di sue
opere, ora per la commissione di un nuovo spartito.
Il
giovane Delfico respira intensamente questa temperie musicale, e compone
e mette in scena altre 2 commedie: Il marito di un'ora del 1850 e Il
consiglio di reclutazione del 1853.
Il
1855 segna una svolta nella sua vita: infatti Vincenzo Torelli,
giornalista e critico assai fine, fonda un giornale, l'Omnibus
pittoresco che, sull'onda della felice fioritura in quegli anni di
giornali umoristici, inserisce nella sua pubblicazione una pagina
satirica e l'affida a Delfico. Delfico fa così il suo ingresso nel
mondo dell'editoria. La sua capacità caricaturale esce dalla sfera del
puro diletto per trasformarsi in lavoro. Si divide quindi fra l'impiego,
il giornale, l'animazione di serate mondane e la musica.
Nel
1856 per la città natale scrive la partitura musicale per una "Azione
sacra" dal titolo Barac, da eseguirsi in occasione della festa teramana della Madonna delle Grazie e del Santo Patrono.
Quest'
opera, assieme al carteggio intercorso con la madre e con i fratelli,
conferma la forza e la persistenza del legame con l'Abruzzo, e tale esso
rimarrà anche negli anni a venire. Alla fine degli anni '50 datano
alcune lettere ed alcune cronache mondane che ci danno notizie degli
impegni mondani del Delfico, soprattutto della sua attività di
cantante, musicista, attore e regista, molto richiesto e molto
apprezzato nei salotti aristocratici e nelle "Società di canto", ed
oggetto di giudizi lusinghieri da parte di intenditori e critici
musicali e teatrali.
Genio
versatile ed eclettico, il nostro amico mostra anche in queste
manifestazioni salottiere il suo grande amore per il mondo teatrale e
musicale, quel mondo che costituirà anche il fulcro dei suoi interessi
e successi caricaturali, ed in cui la sua arguzia ed il suo spirito di
osservazione si eserciteranno al meglio, più che nell'attenzione per le
vicende politiche, in cui il sorriso troppo spesso si colora di amaro.
Sempre
agli stessi anni, '57-'58, datano alcune lettere indirizzate alla madre
ed al fratello Troiano in esilio, che testimoniano alcuni fatti
importanti:
1-
che la corrispondenza fra la famiglia ed i fratelli in esilio passava
dalle mani di Melchiorre a Napoli;
2-
che l'atmosfera che si respirava nella città partenopea alla vigilia
del 1860 era molto pesante, e probabilmente nel 1859 ragioni di
elementare prudenza, forse dovute al suo lavoro presso il Ministero
dell'Interno, forse all'inasprimento del regime poliziesco del Regno a
seguito degli eventi insurrezionali di quegli anni, lo inducevano a
scrivere a Troiano: "Ricordati che di null'altro mi devi parlare,
fuorché della tua salute", e gli impedivano poi di recarsi a
riabbracciare il fratello di passaggio nel porto di Napoli.
Nel
1857 Delfico ha modo di conoscere personalmente Verdi, giunto a Napoli
in primavera per la messa in scena del Simon Boccanegra e per la
commissione di un nuovo spartito per il San Carlo.
Lo
zio di Delfico, il Barone Genovese, melomane appassionato, buon cantante
e grande amico di Giuseppe Verdi, presenta il nipote al Maestro, e da
questo momento Delfico diventerà l'ombra di Verdi, immortalandone in
eleganti e divertenti caricature momenti, vicende e seccature del
soggiorno napoletano.
Verdi
apprezzava molto lo spirito e la discrezione di colui che
affettuosamente chiamava "il gran Nadar napoletano". Ed anche dopo
la partenza del Maestro, Delfico continuerà a seguirne le vicende
artistiche con matita e bulino alla mano. Il risultato di questo
sodalizio saranno le 2 suite di Caricature verdiane, e la Lettera a
Verdi del 1888:
1
- la prima serie è costituita da 64 tavole e 20 bozzetti pieni di
finezza e di brio dati alla stampa litografica nel 1858;
2
- del 1862 è l'"Album di 12 caricature" sul viaggio di Verdi in
Russia, 12 piccoli gioielli di arguzia e fantasia che il Maestro apprezzò
molto;
3
- infine, del 1888 è una particolarissima lettera che Delfico indirizzò
a Verdi dopo averne ascoltato la nuova opera, l'Otello: si tratta di una
lettera di 8 pagine pupazzettata e acquerellata, in cui il caricaturista
traduceva in immagini e colori le impressioni ricevute dall'Otello e
ricordi e personaggi del soggiorno napoletano del Maestro. Verdi,
commosso, giudicò le caricature "bellissime".
L'ampiezza
e la qualità di tutta la produzione verdiana resero Delfico
universalmente noto come Il caricaturista di Giuseppe Verdi.
Col
1860 inizia il periodo più intenso e fecondo dell'attività artistica
di Melchiorre Delfico:
1
- in questo anno inizia la pubblicazione, che in seguito diventerà una
consuetudine fino al 1891, di un Album annuale o di una Strenna di
caricature, di argomento vario ma sempre molto attesi.
Dal
1867 al 1883 a molti di questi appuntamenti annuali darà il titolo de
"Il caos". Dal 1882, per vari anni, pubblicherà una strenna annuale
dal titolo "Delf";
2
- sempre nel 1860, in società con l'amico Enrico Colonna, dà alle
stampe le sue 48 caricature aristocratiche, oggi rarissime.
Come
operazione commerciale, questa si rivela fallimentare.
3
- alla fine del 1860 inizia la collaborazione con il giornale
l'"Arlecchino. Giornale - caos di tutti i colori", che gli riserverà
per vari anni l'illustrazione della terza pagina;
4
- fra il 1862 e il '63 un Delfico attivissimo avvia una collaborazione
con altri 2 giornali satirici: l'"Arca di Noe" ed il
"Pulcinella".
Alla
metà degli anni '60 dovrebbe datare il leggendario viaggio a Londra e
la collaborazione col prestigioso giornale satirico londinese
"Punch", a cui fa riferimento Amilcare Lauria nel suo prezioso
lavoro su "Melchiorre Dèlfico" pubblicato nel 1906 su Ars et Labor.
Ma Fabia Borroni, nella sua monografia del 1957, ha dimostrato
l'infondatezza di questa notizia.
Da
più parti è stata sostenuta la presenza di Delfico e di Colonna a
Firenze a più riprese fra il 1864 ed il 1870, quindi nella Firenze
capitale provvisoria del neonato Regno d'Italia.
Questi
viaggi si sarebbero tradotti in una serie di circa 100 caricature,
riguardanti l'ambiente aristocratico, diplomatico e parlamentare della
Firenze capitale provvisoria. Si tratta di tavole di straordinaria
qualità, di fattura pregevole, estremamente curate e rifinite,
impreziosite dalla campitura ad acquerello o a china, ma poiché non
sono firmate, l'attribuzione di queste tavole a Delfico è oggetto di
discussione.
Allo
stato attuale delle mie ricerche e delle mie conoscenze, io ritengo che
queste tavole non siano opera di Delfico, e questa convinzione è
motivata da varie ragioni, di ordine storico, documentario, biografico e
stilistico, delle quali darò eventualmente conto in un altro
intervento.
Negli
anni '70 la sua attività caricaturale diminuisce, mentre la musica
torna ad essere la sua occupazione principale: compone, fa il direttore
d'orchestra, torna persino a cantare in qualità di tenore per salvare
una stagione lirica che minaccia di naufragare.
E
le opere di questi anni sono le migliori della sua produzione musicale:
scrive libretto e partitura di 2 opere buffe, Il Maestro Bombardone del
1870, e Il ritorno a Parigi dopo la guerra del 1872, e 2 commedie
musicali, La fiera, ed Il parafulmine del 1876, la sua ultima opera
musicale.
Tutte
queste opere furono messe in scena al Teatro della Società Filarmonica
con apprezzabile successo, La fiera fu proposta anche su altri
palcoscenici italiani, mentre Il parafulmine fu replicata al Teatro
Comunale di Teramo in occasione del Carnevale del 1877.
Dal
1881 alla fine degli anni '80 Delfico collabora in qualità di
caricaturista con il settimanale umoristico Caporal terribile. Dal
1884, accanto alle sue caricature, sul Caporal Terribile compaiono
quelle di Solatium, pseudonimo del caricaturista Mario Buonsollazzi,
altro ingegno notevole della caricatura di fine secolo, e Solatium gli
succederà definitivamente nel 1890, quando il grave colpo della perdita
della moglie, Concetta Sposito, da cui aveva avuto 7 figli (11 secondo
altre fonti), ed il progredire dei problemi circolatori costrinsero
Delfico ad abbandonare il lavoro.
Delfico
trascorse gli ultimi anni a Portici, dove aveva abitato con la famiglia,
fra i ricordi e il tormento per la malattia.
A
Portici si spense il 22 dicembre 1895.
L'ARTE
DI UNA VITA
Dall'esame
della vita del Delfico credo sia emerso con chiarezza che egli è un
eclettico che divide il suo impegno fra vari interessi: composizione
musicale, palcoscenico, caricatura, pittura, poesia, canto.
Genio
istrionico e versatile, egli è un dilettante, per natura e formazione,
e tale resterà fino alla fine. Ma è un dilettante nel senso
etimologico del termine, cioè è un individuo che fa le cose per
diletto.
Non
sempre i risultati saranno degni di nota, ma nella Caricatura riuscirà
grande, tanto da essere conosciuto a livello nazionale come "Il
principe della caricatura napoletana". In questa arte giocherà il
tirocinio di una vita intera, ed il fatto che, comunque, a mio avviso,
un caricaturista è tale per indole, non per formazione.
In
ogni caso il dilettantismo di Delfico non deve stupire: egli è un
aristocratico e la sua formazione ha seguito il modello umanistico a cui
si ispirava la formazione culturale dell'aristocrazia: quello di un
enciclopedismo all'acqua di rose, quello del rifiuto di una cultura
specializzata, "poco di tutto, ma tutto di niente".
Data
l'inopportunità di dare conto, in questa sede, in modo tecnico ed
esaustivo, delle caratteristiche dello stile del Delfico, cercherò di
delinearne alcuni elementi essenziali, utili almeno al godimento
immediato delle tavole.
A
- Innanzitutto Delfico tende a pupazzettare i suoi soggetti, alla
maniera Nadar-GiI (grandi teste su piccoli corpi). Io credo che questa
scelta sia motivata dall'attenzione particolare che egli presta ai
volti: con pochi tratti sciolti egli ottiene una resa somatica
essenziale e, con straordinaria capacità di penetrazione psicologica e
di sintesi, affida poi l'effetto umoristico ad uno sguardo, ad un
corrugar di sopracciglio, ad un sorriso, ad una espressione, alla
posizione di una mano, di una gamba, alla "posa" di un corpo.
B
- Nelle sue caricature l'attenzione è concentrata sul personaggio e
soprattutto sulla situazione nella quale il personaggio viene collocato.
L'ambientazione
è quasi completamente assente, se c'è, rimane in secondo piano,
sfocata. Elementi ambientali vengono rappresentati, e comunque mai in
modo particolareggiato, solo quando sono essenziali alla lettura della
situazione.
Nel
suo saggio del 1986, "La caricatura napoletana della seconda metà
dell'Ottocento", così si esprime M. Giancaspro: "Per le
caricature italiane e napoletane del secondo Ottocento è assai facile
individuare due diverse tendenze. Nel trentennio dal Sessanta all'
Ottanta appare evidente che l'intento dei caricaturisti più che
fisiognomico è situazionale; le vignette si sovraccaricano di
simboli, allusioni, talvolta vere e proprie allegorie e i protagonisti,
spesso allontanandosi notevolmente dalle caratteristiche fisionomiche
dei legittimi possessori, diventano vere e proprie maschere..."
Quello
che M. Giancaspro, con molta acutezza, ha rilevato come fenomeno
caratterizzante di questo periodo, si attaglia in modo particolare alla
produzione di Delfico. La sua, infatti, più che una caricatura
fisiognomica, è una caricatura situazionale: a Delfico non interessa
tanto "caricare" lo studio di una fisionomia per evidenziarne
bizzarrie o particolarità fisiognomiche, quanto "cogliere" ed
evidenziare quell'elemento espressivo che rivela un carattere, una
sensibilità, un modo di comportarsi, un moto dell'animo. Per questo
Delfico tende a sorprendere i suoi personaggi nel momento in cui
interagiscono col mondo e con le cose, perché nell'interazione col
mondo essi sono vivi, e rivelano all'artista la propria essenziale
natura. L'arte di Melchiorre è dinamica, non contemplativa. Ma con i
suoi personaggi politici, o con alcuni personaggi ricorrenti nelle sue
tavole (il Barone Genovese, Colonna, se stesso), Delfico dimostra di
essere un abitudinario: una volta definiti, essi diventano vere e
proprie maschere, e non cambiano più, così come non cambia mai la
maschera di se stesso.
C
- Delfico ha la straordinaria capacità di rendere plausibile ogni tipo
di stravolgimento di proporzioni, anzi, spesso per questa via crea una
sorta di graduatoria di importanza dei vari personaggi.
Aggiungo,
inoltre, che questo giocare con lo stravolgimento delle proporzioni lo
porterà negli ultimi anni a creare i prototipi delle moderne strisce.
D
- Delfico si rappresenta nella maggior parte delle sue vignette, a volte
in forma caricaturata ma umana, altre volte in originali e sorprendenti
metamorfosi.
Questo
rappresentarsi nelle tavole ha un significato.
Nelle
tavole politiche questo gli consente di prendere una precisa posizione
politica, per esempio egli si colloca così fra i garibaldini, fra gli
antinapoleonici, fra gli antiborbonici e così via.
Nelle
tavole non politiche questo a volte è un vezzo, a volte è un modo per
esprimere la sua partecipazione alle situazioni che rappresenta, è un
modo, cioè, per dire che egli appartiene al mondo che sta
rappresentando.
E
questo non ha nulla di casuale, e vediamo perché.
Mentre
sul piano stilistico non possiamo distinguere periodi diversi nella
maniera di Delfico, perché, tolta la perizia acquisita in anni di
mestiere, il suo stile resterà sostanzialmente invariato nel corso di
tutta la sua storia caricaturale, sul piano dei contenuti possiamo
distinguere 2 ambiti produttivi, quello politico e quello che per ora
definisco sociale.
Nella
sua produzione di argomento politico possiamo distinguere 2 fasi, che
riproducono fedelmente le 2 fasi di tutta la produzione caricaturale
italiana della seconda metà dell'800: la fase eroica, appassionata ed
esaltante dell' ultima stagione risorgimentale, della proclamazione
del Regno d'Italia, della guerra del '66 e della conquista e
proclamazione di Roma capitale, - la fase, cioè, che va dagli anni '50
alla fine degli anni '60- e la seconda fase, quella della edificazione
dello stato unitario, con i problemi poco eroici delle vicende della
finanza pubblica, della questione meridionale, del profilarsi di quella
sociale, con i problemi economici e quelli della competizione
internazionale, con il prevalere dell'orizzonte municipale su quello
nazionale ed internazionale, e quindi con le vicende poco esaltanti dei
piccoli protagonisti del mondo comunale e provinciale, con la corruzione
e la serie di scandali che costellerà l'ultimo decennio del
diciannovesimo secolo, con le imprese degli amministratori municipali:
consiglieri, sindaci, prefetti.
E
dunque nella Storia del caricaturista Delfico la prima fase è quella
della satira battagliera dei primi anni '60, la fase più schiettamente
politica della sua produzione, quando un Delfico garibaldino,
interventista, antipapalino, antiborbonico, antinapoleonico, disegna
sulle pagine dell'"Arlecchino", del "Pulcinella", "Dell'Arca
di Noè".
In
questi anni l'impeto e la passione giovanile, e le sollecitazioni
dell'intensa vita politica e dei cambiamenti in atto, armano la sua
matita di una forza satirica che lo collocherà al primo posto fra i
caricaturisti napoletani.
Vittime
predilette dei suoi strali satirici sono personaggi - simbolo come
Napoleone III, Federico Guglielmo di Prussia, l'imperatore Francesco
Giuseppe, Francesco II di Borbone, Pio IX, Cavour, Vittorio Emanuele,
Rattazzi, La Marmora ecc. Unico personaggio intoccabile è Giuseppe
Garibaldi.
La
seconda fase nella sua produzione politica ha inizio durante gli anni
'70, e per Delfico, come per la caricatura italiana in generale, è
caratterizzata da una sorta di ripiegamento su posizioni sempre più
qualunquiste.
Negli
anni '80 egli lavora presso la redazione del "Caporal terribile",
una testata che è lo specchio fedele dell'atmosfera dei tempi, nata per
dar corpo ai malumori ed alle amarezze di coloro che erano delusi dal
processo post-risorgimentale, e Delfico è fra costoro: lontane ormai
l'energia, la vitalità e la fiducia dei 30 anni, le sue vignette
politiche riflettono lo sguardo disilluso, amaro e cinico dell'anziano
garibaldino, la carica satirica si attenua. Dalla "demonizzazione"
dei grandi personaggi degli anni '60, che aveva trasformato questi
ultimi in vere e proprie maschere, si passa alla "demitizzazione"
dei piccoli protagonisti della saga provinciale degli anni '80.
L'ultima fase della sua produzione politica, come dicevo, è segnata da
un generico e disincantato qualunquismo. E negli ultimi anni fugge anche
dal ripiegamento sul municipale: suo canto del cigno è, nel 1891,
l'album "Pompei ed i pompeiani", del quale Giuseppe Verdi ebbe a
scrivergli: "...Ma ditemi,... (scusate) perché andare a resuscitare un
mondo che non è più il nostro? So bene che anche quel mondo antico sarà
stato caricaturabile come lo è il nostro; ma noi a stento ce lo
immaginiamo, ed a stento lo comprendiamo."
Ripiegamento
dunque, rifugio nel passato: con questo album l'antico satiro sembra
dire: "Per me, ormai, l'ultima possibile fonte di ispirazione è fuori
dal mio tempo".
Questa
è la parabola della sua produzione politica, ma c'è un altro
importante versante della sua produzione caricaturale: quello del mondo
sociale a cui il Delfico appartiene, cioè quello medio-alto della
aristocrazia e della borghesia, e quello del mondo musicale e teatrale
napoletano. Nei confronti di questo mondo sociale ed artistico, lo
sguardo del caricaturista resterà affettuosamente attento fino alla
fine e la sua satira non sarà mai ferocemente dissacrante (tranne in
casi molto particolari), ma sarà invece arguta, bonaria, elegante, a
volte affettuosamente ironica. Il Delfico "non-politico" è un
caricaturista del "bel mondo", non un caricaturista di costume. Egli
non è un Savonarola, un fustigatore di popoli, ma di oppressori di
popoli.
Gavarni,
poeta satirico del bel mondo parigino, traduce l'indolenza, l'ambiguità
e la perversione dei soggetti caricaturati in un disegno dalla linea
elegante, morbida e sinuosa, ed i corpi risultano mollicci e
dinoccolati.
Delfico
invece usa una linea semplice, quasi infantile. I suoi personaggi
risultano pupazzettati ma solidi, ben piantati sulle piccole gambe,
forse grassi, ma mai mollicci. In lui la raffinatezza è affidata al
chiaroscuro.
E
comunque quella che Delfico ci presenta è una società mai salace, mai
allusiva, pudica e di bei modi, una società in cui la gente è sempre
dignitosamente vestita, e si incontra per discutere il nuovo cartellone
del San Carlo, o la riuscita di un'opera, o le piccole manie di un
amico, una società nella quale non esistono né straccioni né
mendicanti, tanto diversa da quella rappresentata da un Rowlandson o da
un Daumier o da un Gavarni.
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