De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Breve cenno sul progetto di un porto da

costruirsi alla foce del fiume Pescara

di Melchiorre Delfico

Scritto il 27 aprile 1825, pubblicato nelle Opere complete, Teramo, Fabbri, 1901-1904, a cura di G. Pannella e L. Savorini, vol. III, pp. 631-644

Se il commercio, è la sola sorgente inesausta della ricchezza e floridezza delle Provincie, se col suo mezzo non solo le derrate, ma eziandio gli usi, costumi, e cognizioni dei diversi popoli si permettono e framischiano, d’onde ne sorge la reciproca coltura, e civilizzazione degli uomini, lo scopo principale adunque di ogni nazione dev’essere quello di creare ad ogni costo degli stabilimenti per facilitarlo, e renderlo per quanto è possibile di proprio vantaggio e profitto.

Il mare, questo immenso ammasso di fluido, che sembra circondare la terra, che con le sue diverse ramificazioni par che divida e separi l’una contrada dall’altra, che col suo tempestoso moto, ed impetuosità delle maree, minaccia talora di sommergerle, e che al dir del Venosino Poeta costò triplice bronzo e forza al petto do colui che audace su fragil legno volle tentare la prima volta i liquidi suoi sentieri, reso ora docile al peso di numerose navi, che la scienza del nocchiero rende abbastanza sicure, presenta infinite comunicazioni mercé le quali i diversi Popoli si avvicinano fra loro, onde esercitare il più ben regolato commercio.

Non riconobbero forse nei tempi remoti gli Egizii, i Fenici, i Greci, i Cartaginesi, e finalmente l’Italia la loro opulenza, la rapida perfezione delle loro arti, e scienze la coltura in somma dal mere, e precisamente dal Mediterraneo, che quasi fluido vitale internandosi dappertutto nelle loro spiagge, vi aveva formato l’Arcipelago, ed infiniti golfi, e seni, dando così agio, e comodo alla loro reciproca corrispondenza? E senza riandare ad epoche così lontane, l’America sebbene da poco tempo scoperta, sebbene separata dall’Europa dall’immenso Oceano, non si trova forse quasi al livello di civilizzazione, e coltura delle nazioni Europee alle quali va di tanto debitrice, solo perché quest’istesso Oceano che sembra posto dalla natura per separarla eternamente dal vecchio continente e ha fornito con noi infinite comunicazioni? I Tartari, i Russi, i Lapponi, ed altre nazioni Mediterranee sono prive di tal grado di coltura sebbene più vicine dell’America al centro delle civilizzazione. Confessiamo adunque, che il mare anziché separare riavvicina le Nazioni fra loro.

Ma a nulla esso giovar potrebbe, se le coste dei continenti non fossero preparate in modo da cospirare all’oggetto e fornite di buoni porti e non presentassero degli asili sicuri ai naviganti.

Le coste del Tirreno, e Ionio nel nostro Regno offrono di buoni siti per la costruzione dei porti, ed in taluni punti di essi, i diversi seni di mare, che si formano dalle punte sporgenti di promotori, senza verun’altra spesa offrono già sicuro ricovero alle navi; ma per nostra disgrazia la costa dell’Adriatico è priva  dell’intutto di siti adatti al suindicato oggetto, e negli antichi tempi, come ci rammenta la storia, se qui taluni ve ne furono, al presente la poca avvedutezza in conservarli, ma più potentemente la causa generale delle correnti, che qui appresso sarà accennata, ha fatto sparire per fino le tracce de’ famosi porti, che nei vetusti tempi formavano la ricchezza di queste contrade.

Oltre del moto ordinario del mare suscitato dai venti, per costante fenomeno si osserva, che le sue onde prendono diverse direzioni, formando numerose correnti la di cui forza lenta sì, ma perenne, giunge a cambiare dopo qualche tempo la configurazione delle coste marittime.

La corrente che senza dubbio esiste nel Mediterraneo, secondo le osservazioni di più accurati naviganti, in direzione quasi da Ponente verso Levante, giunta appena nella costa occidentale della Grecia, torce per tale ostacolo il suo corso, e cerca aprirsi il varco, nell’interno dell’Adriatico per lo stretto di Otranto.

Percuotendo direttamente la costa meridionale della Dalmazia, vi ha prodotto quel numeroso ammasso d’isole rimpetto a Spalato, che per la somiglianza del loro terreno, e prodotti, a chiare note, dimostrano aver formato parte una volta del continente cui sono vicine.

La stessa seguendo il suo corso verso Maestro, percorre quasi parallelamente la costa delle Provincie Illiriche fino a Fiume, dove ha benanche distaccate delle Isole di forma bislunga in modo, che la sola ispezione oculare che la sola ispezione oculare della Carta Geografica è sufficiente per conoscere la direzione della corrente.

Continuando poi con pochissima energia e celerità tanto per gli ostacoli precedentemente incontrati, quanto per la forza reattiva, che ad esse presentano le correnti dei moltissimi fiumi, la Piave il Tagliamento, l’Adige, la Brenta, il Po ecc. lambisce lungo la costa Greco-Levante dell’Italia, nella quale ha formato delle immense deposizioni di sabbia e di limo, che rendendo il litorale unito, ed uniforme han fatto sparire quelle baie o seni, che forse una volta vi esistevano, ed ha colmati interamente i porti, che la mano dell’uomo vi aveva costruiti.

Queste continue apposizioni di arena trasportate dalla sudetta corrente, sono la sola ed unica causa della protrazione, ed aumento della spiaggia dell’Adriatico da questa parte, la quale si manifesta dall’osservare la città di Ravenna tre miglia lontana dal mare dove che all’epoca dei romani vi era vicinissima, e provveduta di un ottimo porto.

Le nostre torri littorali sebbene costruite da poco tempo accanto al mare, pure ora ne sono sensibilmente lontane.

Il sig. Olivi in uno schizzo sulla topografia del mare Adriatico ha fatto conoscere che la qualità del suo fondo è varia nei diversi punti; dov’è arenosa, dov’è argillosa, altrove pietrosa; che il limo continua fino alla metà del mare da questa parte, e che al di là i fondi sono calcarei profondi e solidissimi fino agli scogli dell’Istria e della Dalmazia.

Quale prova maggiore dell’esistenza e direzione della cennata corrente?

Non trovandosi adunque nel litorale Adriatico queste baie, o seni, adatte a costruirvi dei porti, ed essendo la corrente del mare disposta a colmarle, e farle continuamente sparire, se ve ne fossero invece di formarne delle nuove fa d’uopo ricorrere alle foci dei più grandi fiumi che vi sboccano, e profittare di esse, onde con i convenienti stabilimenti renderle a formare il ricovero delle navi.

Nella Romagna sono costruiti in tal modo i porti di Sinigaglia, Pesaro e Rimini, sebbene siano formati dalle foci di fiumi di pochissima considerazione.

Nei detti fiumi la forza della corrente controbilancia in parte quella della corrente marittima, ed il continuo fluire delle loro acque impedisce che il mare formi delle grandi deposizioni alle foci, ed in tal modo rendono stabile, e sicuro il porto. Tutto al più ci si formeranno delle deposizioni laterali che a nulla sono nocive per l’oggetto.

Or siccome nel litorale degli Abruzzi altro fiume rimarchevole non si presenta che la Pescara, tanto per la sua situazione centrale che per la sua grandezza, così è d’uopo ad esso rivolgere il nostro esame onde costruirvi un sicuro porto.

Questo fiume chiamato anticamente Aterno ha la sua più lontana sorgente accanto Montereale circa 15 miglia al nord-ovest dell’Aquila, dopo aver bagnati gli avanzi dell’antica Amiterno  e ingrossato dal lago Vetojo, dalle acque di Tempera e di Paganica, traversando quindi la pianura di Campana, si getta nella valle di Acciano e poscia sempre ristretto traversa la valle di Raiano; e volgendo il suo corso verso il nord nella pianura di Solmona riceve le copiose acque dei fiumi Villa Pizzi, Sagittario ed altri, dai quali ingrossato, scorre verso Popoli, ove lascia di Aterno il nome, e prende quello di Pescara.

Nel così detto vado di Popoli, la Pescara comincia ad avere un letto più largo e più profondo, e scorrendo quindi in tal guisa fino alla pianura sotto Chieti, riceve a sinistra l’acqua di Bussi, ed in seguito il Cigno e la Nora, ed a dritta le acque sulfuree e bituminose dei torrenti Orta, Arollo Lavino e del così detto fosso di Manoppello; percorre poscia la nominata pianura con giri tortuosi e diviso in diversi rami, forma infinite isolette e deposizioni di ghiaia e pietre fino a circa 4 miglia dalla foce, dove restringendosi il suo letto, torna a divenire più profondo, e si scarica nell’Adriatico, attraversando la piazza di Pescara, dopo aver percorso un tratto di quasi 70 miglia.

La costruzione del porto alla foce del detto fiume Pescara riunisce infiniti vantaggi, tanto commerciali, che militari; essi saranno man mano considerati qui appresso.

Per ora gioverà indicare gli ostacoli che s’incontrano nella sua costruzione, e si enuncieranno i mezzi dell’arte onde rimuoverli.

La Pescara nel suo ultimo tratto, allorché s’imbocca nel mare, scorre in un terreno pressoché piano, in modo che la sua velocità si trova essere appena di 3 palmi a secondo.

Le sue acque in qualunque stato si trovano, o estremamente basse, o straordinariamente escrescenti, per la piovane che sopraggiungono, sono torbide, pregne di argilla, e sostanze calcaree, e schiose, che vi trascinano i diversi influenti dalle lontane montagne, ed i torrenti di vicini colli, e perciò non potabili, che dopo più giorni di riposo. Per tale cagione il suo letto in generale, e più precisamente vicino alla foce ove la velocità è piccola, è soggetto ad essere sopraccaricato da considerevoli ammassi di arena e di melma, che rialzando inegualmente il fondo inferiore producono quella poca profondità alla foce, che impedisce delle volte di farci entrare persino le tartane pescar ecce che non pescano più di 3 palmi.

Ad ovviare tale primo, ed essenziale inconveniente, e rendere a detto tronco fino alla foce quella necessaria profondità di acqua che si richiede pel libero passaggio de’ più grandi navigli mercantili, altro non vi fa d’uopo che aumentare la velocità delle sue acque.

In tal modo le sostanze fangose deposte, seguendo il naturale impeto della corrente sono cacciate via, e frammischiandosi colle acque marine vanno in seguito a disperdersi, o deporsi nelle spiagge laterali senza produrre verun ostacolo.

L’arte c’insegna, che la velocità si aumenta, o coll’accrescersi la quantità delle acque, scorrendo con giusto pendio nell’istesso alveo, od obbligando l’istessa quantità di acqua a scorrere in un alveo più ristretto.

Tanto il primo, che il secondo metodo potranno porsi in opera nel nostro caso.

Il tronco del fiume che attraversa la fortificazione della piazza presenta in tutti i suoi punti una profondità molto maggiore di quella della restante porzione, dal termine della piazza fino al mare, solo perché trovasi ristretto nelle sue sponde da forti argini, cioè alla dritta, dal lato della piazza, da una banchina fondata sopra palafitte, e sormontata da buona quantità di fabbrica, ed alla sinistra da un antichissimo muro, che per la sua solidità, e configurazione manifesta di appartenere all’antico porto di Aterno; dove che la sopradetta restante porzione, trovando all’uscire della piazza un terreno piano, e quasi orizzontale vi si dilata, ed a seconda degli urti che riceve dalle onde del mare cambia la profondità, e configurazione della sua foce.

Quindi sarà utilissimo, ed indispensabile, che lungo il detto tronco dalla piazza al mare si costruiscano da ambo i lati due braccia di banchine simili in costruzione a quella che trovasi già nella ripa dritta verso la piazza. Nella di loro direzione però non devono le sudette braccia essere convergenti verso il mare in modo, che la loro apertura verso la foce non sia maggiore della metà della larghezza, che trovasi avere il fiume nel tronco che attraversa la piazza.

In tal modo restringendosi l’alveo del fiume a guisa d’imbuto, le acque vi scorreranno con maggior velocità, e la loro energia sarà non solo sufficiente ad espellere tutte le sostanze fangose dal fondo del fiume, e ad accrescerne la profondità, ma benanche ad opporre una forza reattiva alle onde del mare, ed impedire le deposizioni ala sua foce.

La più evidente prova di ciò si osserva al presente col fatto. Per lo addietro il fiume aveva una specie d’isoletta vicino alla foce, e scorrendo perciò per due rami aveva debolissima velocità, ed il suo fondo non era che di 3 1/2  palmi circa dal pelo dell’acqua. Al presente per quelle solite variazioni alle quali va soggetto l’alveo del fiume si scorge colmato con un banco misto di arena e fango il ramo di fiume tra la piccola isoletta e la ripa dritta, e in tal modo la corrente non avendo che un solo alveo e più ristretto del primo, scorre con più velocità,,e la profondità si trova cresciuta fino a 5 palmi. Or se tanto possono le capricciose cause, quale ne sarà il vantaggio se l’arte vi si unisce, e le sottopone a leggi costanti? Sarà necessario ancora di prolungare le dette braccia alla distanza di circa altre 50 o 60 canne dentro il mare dove l’osservazione manifesta esservi la profondità di 8 in 10 palmi, che è più che sufficiente pel transito de’ più grandi navigli di commercio.

Dippiù onde porre un ostacolo alla corrente del mare di sopra enunciata, causa degli interramenti di porti, converrà rendere più solido, e più lungo eziandio il bracci a sinistra, fornirlo di una competente scogliera, e configurare la sua estremità circolarmente, onde la foce del fiume non sia esposta direttamente agli urti del vento Nord-Est, ossia Greco che domina in questi paraggi, e non sia di nuovo soggetta ad essere colmata dalle arene le quali in tal caso trascinate dalla corrente marittima andrebbero a deporsi dietro il braccio a sinistra che si costruisce di maggior lunghezza.

Riparato in tal modo l’essenziale inconveniente della poca profondità, attualmente si trova avere il tronco inferiore del fiume, esaminiamo quale siano i mezzi, che l’arte ci suggerisce, onde mantenere la detta profondità, ed espellere le nuove sostanze fangose che o per la natura delle sue acque torbide, o per mezzo delle alluvioni, vi si possono nuovamente deporre.

Sono le alluvioni l’effetto delle straordinarie escrescenze dei fiumi prodotte, o dalla liquifazione delle nevi, o dalle soprabbondanti piogge, o da amendue tali cause riunite.

Esaminando il sistema idrografico dei fiumi nel nostro Regno si osserva, che dalla catena principale degli Appennini si staccano delle colline secondarie tanto dalla parte del mare Tirreno, che dall’Adriatico. Tali colline a guisa di contrafforti delle volte si prolungano fino vicino al mare.

Le vallate, che nei loro interstizi lasciano le enunciate colline, decidono ordinariamente del corso dei fiumi; i quali in generale hanno breve corso, attesa la poco distanza della loro sorgente dal mare.

Quindi ne avviene, che verso la metà della primavera, la liquefazione delle nevi nel dorso dei monti, e nel principio dell’autunno, le piogge che sopraggiungono aumentando il volume delle acque in breve tempo, producono quelle straordinarie escrescenze, ed alluvioni, che inondando le vicine campagne tanto danno producono all’agricoltura.

Alle riferite cause fa d’uopo aggiungere la seguente non meno essenziale, ed interessante. Lo sboscamento delle colline, che con dolore vedesi generalmente effettuare, l’estirpazione finanche delle radici degli alberi per coltivarne il suolo, non presentando più sostegno ai terreni inclinati, ed il fogliame di essi alberi non servendo più come filtro alle piogge, che man mano andrebbero ad essere succhiate dal sottoposto suolo, ne avviene che le acque non più trattenute, si accumulano rapidamente nei diversi solchi dei terreni, vi producono delle frane, e spaventevoli burroni ed istantemente riempiono l’alveo dei fiumi delle loro torbide onde miste a’ grossi macigni, e svelti tronchi, che maggior ostacolo presentano al libero corso del fluido.

Tale è la circostanza del fiume Pescara, che nel suo tronco da Popoli al mare potrebbesi chiamare torrente attesi i caratteri che ne presenta.

I suoi influenti, l’Orta, il Lavino, il così detto fosso di Manoppello da una parte, il Cigno, la Nora dall’altra, scorrendo per terreni quasi del tutto privi di alberi, dovecché mancano di acqua in taluni tempi, in altri colla loro eccessiva energia producono lo straripamento della Pescara.

Sì fatte inondazioni però lungi dall’esser nocive al porto in quistione, gli sono piuttosto vantaggiose.

La velocità maggiore che la corrente del fiume in tal caso acquista per l’immenso volume cresciuto di fluido, espelle dal fondo tutte le sostanze arenose, e limacciose, che la torbidezza delle acque vi aveva per lo innanzi deposte, e ne aumenta perciò quella profondità di cui si va tanto in traccia.

Infatti nell’alluvione accaduta in Settembre 1819, come apparisce da un giornale redatto da persona dell’arte, sebbene le acque si fossero dilatate coprendo la campagna a dritta, e sinistra, pure la velocità del fiume, nella massima escrescenza, si trovò di 12 palmi al secondo, e la foce fu sgombrata dell’intutto de’ banchi di arena, che formando de’ bassi fondi rendevano impossibile l’entrata de’ legni carichi.

Se dunque la natura stessa colle sue grandi cause ci presenta il mezzo sicuro per mantenere quella nettezza, la quale se è necessaria in tutti i porti generalmente; nel presente caso si rende assolutamente indispensabile; perché adunque la stessa natura imitando, non produciamo delle picciole alluvioni  artificiali, che avendo il loro effetto solo nella foce del fiume non arrecano danno alle vicine campagne, e servono nel tempo stesso tanto per mantenere nel fondo una costante profondità, quanto per impedire che delle acque torbide, e fangose nuove deposizioni si facciano nel fondo stesso, e nuovi banchi di arena sorgano alla sua foce?

Il mezzo più adatto, ed economico per conseguire tale scopo non consiste in altro che in costruire un sistema di chiuse, o portelloni di legno fra i piloni del ponte, che trovasi attualmente nel centro del tronco, che attraversa in piazza.

I detti portelloni forniti dell’enunciato meccanismo, chiudendo gli spazii fra i cennati piloni obbligheranno l’acqua ad accrescersi sopra corrente di varii palmi, ed aprendosi quindi istantaneamente, daranno il libero passaggio ad una corrente più veloce che produrrà tutti quei vantaggi di sopra enunciati. Col detto sistema di chiuse si evita la costosa manutenzione de’ Sandali i quali con immensa fatica non mai producono quell’effetto per il quale son destinati, e non tolgono la vera sorgente de’ divisati inconvenienti.

Riassumendo quindi le idee, la costruzione del porto nella foce del fiume Pescara consisterebbe:

  1°  Nella formazione di due moli o banchine nelle due sponde dal tronco inferiore della piazza, fino ad un tratto dentro mare; la loro lunghezza unita è di circa canne 960, per cui la spesa per tale costruzione (fatta sopra palafitte, graticolato riempiendone gl’interstizi di brecciale mescolato con calce e puzzolana, e sormontata da una quantità di fabbrica sufficiente), potrebbe essere ad un dipresso di ducati 132.000.

  2° Una scogliera che preservasse le parti della detta banchina, che sporgono dentro mare dall’impeto delle onde. La spesa di tale costruzione può fissarsi di ducati 1.300.

  3°  La costruzione del sistema di chiuse fra i piloni del ponte, per la quale è sufficiente, la spesa di ducati 3.000.

  4°  La costruzione del faro, ossia torre colla lanterna; la cui spesa può ascendere a ducati 4.000.

  5°  Finalmente la costruzione di un lazzaretto sopra una delle braccia delle banchine; la cui spesa può stabilirsi di ducati 8.000.

Quindi l’intiera spesa per la costruzione del porto non ascende che a soli ducati 160.000 centosessantamila.

Gioverà per altro osservare che nella detta somma può anche farsi considerevole risparmio, qualora sia economicamente amministrata, e qualora si consideri l’opera gratuita, che a gara offrirebbero gli abitanti di Pescara, e de’ vicini Comuni di Villa del Foco, S. Silvestro, Castello a Mare, Spoltore, e Monte Silvano, per costruire un’opera che produrrebbe nel tempo stesso la loro ricchezza individuale, e la floridezza degli Abruzzi.

Si fa rimarcare eziandio, che la spesa sopra enunciata può essere se non interamente, almeno nella massima parte rivalutata da proventi, e dritti del porto stesso, nel corso di pochi anni. Dippiù la ripristinazione della dogana d’immissione che in questa piazza fino allo scorso anno ha fornite al Regio Erario tante considerevoli rendite, malgrado l’imperfezione della località; quante altre più vistose ne produrrebbe, ora se fosse favorita da un sicuro porto?

Costrutto in tal modo il porto sulla Pescara, quali considerevoli vantaggi non meno, che dell’interno del Regno?

Pescara punto centrale nel litorale degli Abruzzi, ove vanno a riunirsi tre principali strade, cioè la consolare che partendo da Napoli per Capua, Isernia, Roccaraso, e Sulmona giunge alla detta piazza, e le altre due littorali, l’una fino alla frontiera, e l’altra verso Francavilla, Ortona, ove si unisce alla traversale per Lanciano, Palena, vasto ecc., nelle quali strade vanno a metter capo moltissime traverse delle mediterranee città, talune delle quali di già costruite, presentando così infinite comunicazioni per tutto l’interno delle cennate provincie, agevolano tanto l’estrazione de’ proprii prodotti, che l’immissione delle straniere derrate.

Oltracciò quale altro porto all’infuori del presente in tutto il litorale degli Abruzzi, ed anche inferiormente, avrebbe il vantaggio di esser protetto, e circondato, quasi da una piazza forte, che nel tempo stesso gli serve di scudo, e gli offre nel suo interno infiniti locali accanto, rendendosi così facile il trasporto, e sicura la conservazione delle mercanzie straniere che s’immettono, o di quelle che l’industria nazionale vi riunisce in deposito per l’estrazione?

Tali magazzini, che formano uno de’ principali oggetti in un porto, si trovano quivi di già costrutti, dovecché negli altri o mancano dell’intutto, o sono in scarso numero, e poco idonei. Il porto di Pescara sotto il nome di Ostia Aterni formava uno de’ principali stabilimenti, di tal genere ne’ tempi remoti. Esso era celebre pel tempio, e Collegio d’Iside, e pel commercio con Salona in Dalmazia.

Se si rivolge uno sguardo alle antiche Istorie de’ popoli che hanno abitato queste nostre contrade, si conoscerà chiaramente l’opulenza, la ricchezza, e l’immensa popolazione de’ Sanniti, Marsi, Peligni, Vestini, Marrucini, e Frentani, i quali nella famosa guerra marsicana si presentarono cogli scudi, ed altri arnesi d’oro in campo contro il Console Papirio, e che poi resi dei Romani istessi alleati, sebbene avessero nella passata guerra perduti per lo meno centomila combattenti, pure secondo la testimonianza di Polibio, inviarono sotto le bandiere romane settantamila fanti e settemila cavalli, che ora appena potrebbero riunirsi in tutto il Regno.

Tutto ciò era conseguenza del commercio, che per mezzo di moltissimi porti, essi esercitavano, e specialmente di quello di Aterno, onde a ragione fu nominato dal geografo Strabone, Emporio dei Frentani.

Tant’era l’importanza del riferito porto di Aterno, che in esso andavano a terminare tre famose strade consolari ai tempi de’ Romani la Claudia, la Flaminia, e la Frentana. La prima fu costruita dall’Imperatore Tiberio Claudio, per aprire una comunicazione dall’Adriatico pel dorso dell’Appennino fino a Roma.

Nell’agro chietino fu trovata in una colonna milliaria la seguente iscrizione riportata da Lucio Camarra (De Teat. Antiq. Lib. 1. e 5.)

 

T. CLAVDIVS

CAISAR

AVG. GER. PONT. MAX.

TRIB. POT. VIII. IMP. XVI.

COS. III. PP. CENSOR.

LAM CLAVDIA ALER...

A CERFENNIA… OSTIA ATER…

MVNIT IDEMQVE

PONTES FECIT

XLIII. (1)

 

 

Ed infatti la detta via Claudia Valeria incomincia da Cerfennia ne’ Marsi, detta oggi Coll’Armele, ad oriente del Lago Fucino, ove terminava la via Valeria, ed attraversando l’Appennino, ove al presente è Forca Caruso, passava per la famosa Corfinio, e terminava alla foce dell’Aterno, per lo spazio di circa 53 miglia.

Ove terminavano le vie Claudia e Flamminia incominciava la Frentana, che poi restaurata dall’Imperatore Troiano, fu chiamata Troiana-Frentana. Essa attraversa Ortona, Lanciano, Vasto, Larino, e per la Puglia tendeva a Brindisi. Tale via servì in diversi tempi ad Annibale, quando dalle nostre regioni si portò in Canne, ed a Cesare, allorché dopo fatti prigionieri i partigiani di Pompeo a Corfinio si ricondusse a Brindisi.

Se dunque gl’Imperatori Romani avevano a gara costruito delle strade per agevolare i vantaggi commerciali del porto di Aterno, perché ora che mercé le provvide cure del Governo, Pescara si trova eziandio contro di tre principali strade, egualmente che lo era ai tempi di Roma, non rivolgiamo tutte le nostre cure, ed i nostri sforzi a costruire, e ripristinare il porto, che tanto utile recherebbe ai tre Abruzzi non meno, che alle altre Provincie del Regno? Perché non profittare di tale vantaggioso sito che la natura ci presenta?

E che? Gli antichi monumenti della nostra grandezza, che ad ogni punto del terreno che premiamo, o esistono, o sono scoperti, ed infranti da solchi dell’aratro, si presenteranno al nostro sguardo per solo stupidamente ammirarli, ed alimentare la nostra superbia, piuttosto che servire d’incitamento per ricondurli al loro primiero splendore, e ridonare a queste contrade l’opulenza e la perfezione di cui furono una volta capaci?

Ci giova sperare che tutti gli enunciati vantaggi saran posti in matura considerazione onde deliberare favorevolmente alla costruzione di siffatto stabilimento.

Non isgomenti punto la spesa, che è piccolissima in paragone dell’utilità del porto della Pescara, che a differenza degli altri stabilimenti, che servono al lusso di pochi particolari presenterebbe il più sicuro mezzo per arricchire, e popolare di nuovo queste contrade.

Pescara li 27 Aprile 1825

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(1) La lettera F rovesciata che vedesi in questa iscrizione esprimeva V consonante che i latini non avevano e fu una delle 3 nuove lettere che il detto imperatore Claudio aggiunse all’alfabeto e che dopo la sua morte andarono tosto in disuso.