La
Biblioteca di Stato [di San Marino] possiede un copioso numero di lettere autografe di Delfico
indirizzate alla Contessa Chiara Mucciarelli in Simonetti presso Ascoli.
Di
lei sappiamo solo che era legata a Diomira, moglie di Orazio Delfico e
madre di Caterina e Marina, da un rapporto di sangue. Le era infatti
sorella.
Dagli
scritti posseduti non emergono altre importanti informazioni.
La
prima lettera è datata 19 settembre 1818 ed il tono è senza dubbio molto
confidenziale. Finora avevamo conosciuto un corrispondente che colloquiava di
politica, affari di stato, scienza ed cose di famiglia, non avevamo conosciuto
la sua capacità all'uso di parole
dolci, tenere affettuose, espressioni cariche di sentimento e di amicizia.
Melchiorre
si rivolge alla sua amica di penna e la chiama Chiarina…un diminutivo
che trasmette tenerezza, affettuosità e
le rammenta, soventemente, il
sentimento amicale che li lega, un sentimento che li coinvolge ma che, egli
scrive ... la reciprocanza di affezione e di amicizia non hanno tanto bisogno
di presenza come l'amore.
Pensando
al momento in cui il loro incontro si sarebbe potuto realizzare egli si
commisera e la compatisce per come lo troverà
il viaggio di Primavera è il mio favorito pensiero, per rivedere
tante persone che mi sono care…e voi sarete del numero, e farete un zompo, per
riveder che? Un sacco di ossa rotte.
All'epoca Melchiorre aveva gia
superato la settantatina ma non lesinava, né provava vergogna alcuna, ad
esternare i moti del suo cuore.
Contento di rivedere i tuoi caratteri,
lo sono stato molto più della conferma de' sentimenti della delicata amicizia
tua. E benché dovessi essere più che sicuro, il cuore prova pur nuovo piacere
nella ripetizione di que' sentimenti
che soavemente lo toccano…sarebbe
troppo per me, il credere di poter dar luogo a gare sentimentali, giacchè le
mie circostanze, non dirò antiche, ma vecchie, mi condannano a dovermi
contentare dei primi gradi della benevolenza; ed infatti me ne contento, senza
però disgustarmi di chi volesse sentire più generose affezioni.
Nello scrivere ai
suoi tanti conoscenti, il teramano si avvale di tuttaltro registro linguistico e
non usa mai espressioni affabili e termini linguistici così delicati parlando e
riferendosi alle donne della sua famiglia.
L'unica persona
verso la quale scrive tenerezze è la piccola Marina, la repubblichina, che nello svolgersi
temporale della corrispondenza tra Delfico e Chiara Mucciarelli, ritroviamo
donna, sposa e madre felice.
Considerando che tra
i due corrispondenti non vi era una diretta parentela, Chiara era infatti
sorella di Diomira, nipote acquisita di Melchiorre.
Possiamo solo
supporre che Chiara fosse molto giovane e persona in grado di far breccia nel
cuore di un uomo, che pur avendo tante persone vicine, non si è mai costruito
una sua propria famiglia.
Firmandosi Zio
scrive…non
è nuovo al mio orecchio ed al mio cuore il nome o titolo di affezione col quale
mi trattate, poiché mi ricorda, che me lo accordaste dal primo momento della
nostra conoscenza, ed io me ne consolavo, e ne provava gratitudine.
Sicchè dovete chiamarmi sempre così,
tanto più non è una denominazione di necessità, di uso, o di abuso per parte
vostra, ma una espressione sincera di spontanea affezione, che mi si rende più
più cara, perché vi mette allo stesso grado della vostra ben amata e pregiata
sorella. E poiché al titolo di famiglia, aggiungete quello di amica, eccovi
positivamente costituita nello stesso grado.
Con lei vicino egli
è in grado di provare una gioja
tranquilla, che sola è cara all'animo …nell'età non amica delle troppo
vive sensazioni.
Le parla dei puttini
di Marina,
delle sue opere scrittorie della salute e dell'amicizia.
Col passare del
tempo, Delfico già in là con l'età lamenta che il
cuore va sempre più alla carlona o all'antico. E voi scrive
rivolgendosi a Chiara
par bene l'intendiate, cogli eccitanti che mi favorite, e de' quali vi
ringrazierò…venite dunque, e dirremo tante cose, e qualcuna ne faremo, perché
vogliamo stare allegramente anche senza teatro e festini. Finisco dandovi un
abbraccio in aria, a conto quelli tanti che vorrebbe darvi in corpo e anima, chi
sarà sempre il V(ostro) Melchiorre.
Dunque Chiara ben
comprende i bisogni intimi dell'anziano amico e affida alla carta care parole
e tenere attenzioni. Nella lettera
del 16 febbraio 1828 Delfico la ringrazia per i ripetuti regali che ella le
invia, lui li definisce sperimenti
di ciò che può esser utile alla mia salute.
..i
liquori sono eccellenti…lo stomaco…ha commesso a me di darvi le sue
indicazioni, e poi tanti ringraziamenti, che dovrò esprimervi in versi, se
fossi poeta, animato dall'astro di Bacco o di amore.
Ma basta così, perché ora la mia
sensibilità non agisce molto in distanza. Ma che sarà quando saremo vicini? E
si firma vostro più che zio ed a(mi)co.
Era sicuramente
trascorso un altro lungo e rigido inverno, stagione durante la quale
l'isolamento di Delfico si faceva più pesante. Egli stesso affermava di non
poter passare molto tempo allo scrittojo a causa del freddo.
Il 28 marzo 1829
scrive
…dalla nostra Diomira ho ricevuto il caro foglio, che ho riletto baciandolo;
tanta è l'amicizia che ne spira, e la delicata espressione del vostro cuore.
Del resto fra noi non dobbiam far scuse
di ritardati riscontri, perché l'amicizia è libera, e non richiede
precisione di tempo, necessaria solo negli affari o in caso di salute.
Egli ci ribadisce a
parole, quanto per lui conti l'amicizia. Soprattutto con il passare degli anni
la definisce principio vitale di conservazione. La vera amicizia non si misura
per gradi, né per contatti frequenti.
Molte lettere che i
due corrispondenti si scambiano veicolano istruzioni riguardanti la messa in
stampa di alcune opere del Delfico, dalla scelta dei caratteri alle questioni più
meramente economiche che vertono sulla operazione editoriale.
Chiara non solo
riceve lettere personali, ma diventa anche dispensatrice di posta che Melchiorre
le invia con la preghiera di indirizzarla direttamente ai destinatari.
In una cortissima
lettera Melchiorre dal voi
passa al
Tu
Mia cara….sarei lungo e nojoso, se
volessi scriverti quanto sente il mio cuore, ma tu puoi ben comprendere, che fra
i miei pensieri che mi hanno condotto qui, non è stato l'ultimo quello, del
bene che mi prometteva di rivederti e riabbracciarti di persona, come ora fo col
cuore, confermandomi sempre tuo.
Nel 1832 alla
veneranda meta degli ottentotto anni Melchiorre si dice sereno della vita
famigliare, delle inalterate facoltà intellettuali e di tutta la memoria del cuore.
Per tutto ciò
sostiene di dover essere contento.
Voi potete contestarlo dice rivolgendosi alla cara amica..ed
è così che il cuore ripetendovi la sua gratitudine, vi ripete ancora il vivo
desiderio, di essere rammentato dal vostro, mentre sono e sarò sempre quale V.
Aff(ezionatissi)mo a(mi)co e serv(ito)re.