De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

biblioteca - archivio virtuale

Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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I giardini e le pertinenze di Palazzo Dèlfico

nelle trasformazioni urbane tra '700 e '800

di Maria Grazia Rossi

In I luoghi della storia a Teramo. Il Palazzo Dèlfico, di AA. VV., S. Atto di Teramo, Edigrafital 2004

Nell'affrontare lo studio delle trasformazioni delle aree interne al centro abitato di Teramo appare subito evidente la mancanza di un adeguato supporto bibliografico di storia urbana, di uno studio storico specifico approfondito sugli sviluppi della città, che permetta d'inquadrare immediatamente all'interno di un discorso più ampio trasformazioni più piccole, apparentemente poco rilevanti, come, in questo caso, quelle delle proprietà Delfico (1)A fronte di una certa difficoltà nel riuscire a scoprire o ricostruire le logiche di trasformazione della città, c'è però una maggiore rilevanza di queste vicende puntuali, derivante proprio dal contributo che tali studi possono fornire alla ricostruzione della storia dello sviluppo del centro storico di Teramo.

Le vicende relative alle pertinenze di Palazzo Dèlfico, che si svolgono tra la fine del '700 e la prima metà del ‘900, assumono particolare importanza e non soltanto dal punto di vista dell'immagine urbana. Il mutare, in poco più di un secolo, del rapporto tra gli spazi del palazzo, dei giardini, e delle pertinenze, infatti, ben esprime il significato sociale e politico di una vicenda urbana altrimenti soltanto architettonica.

 

Il XVIII secolo

Durante tutto il XVIII secolo si verifica a Teramo un lento processo di trasformazione urbana che modifica completamente il carattere della città. Insieme agli sviluppi della maglia viaria e del tessuto edilizio avviene contemporaneamente una profonda modificazione della struttura sociale e politica che porta, seppur lentamente, alla sostituzione della città episcopale con la città borghese, in cui il rafforzamento del nuovo municipalismo laico rappresenta il definitivo affrancamento dall'antico potere feudale esercitato dal vescovo-principe (2).

Agli inizi del Settecento la struttura urbana di Teramo probabilmente corrispondeva in gran parte a quella tardo medievale, dove alla terra vetus – appartenente al più antico impianto romano a alto medievale e compresa tra la confluenza dei due fiumi ed il confine occidentale delle mura – si contrapponeva la terra nova, ovvero quella parte di città sviluppatasi più ad ovest in maniera significativa a partire dalla seconda metà del XII secolo, quando vi fu trasferita la nuova cattedrale aprutina. Nonostante la presenza d'importanti strutture romane e tardo imperiali, infatti, in epoca alto medievale questa zona doveva avere uno sviluppo edilizio molto limitato; solo verso la fine del XIII secolo, con la costruzione dei conventi e l'ampliamento occidentale della cattedrale, venne definitivamente spostato il centro topografico, permettendo quindi un reale sviluppo della città verso occidente. Successivamente, la ricostruzione della "cittadella" – da quella medievale, a nord della cattedrale, a quella quattrocentesca, a ovest di Porta S. Giorgio – segnava un ulteriore sviluppo occidentale della città, isolata a nord e a sud dal Vezzola e dal Tordino e ad est e ad ovest dalle mura e dai fossati di difesa. Quelli scavati all'altezza di Porta S, Giorgio crearono un'ulteriore protezione della città ad occidente e definirono, alla fine del XIV secolo, il nuovo perimetro di Teramo, che risultava così suddivisa dapprima nei sestieri di S. Leonardo, S. Antonio, S. Maria a Bitetto e S. Croce nella "terra vecchia", S. Giorgio e S. Spirito nella "terra nuova" e poi, intorno al  1562, nei soli quartieri di S. Leonardo, S. Maria, S. Giorgio e S. Spirito (3). La maggior importanza che aveva allora il Corso di Porta Romana, essendo la via da cui si usciva per Roma, venne ben presto ridotta dalla frana della ripa sinistra del Tordino e dallo spostamento più a monte della strada per Roma, Fu così che Corso S. Giorgio, la diretta prosecuzione dell'asse di attraversamento principale verso ovest, cominciò ad acquisire maggiore importanza (4). Tuttavia la densità edilizia di questa seconda parte dovette restare per molto tempo limitata, visto che nel Seicento risultava ancora in gran parte occupata dagli "orti" dei conventi di S. Agostino, di S. Matteo, dei Cappuccini e dei privati (5); anche se sulle strade più importanti si allineavano le facciate di chiese e palazzi, le porzioni di lotto retrostanti venivano definite soprattutto da strutture edilizie minori e dai relativi muri d'orto e di confine, la cui regolarizzazione era il risultato di una "politica urbanistica" attuata attraverso gli statuti e le ordinanze municipali. Tra gli edifici più importanti alla fine del XVI secolo vi erano certamente la chiesa ed il convento di S. Matteo e il primo Palazzo Dèlfico (6).

A metà del XVI secolo, quella dei Delfico era già una famiglia di una certa rilevanza, se è vero che questo primo palazzo venne eretto tra il 1512 ed il 1552, come testimoniano le iscrizioni dei portali su Corso S. Giorgio e Via Delfico. Un edificio più che importante considerate le complessive condizioni economiche ed urbanistiche della città in quel periodo (7). All'epoca i palazzi più rilevanti erano la casa dei Melatino, la casa Francese e quella degli Antonelli e De Valle, tutti di origine medievale e come tali situati nella zona orientale, per cui Palazzo Dèlfico di metà Cinquecento sembra costituire il primo esempio di abitazione civile di notevole importanza edificata su Corso S. Giorgio, cioè nella zona di sviluppo occidentale (8).

Per tutto il XVI e XVII secolo, fino agli inizi del XVIII, quindi, la direttrice di espansione principale era l'attuale Corso S. Giorgio dove numerose erano le abitazioni private, sorte anche sulle strade laterali. Prevalentemente basse, a due piani, le costruzioni ripetevano modelli architettonici tradizionali, che si riproponevano, pur con l'inevitabile evoluzione formale, sin dal medioevo (9) : murature massicce in pietra e laterizio, raramente intonacate, con semplici aperture evidenziate da stipiti ed architravi in travertino di Civitella del Tronto ed ingressi maggiormente rappresentativi con archivolti e stemmi scolpiti. Lo "stile barocco", ad esempio, si esprimeva negli edifici più importanti con balconi di ferro battuto dal caratteristico profilo bombato e nei motivi decorativi dei portali (10).

Non si ha notizia di nuove costruzioni di una certa importanza poiché gli interventi sul tessuto edilizio dovevano consistere maggiormente in ristrutturazioni ed ampliamenti tendenti al completamento delle aree già edificate: tra queste si ricorda l'ampliamento del seminario e il "restauro" del conservatorio di S. Carlo (11). A fronte di un rinnovamento delle forme architettoniche esterne piuttosto limitato, si verifica invece un'ampia diffusione dei nuovi modelli decorativi per quanto riguarda l'interno di residenze ed edifici religiosi. Tra questo tipo d'interventi, il più noto e il più importante è certamente la ristrutturazione interna della cattedrale del 1739, realizzata su disegno dell'architetto Gerolamo Rizza e promossa dal vescovo De Rossi, il quale volle trasformare una chiesa medievale, divenuta fredda, umida e tetra "per antichità di tempo", in una nuova e "moderna" in cui almeno l'aspetto interno fosse adeguato al gusto e alla cultura dell'epoca (12). A seguito della demolizione e del rinterro della "grotta di S. Berardo", compiuto durante la realizzazione di questi lavori, nel 1766 veniva realizzata anche una nuova cappella dedicata al Santo patrono, nota come Cappellone di S. Berardo, i cui stucchi vennero disegnati e realizzati dai maestri milanesi Giacomo Cantone e Stefano Interlenghi. Infine, nel 1791, durante l'episcopato del vescovo Pirelli, si restaurava anche la cappella del SS. Sacramento, abbellita dell'altare in commesso marmoreo, ancora esistente (13). Si concludeva così un vasto programma di adeguamento al gusto corrente dell'edificio maggiormente rappresentativo della città. Questa trasformazione costituisce una prassi edilizia verificata in tutto l'Abruzzo settecentesco: alla struttura originale di epoca medievale, infatti, se ne sovrapponeva una barocca che mutava la spazialità interna attraverso nuove coperture, nuovi ordini architettonici e l'uso di stucchi decorativi, mentre, esternamente, tutto restava immutato. In realtà, almeno nelle intenzioni del vescovo De Rossi, l'intervento alla cattedrale aprutina non si doveva limitare all'interno. A parte gli interventi di "restauro" compiuti per quelle case e botteghe che sorgevano addossate al lato settentrionale della cattedrale, lo stesso vescovo nel suo testamento aveva legato mille ducati per il progetto di una nuova facciata della cattedrale "colle due porte", che se fosse stata realizzata avrebbe certamente costituito l'opera tardo settecentesca più importante dal punto di vista dell'immagine urbana (14).

Il periodo compreso tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX segna il compimento dell'espansione della famiglia Delfico sia nel senso della proprietà terriera che in quella specificatamente edilizia: a tale epoca risalgono, infatti, il completamento del palazzo di Montesilvano (di origine cinquecentesca) e la costruzione del nuovo palazzo, edificato in una vasta zona di loro proprietà, in posizione arretrata rispetto al corso, ma immediatamente adiacente l'antica dimora (15). Quest'ultima, oggi ad angolo fra via Giosuè Carducci e Corso S. Giorgio e denominata dal 1929 palazzo Ponno, ha subito importanti modifiche negli anni cinquanta dell'Ottocento, quando venne demolita la torre di cui era dotata. Resta comunque a segnare il punto dal quale ebbe inizio l'espansione urbana delle proprietà Delfico, sempre più progressiva: nel 1594 un Giovanni Berardino Delfico acquisisce in una decina d'anni numerose proprietà, tanto che nel 1644 a Teramo già vi sono altri due edifici – uno nel quarto S. Giorgio e l'altro nel quarto S. Spirito – mentre nel 1749 si verifica un ulteriore incremento delle proprietà cittadine (16).

Nel 1744 nasce Melchiorre Delfico. Il gruppo di intellettuali formatosi intorno alla sua figura crea un periodo di eccezionale fervore culturale, durante il quale si sviluppa un'intensa attività tesa a migliorare lo stato economico della provincia, riuscendo a rappresentare il momento di raccordo tra le istanze locali e la politica del Governo. Tra il 1770 ed il 1790 in particolare, l'opera del Delfico, influente sia nel campo civile sia politico, lo ancor più nelle lettere e nelle arti, che giungono al loro massimo splendore (17).

E' in questo periodo che inizia la costruzione di Palazzo Dèlfico: benché descritto come ormai "ultimato" nel 1790, doveva considerarsi completato solo in parte. I lavori continuarono probabilmente con modifiche ed ampliamenti rispetto al nucleo iniziale, visto che proseguirono per molti anni ancora, almeno fino al 1847 con Gregorio De Filippis Delfico (18). Con la costruzione del palazzo settecentesco dei Delfico fu aperta sicuramente anche la strada che lo divideva dalle "pertinenze" a ovest del palazzo. Prima di allora questa era sbarrata a sud dagli orti e consisteva in un primo breve tratto, compreso tra il Corso S. Giorgio e l'attuale Via Delfico, identificabile con quella "strada Mozza" che nel catasto 1749 era indicata come uno dei confini della casa cinquecentesca di Berardo Delfico, poi venduta ai Ponno (19).

Per la scarsa documentazione attualmente esistente sui lavori al palazzo in questo periodo e le relative proprietà adiacenti, si può solo ipotizzare che all'epoca le pertinenze consistevano in terreni che da lì si estendevano in direzione sud-ovest, verso quella parte di città, quindi, ancora scarsamente edificata, occupata com'era dagli orti dei conventi e da quelli delle proprietà confinanti. Nel catasto del 1749, infatti, i Delfico risultavano proprietari di un "orto murato" ad occidente dell'antica casa e di un "orto sito adiacente ad ovest del precedente (20).

Tra le questioni che naturalmente rimangono irrisolte per il silenzio delle fonti finora conosciute ed esaminate, la più interessante per questo studio è quella riguardante il rapporto del palazzo con le pertinenze, in relazione alle diverse quote esistenti rispetto al livello stradale. Il palazzo, costruito arretrato di un isolato rispetto al corso principale della città, aveva sul prospetto occidentale la sola strada di collegamento costituita da un vicolo tortuoso e stretto, probabilmente aperto per l'occasione tra il palazzo ed i terreni adiacenti. Questi dovevano avere in quel punto una quota superiore di alcuni metri rispetto a quella stradale, se è vero che nei primi anni del secolo successivo vennero edificati tre piccoli cavalcavia che collegavano il primo piano del palazzo agli orti e ai giardini prospettanti. Questo caratteristico dislivello, per quanto è stato fin qui possibile analizzare, apparentemente unico nel suo genere in tutto il fronte stradale, non sembra essere il risultato della naturale pendenza del terreno in salita verso ovest e tuttavia neppure lo si può far corrispondere con certezza ad un preesistente terrapieno determinato da una struttura muraria più antica.

 

Il XIX secolo

Teramo si apre al nuovo secolo con le dimensioni ancora di una piccola città, di poco più di ottomila abitanti nel suo nucleo storico, ma con un periodo di grande fervore civile e culturale che, avviato sullo scorcio del Settecento, stava ancora in parte continuando (21). Il decennio francese, in particolare, iniziato nel 1806 con Giuseppe Napoleone e con la nomina di Melchiorre Delfico nel Consiglio di Stato del nuovo regno e conclusosi nel 1814 con i moti carbonari, è per Teramo un periodo di pace profonda che favorisce indubbiamente la realizzazione delle opere pubbliche (22). Tuttavia molte delle opere previste di questo periodo, vengono realizzate solo successivamente.

Se nel 1803 erano già iniziati i lavori del nuovo carcere nell'area del Convento di Sant'Agostino (23), per realizzare il Real Collegio con annessa biblioteca, embrione della futura Biblioteca Delfico, si dovettero aspettare dieci anni (24). Anche l'ampliamento infrastrutturale e in particolare quello della rete viaria, caratteristica tipica della politica urbanistica del periodo napoleonico, venne realizzato con ritardo: la costruzione della strada Teramo-Giulianova che ancora costituisce l'asse di collegamento principale tra il capoluogo e la costa adriatica, ad esempio, per la quale nel 1814 fu "strappato" un decreto di Gioacchino Murat al ritorno dalla battaglia di Tolentino, fu realizzata dal restaurato governo borbonico grazie agli obblighi del trattato di Vienna (25). Nel 1832 il Re Ferdinando II inaugurava il primo pilone del ponte sul Vezzola e sempre in questo periodo s'iniziava la costruzione del ponte sul Tordino: quest'ultimo, costruito nei pressi del guado per Forcella, era anche noto come "ponte a catena" perché realizzato in tavolato di legno, sostenuto da catene di ferro (26).

Il ritorno definitivo di Melchiorre Delfico a Teramo nel 1823, dopo il fallito tentativo di creare a Napoli un governo costituzionale, determina nuove iniziative urbanistiche. Allo scopo di dare maggiore decoro alla città, si avviava la regolarizzazione di Corso S. Giorgio. L'opera fu eseguita in parte con i fondi del Comune e in parte "a premura ed a spese" di Melchiorre Delfico: egli acquistò le case Cichetti alle quali fece abbattere i rozzi porticati che le ingombravano a metà del lato settentrionale, così che anche gli altri proprietari furono obbligati ad abbattere i propri. Successivamente venivano infatti distrutti i portici addossati alle case Thaulero e Schips lungo Corso S. Giorgio e, più tardi, anche quelli lungo il Corso di Porta Reale, oggi De Michetti (27). Fu anche "riempito" il fossato che correva fuori Porta S. Giorgio ed iniziato il viale fiancheggiato da alberi all'inizio della strada per Ascoli (odierno Viale Bovio) (28). In questo punto, nel 1826, venne realizzato l'Orto Botanico Sperimentale della Società Economica (29), insieme all'edificio sede dell'istituzione, oggi corrispondente alla Pinacoteca e alla Villa Comunale. Fra Porta S. Giorgio (ovvero tra i due larghi pilastri realizzati con la pietra del dirupo monastero di S. Atto) ed il Largo de' Cappuccini, infatti, fu creato un piano abbattendo le antiche mura della città che avevano anteriormente ancora una via stretta, forse corrispondente all'antico pomerio. In mezzo a questo grande cavo, di fronte la chiesa della Madonna degli Angeli, rimaneva una specie di promontorio, secondo Palma la testa del ponte levatoio che qui si trovava. Nel 1803-04 il terreno era stato appianato ed aperta una strada di passeggio. Successivamente, forse verso la metà degli anni Venti, tra la vecchia strada, l'area dei muri e quella della parete del fossato più vicina alla città, si era formato un piano perfettamente livellato, che giungeva in lunghezza fino al Largo dei Cappuccini, con il passeggio riparato da due filari di olmi e con sedili. Per fare questo livellamento fu necessario abbassare il largo, che rese pure meno inclinata la discesa a Porta Romana, anch'essa ampliata. Nacque quindi l'idea di fare lungo questa strada un'altra passeggiata creando così un solo collegamento da S. Giorgio al poggio sopra il Tordino, corrispondente all'attuale Viale dei Tigli. Porta Romana era così condannata all'abbattimento, tanto più che, si disse, demolendo il vecchio fabbricato si sarebbero migliorate le condizioni di aria e luce della strada per S. Domenico, appena lastricata. Le pietre di Porta Romana servirono al rinforzamento del palazzo comunale, poiché minacciava di rovinare nella parte anteriore: sul basamento venne costruita una scarpa per rinforzare il muro "boreale" e un arco più basso, a tutto sesto, fu sottoposto all'arco ogivale, decorato con laterizi. Nella facciata furono poi costruiti tre pilastri attaccati agli antichi lasciando come loggia scoperta il piano superiore (30).

Nella zona sud-orientale della città già nel 1817 era stato raddrizzato e allargato il trivio tra le case Savini e Urbani, demolendo così anche gli ultimi resti dell'antica Porta di S. Francesco (31). Definitivamente abbattute le mura e le porte della città, si costruivano a est Porta Madonna (Porta Reale) e a ovest Porta S. Giorgio sul luogo delle antiche e si lastricavano le strade principali (32). Si andava inoltre lentamente strutturando il tessuto urbano più ad ovest che, insieme ai maggiori palazzi ancora esistenti, ancora definisce l'estremo occidentale del centro storico. Nei pressi di Porta S. Giorgio, nella parte settentrionale rispetto al corso, veniva infatti costruito il palazzo provinciale per l'Intendenza e per gli Archivi Generali. Anche se da tempo se ne era imposta la necessità, il 28 giugno 1826 con Regale Decreto finalmente si autorizzava l'Intendente ad acquistare cinque case al "capo occidentale della città" perché fossero demolite (33) e recuperate nel progetto del palazzo, realizzato dall'ingegnere Carlo Forti. Anch'esso oggetto di numerose modifiche in corso d'opera, verrà completato come edificio a blocco con corte centrale e quattro livelli fuori terra, di varia altezza, caratterizzando in facciata da bugne angolari (34).

Questo processo di rinnovamento del tessuto edilizio attraverso parziali demolizioni di edifici più modesti, da inglobare in costruzioni pubbliche, è tipico del periodo e di tutti i capoluoghi di provincia, ma si intensifica a partire dalla seconda metà del secolo. Alla fine degli anni trenta Teramo, infatti, era ancora "circondata da mura in rovina e torri cadenti, ben lungi dall'indicare un capoluogo di provincia". Il viaggiatore inglese Keppel Kraven notava inoltre che nella "parte interna, formata da strette viuzze e case di misero aspetto" c'era soltanto "una strada larga e diritta ed in questa solo poche case di bell'aspetto", anche se negli edifici costruiti verso la "periferia", invece, trovava "nell'architettura e negli ornamenti un grado più raffinato di gusti e di tecnica, che usualmente manca nelle città di provincia" così come negli "interni di molti edifici, specialmente per gli affreschi" (35).

Con l'Unità d'Italia si avvia un "reale processo di rinnovamento fondato sulla duplice esigenza di rispondere alle nuove funzioni di servizio amministrativo e burocratico, connesse alla formazione dello Stato unitario e di decoro e immagine della città affermati dalla classe dirigente municipale in cerca di legittimazione" (36).

All'interno di questo processo di realizzazione delle strutture amministrative vi è certamente la costruzione del palazzo della Provincia, che tuttavia non è inizialmente progettato per tale scopo.

Il Consiglio Provinciale, nella seduta del 9 maggio 1885, celebrava la costruzione di una Scuola Normale Femminile, con annesso Convitto, sull'area dove si estendevano gli orti dei Cappuccini. Il progetto dell'edificio, affidato all'Ufficio Tecnico Provinciale, diretto da Gaetano Crugnola, prevedeva un palazzo con corte interna ed ampio giardino, con una parte riservata ad orto, modello per l'insegnamento delle pratiche agrarie. Completato nel 1888, ebbe questa destinazione solo per pochi anni poiché, soppressa la scuola e trasferito il Convitto, nel 1900 l'Ufficio Tecnico Provinciale, sempre diretto da Crugnola, elaborò un progetto di adattamento dell'edificio agli Uffici dell'Amministrazione.

Pianta della città di Teramo disegnata da Zampi (1807 - 1810 circa)

Pianta della città di Teramo disegnata da Zampi (1807 - 1810 circa).

Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Manoscritti, in Piante di varie città del regno

militarmente estratte dal Reg.o Geog.o Zampi con scala di riduzione, 1807 - 1810

Agli inizi dell'Ottocento il collegamento viario tra le proprietà Delfico ed il corso principale della città era rimasto quel viottolo tortuoso già formatosi con la costruzione dei palazzi e identificato dall'amministrazione francese con il nome di "vico de' ponti" per la singolare presenza dei tre passaggi sospesi (37). La stradina (corrispondente come posizione all'attuale Via Carducci), larga in alcuni punti non più di due, tre metri, era infatti sovrastata da tre piccoli cavalcavia, costruiti tra il 1801 ed il 1812, che collegavano il palazzo ai giardini.Dalla pianta di Teramo disegnata dal Betti e datata 1820 (38) s'individua, tra le altre, una vasta area ‘verde' corrispondente ai due isolati a ovest del palazzo divisa da una breve strada appartenente alla maglia viaria ortogonale. L'isolato più vicino al palazzo è separato da questo da una stretta stradina che, seppur allineata con il corrispondente tracciato a nord del corso, è più irregolare e cieca, identificabile quindi con il "vico de' ponti".

Nella planimetria di La balle, del 1852 (39), i due isolati ‘verdi' risultano come unica proprietà e la strada che li separava inglobata all'interno dell'area, che risulta però suddivisa ancora in due parti di forma pressochè regolare: quella più arretrata verso ovest, sembra essere il vero e proprio giardino con aiuole e siepi il cui disegno regolarizzato sembra individuarne uno del tipo all'italiana; quella prospiciente il vicolo ed il palazzo, invece, sembra essere occupata dagli orti e probabilmente da alberi secolari che ombreggiavano ed abbellivano la visuale dalle finestre del palazzo.

Si spiega in tal modo la diversa denominazione – "orti" e "giardini" Delfico – che compare nei documenti e l'uso della prima per indicare più spesso l'area immediatamente prospiciente e collegata al palazzo: Questa disposizione, apparentemente inusuale, si spiega con l'importanza che viene data all'orto nella tradizione agraria e botanica propria della società teramana. Più che di un semplice appezzamento di terra per la coltivazione di erbaggi e piante da frutto, si trattava evidentemente di un orto botanico con piante nostrane, esotiche e rare, coltivate anche per scopi officinali. Le ultime ricerche d'archivio sull'argomento confermano tale ipotesi poiché, come risulta da un documento del 1817, un certo Antonio Orsini di Ascoli "espertissimo in botanica" mandava delle pianticelle della Alisma Plantago al Marchese Delfico il quale "con tutta cura" le avrebbe fatte coltivare nel suo "orto botanico" (40).

Pianta della città di Teramo disegnata da Betti (1820)

Pianta della città di Teramo disegnata da Betti (1820).

Biblioteca Provinciale dell'Aquila, Fondo Carte Geografiche, Pianta di Teramo.

Fatta dal [sic] Guardia del Genio Giuseppe Betti il di 17 ottobre 1820

Questi terreni, però, come già detto, si trovavano ad una quota maggiore rispetto a quella stradale, rialzata di circa 3 metri. Tale dislivello è tuttora visibile in quella parte di ‘orto' che resta all'angolo sud-est di palazzo Inail, all'incrocio di Via Carducci con Via D'Annunzio. La quota del terreno su cui sorgono quei pini secolari, infatti, è la stessa che doveva avere all'epoca e che la costruzione dell'edificio pubblico non ha modificato. E' infatti evidente come, sul lato di Via Carducci, l'isolato presenti un ‘muro' di contenimento ti tale terrapieno, in parte ‘scavato' dall'ampia scalinata di accesso, in parte dai vani adibiti a locali commerciali. Palazzo Inail, a differenza di tutti gli altri edifici di Via Carducci, sorge infatti come su un ‘podio' la cui origine è prima di tutto da ricercarsi nella preesistente situazione determinata dagli orti Delfico.

Mappa dell'Esercito Borbonico 1852 - 1856. Particolare

Mappa dell'Esercito Borbonico 1852 - 1856. Particolare.

Ufficio Tecnico della Provincia di Teramo

Per quale motivo, poi, questi ultimi debbano aver avuto una quota diversa da quelli di altre proprietà confinanti non è dato, al momento, sapere. Restano le ipotesi di una preesistenza più antica o della creazione ex novo del terrapieno per poter realizzare un dispendioso progetto di palazzo con giardino pensile.

Pianta della città di Teramo disegnata da Laballe (1852). Particolare

Pianta della città di Teramo disegnata da Laballe (1852). Particolare.

Istituto Geografico Militare di Firenze, Pianta della città di Teramo

 eseguita alla scala 1/5.000 dall'Alfiere del Corpo Regio del Genio Laballe

Per la prima ipotesi, purtroppo, non vi sono al momento elementi tali che possano confermare la preesistenza di strutture murarie più antiche sulle quali siano stati realizzati i giardini. Un unico, interessante indizio è costituito dai ritrovamenti in Via Carducci, relativi ad una tomba ad inumazione, in fossa, rivestita di pietre a secco dell'età del ferro, trovata, però, a circa 1,8 metri di profondità nell'ex giardino di casa Delfico intorno al 1910 (41).

Per la seconda ipotesi, quella relativa ad un progetto di palazzo con giardino pensile, mancano ugualmente dati documentali certi. Resta tuttavia la descrizione che Marino Delfico ne dà nel 1932, nella quale pare di ravvisare un'idea di giardino voluta e realizzata esattamente nella forma in cui ancora, all'epoca, si presentava: "…magnifico nostro giardino pensile che i miei antenati, ed in tempi immemorabili, crearono a stretto fianco del nostro palazzo di Teramo, allo stesso livello del piano nobile, con il viale centrale in perfetta rispondenza con tutte le porte dei saloni e degli altri numerosi ambienti, per cui dalla strada, con l'equipaggio o con qualsiasi altro mezzo di trasporto, si accedeva al piano nobile stesso…" (42).

Pianta della città di Teramo. Ricordo dell'Esposizione Provinciale Operaria del 1888. Particolare

Pianta della città di Teramo.

Ricordo dell'Esposizione Provinciale Operaria del 1888. Particolare.

(Disegnata dall'Ing. Ernesto Narcisi nel 1888)

Questo dislivello, tuttavia, non è segnato nella planimetria di Laballe, così come non sono segnati i passaggi soprelevati, ma è certo che esistevano poiché il primo dei tre cavalcavia di collegamento tra il palazzo e gli orti dei Delfico venne costruito nel 1801. Nell'allegato alla richiesta di permesso di costruzione vi è il parere del muratore: egli dichiara che l'intervento non "reca nessun pregiudizio, né al Pubblico né al privato (…) il quale piuttosto se ne va a ritrarre vantaggi per l'ornato che si fa a quella remota strada" (43). Prima di allora l'accesso al palazzo ed ai piani superiori doveva comunque essere assicurato da altri collegamenti e, d'altra parte, la scala monumentale che costituisce forse la parte architettonicamente più rilevante dell'edificio ne è la conferma. Ma il lungo processo di completamento del palazzo, così dilazionato nel tempo, ha certamente determinato continui mutamenti progettuali sia dal punto di vista planimetrico che di facciata, di cui oggi non senza difficoltà si ricercano le tracce.

Planimetria catastale del 1875 (Parte relativa ai dintorni del palazzo e dei giardini Dèlfico)

Planimetria catastale del 1875 (Parte relativa ai dintorni del palazzo e dei giardini Dèlfico).

Catasto Urbano di Teramo del 1875 - 1906, Biblioteca Provinciale di Teramo.

Copia realizzata all'epoca dall'arch. Carlo Ferroni.

E' noto ad esempio, che in realtà i cavalcavia erano tre, di cui quello più a nord largo appena un metro e mezzo, quello più a sud circa tre metri e mezzo, e quello centrale, impostato all'angolo del palazzo su Via delle Orfane, soprastante la fontana, largo oltre quattro metri. In tal modo si era venuta a creare una facciata occidentale prospiciente gli orti ed i giardini, di maggiore importanza, con ingressi posti alla quota del piano nobile, alle cui sale si accedeva anche in carrozza passando per il cavalcavia centrale.

Salvatore Di Giuseppe (1852 - 1930), Via del Burro, con la "Fontana delle Piccine", il palazzo, i giardini Dèlfico e i cavalcavia (1907)

Salvatore Di Giuseppe (1852 - 1930), Via del Burro, con la "Fontana

 delle Piccine", il palazzo, i giardini Dèlfico e i cavalcavia (1907).

Da Teramo com'era, Roma, Editalia, 1966, p. 243

Purtroppo oggi di questi ingressi non vi è alcun resto, essendo stata successivamente arretrata e ricostruita la facciata per l'allargamento della strada. E' interessante ricordare, invece, come la soluzione a passaggi sospesi venne replicata, negli anni quaranta del secolo, nel progetto dell'edificio dei "Compresi". Tuttavia la realizzazione dell'idea iniziale dell'ingegnere del Dipartimento di Ponti e Strade, Gennaro Cangiano, di collegare il palazzo dell'Intendenza a quello dei "Compresi" con una galleria sospesa "gittata a ponte sulla publica strada passante fra i due fabbricati" (44), fu dilazionata nel tempo e modificata. Nel cortile interno, però, venne realizzato, come da progetto, un giardino all'italiana che forse, in parte, si estendeva in quello del lotto retrostante, come nei giardini Delfico. Nella planimetria di Laballe del 1852 questi due isolati a giardino si distinguono, oltre che per l'analoga rappresentazione, anche per la posizione simmetrica rispetto al corso.

Prima della metà dell'Ottocento, quando i De Filippis Delfico iniziavano il restauro del palazzo, l'ampliamento e reddrizzamento di "vico de' ponti" non erano stati presi neanche in considerazione (45). Questa strada, che nel catasto del 1875 veniva individuata con la curiosa denominazione  di Via del Burro (46), scendeva verso il Tordino in direzione della Misericordia. Ma l'accesso da Via del Burro verso il largo della chiesa rimaneva impedito dalle proprietà Thaulero e Castelli. Verso sud, infatti, all'altezza dell'attuale Via Paladini, sulle aree oggi occupate dalla sede Telecom e dalla prospiciente porzione di fabbricato dell'Istituto Magistrale, si estendeva l'orto Thaulero, sul cui sito sorgeva pure una torre "inabitabile ad uso di colombaia", già rilevata nel catasto napoleonico (47).

Nel catasto del 1875 risulta che, nell'isolato più a sud di quello di Palazzo Dèlfico, compreso tra le Vie del Burro, delle Orfane e Nazionale (attuale G. D'Annunzio), c'era una vasta area inedificata, probabilmente cinta da mura, al cui angolo sud-occidentale appare già costruito il terzo Palazzo Dèlfico, quello dei Conti Luciano e Marino Delfico. Evidentemente si trattava di un altro "orto", così come denominato nelle planimetrie relative. Anche l'area degli orti e dei giardini, compresa tra le Vie del Burro, Delfico, Nazionale e Nuova, risulta parzialmente edificata, soprattutto sui fronti e in corrispondenza degli incroci stradali; tuttavia resta ancora compatta, non attraversata dalla maglia viaria che, già regolarizzata ed ortogonale a nord del corso, cercava di penetrare all'interno delle più vaste proprietà meridionali.

Sistemazione di Via del Burro (1913). Taglio dello stabile dei Conti Dèlfico in Via Nazionale (attuale Via D'Annunzio)

Sistemazione di Via del Burro (1913). Taglio dello stabile dei Conti Dèlfico in Via Nazionale (attuale Via D'Annunzio). Teramo, Archivio Storico Comunale, B. 455, fasc. 129 (1910 - 14), Acquisto case Dèlfico

In realtà, la presenza di una vasta area inedificata a sud dell'ultimo tratto del corso, in gran parte corrispondente alle antiche proprietà del convento dei Cappuccini, non aveva ancora permesso la regolarizzazione dei tracciati viari e dei rispettivi isolati in lotti pressochè rettangolari, come invece era progressivamente accaduto nelle immediate vicinanze del corso e più a nord, fin quasi ai margini dell'abitato. Quello di Via del Burro, era il primo asse trasversale occidentale di Corso S. Giorgio che non permetteva il collegamento tra gli estremi settentrionale e meridionale dell'abitato proprio a causa del mancato collegamento con la zona della Misericordia. L'importanza e la funzionalità urbana di Via del Burro per tutto l'Ottocento rimasero così fortemente limitate, anche a causa della ristretta sezione stradale. Ma nel 1882, sotto il cavalcavia centrale, veniva realizzata una fontana, detta "delle Piccine" (48) la cui funzione pubblica certamente modificò il rapporto tra il luogo e gli abitanti. L'apertura della strada verso la Piazza della Misericordia (futura Piazza Comi), rappresentava ormai un'esigenza pubblica e non poteva che essere realizzata attraverso l'intervento dell'amministrazione comunale. Per la realizzazione di quest'opera, già prevista nel piano regolatore del 1887 redatto in vista dell'Esposizione Operaia e mai realizzato, i teramani dovettero però attendere il nuovo secolo (49).

Sistemazione di Via del Burro (1914). Pianta con indicazioni cavalcavia demoliti e controversi

Sistemazione di Via del Burro (1914). Pianta con indicazioni cavalcavia demoliti e controversi

Sistemazione di Via del Burro (1914). Sezione trasversale della strada. Prospetto di un cavalcavia

Sistemazione di Via del Burro (1914). Sezione trasversale della strada. Prospetto di un cavalcavia.

Teramo, Archivio Storico Comunale, B. 459, fasc. 167. Sistemazione di Via del Burro o Thaulero.

Espropriazione di cavalcavia dei Sig.ri Conti Dèlfico

Il XX secolo

Agli inizi del Novecento l'economia teramana subisce un arresto dovuto alla crisi del sistema mezzadrie, tanto che anche nell'attività edilizia si registra un rallentamento, sia nella costruzione di edifici privati, sia nella realizzazione di opere pubbliche (50). All'interno del tessuto edilizio già esistente avviene soprattutto un rinnovamento dei partiti decorativi, attraverso l'adozione di elementi e forme proprie del liberty e dell'art nouveau nella costruzione o ristrutturazione di palazzi. Per quanto riguarda l'edificazione delle aree sud-occidentali dell'abitato, invece, viene continuata, seppur limitatamente, la costruzione di edifici pubblici. L'intervento maggiormente rappresentativo in tal senso è la realizzazione del Convitto Nazionale in Piazza Dante – il cui progetto iniziale del 1914 dell'architetto Vincenzo Pilotti, sarà modificato e realizzato solo nel 1934 – poiché costituisce, nonostante la mancanza di un progetto urbanistico ben preciso, il punto focale della sistemazione dell'intera area. Come in un meccanismo a catena, infatti, a partire dalla sistemazione di Via Carducci (cioè Via del Burro) l'intera zona, compresa tra Corso S. Giorgio, Piazza della Misericordia e il convento dei Cappuccini, in pochi decenni sarà completamente modificata. Sul nuovo asse di collegamento tra il corso e il versante meridionale del centro abitato si collocheranno i maggiori edifici pubblici come il palazzo della Banca d'Italia, il teatro Apollo, l'Istituto Magistrale e palazzo Inail. Questa trasformazione, già avviata lentamente nei primi del ‘900, procederà per tutto il ventennio fascista, durante il quale, però, nonostante la realizzazione dei maggiori edifici pubblici, mancherà un disegno unitario per l'assetto della città, un progetto urbanistico vero e proprio, se si escludono i piani di ampliamento di zone parziali delle città. Quello di risanamento del quartiere di S. Maria a Bitetto e quello di sistemazione del centro con l'isolamento della cattedrale (51).

Nel 1905, alla morte di Giovanni Thaulero, l'amministrazione intitolava Via del Burro a suo nome, secondo l'accordo intercorso con l'acquisto dell'Orto, mentre anche Piazza della Misericordia diventava Piazza Vincenzo Comi. Nel 1909 si cominciò a lavorare finalmente all'ampliamento del "vico de' ponti": i lavori comportarono la demolizione dei cavalcavia, l'esproprio dei numerosi orti e il taglio di porzioni degli edifici Rolli, Pacini e Delfico, ampliando così la sede stradale fino a metri 8,80. Di conseguenza venne iniziata anche l'apertura della strada verso Piazza Comi, passando per la proprietà già Castelli Ercolani, divisa poi tra Ferrante e Di Antonio, ma completata solo dopo la definitiva intitolazione della strada a Giosuè Carducci (52). Attraverso la pratica dell'esproprio, con la quale si tentava di "recuperare" aree e piccoli spazi da destinare al miglioramento della maglia urbana, veniva quindi realizzato l'antico e pubblico desiderio di allargamento di Via del Burro. Per sopprimere "il contorto e lurido vico detto del Burro" e costruire al suo posto una larga e comoda strada che mettesse in comunicazione il Corso S. Giorgio con Piazza della Misericordia, l'amministrazione comunale stipulava nel giugno del 1911 una convenzione con Luciano e Marino Delfico nella quale, fra le condizioni stabilite, era a carico del Comune, oltre che "l'abbattimento dei tre cavalcavia che attualmente esistono fra il Palazzo Dèlfico ed il giardino", anche "la ricostruzione allo stesso sito e piano attuale di due cavalcavia sulla nuova strada in forma conveniente ed armonica e di un cavalcavia sul vico delle Orfane, in corrispondenza del balcone centrale, rimanendo soppresso quello verso il Corso". In tal modo si creava un accesso sopraelevato prima inesistente tra il palazzo e l'orto pertinente alla casa Delfico costruita fra Via del Burro e Via Nazionale. Si prevedeva inoltre, secondo quanto rappresentato nel progetto, il taglio degli edifici su Via del Burro e l'arretramento delle facciate per ottenere l'allargamento della strada. Il progetto per la sistemazione, redatto dall'Ufficio Tecnico Comunale e presentato all'esame dell'Ufficio del Regio Genio Civile, fu approvato dal Consiglio Comunale nel luglio successivo. Con la deliberazione d'urgenza della Giunta del 9 febbraio 1912, si stabiliva l'inizio dei lavori e cioè l'allargamento della strada con movimento di terra, demolizione e ricostruzione di muri d'orto. Portate a compimento queste opere nell'estate del 1913, s'intendeva proseguire i lavori iniziati, per completare l'allargamento della strada, con l'abbattimento parziale della casa Delfico fra le vie del Burro e Nazionale e con la conseguente ricostruzione della facciata della stessa. Più urgente dell'arretramento della facciata di casa Delfico era considerata la pavimentazione della strada del Burro, la quale, conducendo alla palestra di ginnastica, alla scuola industriale, alla Camera di Commercio, agli uffici provinciali e scolastici, era difatti diventata la via più importante dopo il Corso, ma che nei giorni piovosi era considerata addirittura "intrafficabile". Riconosciuta questa come una "urgente necessità", si raccomandava quindi di provvedere almeno al suo inghiaiamento, simile a quello dei viali nei giardini pubblici, mentre era nel frattempo abbattuta la fontana di fronte al palazzo Rolli, prima dell'apertura dell'altro fontanino dello scultore Cavacchioli.

Nel frattempo nuove costruzioni sorgevano in Via del Burro, così come auspicato dall'ingegnere Narcisi: quella del signor Rocco Tanzi, progettata dall'ing. Narcisi stesso, e quella del signor Pacini, mentre era ancora in corso la soprelevazione di un piano della casa Delfico in costruzione su Via Nazionale, dal quale poter godere di una visuale particolare sui giardini; anche i magazzini Delfico dovevano essere completati "come da progetto" con un coronamento di "balaustre a colonnine". Di questi interventi se ne discuteva in sede di Consiglio Comunale: la difficoltà di armonizzare gli interessi e gli interventi dei privati con le esigenze di pubblica utilità faceva sentire con maggiore urgenza l'esigenza per Teramo di un piano regolatore. E così, una volta eseguiti i lavori di demolizione e ricostruzione dei muri d'orto e delle case fronteggianti la nuova Via del Burro – tanto che, nel maggio 1914, già si vedeva aperta sul lato meridionale del Corso S.Giorgio un'ampia strada larga quasi 9 metri, considerata motivo di "lustro e decoro alla città" -, la ricostruzione dei cavalcavia previsti nel progetto, che forse in un primo momento pareva essere l'unica soluzione possibile per poter conciliare esigenze pubbliche e private, diventava improponibile.

A questo punto, infatti, "il pubblico" si pronunciava unanimemente "contrario alla ricostruzione dei cavalcavia allo stesso sito e piano e giustamente, poiché non è concepibile che attraverso una via della larghezza di ben metri 8,80 si possa gittare una travata metallica alla sola altezza di m. 3,00 dal suolo stradale, rendendo persino impraticabile la strada a veicoli di una certa importanza". Per queste ragioni ed interpretando i sentimenti della cittadinanza il Regio Commissario del Comune proponeva l'espropriazione per pubblica utilità, oltre che del suolo stradale, anche dello spazio aereo che avrebbe dovuto essere occupato dalla costruzione dei due nuovi cavalcavia, che dunque non vennero più ricostruiti (53).

Di conseguenza, gli stessi giardini che nel 1888, in occasione dell'Esposizione Provinciale e del Congresso delle Banche Popolari e delle Società Operaie, avevano accolto scenograficamente il passaggio del lungo corteo di carrozze dirette, attraverso il cavalcavia centrale, all'interno di Palazzo Dèlfico, dove venivano ospitate le personalità giunte a Teramo per l'occasione, forse anche a seguito del venire meno di questi storici e singolari accessi, furono abbandonati a se stessi, diventando ben presto "campo di monelli e di vandali" (54).

Nel ventennio successivo tornarono ad essere luogo di decoro e di svago per la città: cipressi, pini secolari, arbusti sempreverdi e palme, tornavano ad ombreggiare i vialetti del giardino originale, ma non per sempre (55).

Mentre procedeva, lenta e inesorabile, l'edificazione dei restanti lotti di terreno prospicienti la Via Carducci, con la costruzione di importanti edifici pubblici, i giardini Delfico continuavano a rimanere una delle poche aree ancora libere. E se in occasione della V Mostra d'Arte Abruzzese e Molisana, l'intervento comunale impediva, attraverso una vera e propria azione di recupero del "verde storico", di trasformarlo in area fabbricabile, nel 1939 con il passaggio delle proprietà Delfico all'Ente Comunale di Assistenza di Teramo (56), s'intendeva conservarli come giardini comunali (57).

Bisognerà quindi attendere il secondo dopoguerra, fino a parte degli anni settanta, per vedere completamente edificata, e trasformata, l'area appartenente ad una delle proprietà più vaste e storicamente più significative della città di Teramo.

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(1) Per un inquadramento sullo sviluppo del centro storico di Teramo si veda LUIGI SAVORINI, Introduzione storico-artistica agli studi del piano regolatore della Città di Teramo, Estratto dal "Bollettino del Comune di Teramo", n° 3-4, marzo-aprile 1934; ANNA CINGOLI, GIUSEPPE CINGOLI, Da Interamnia a Teramo, Sant'Atto di Teramo, 1978; MARIANO AURINI, GIOVANNI IRTO, VANNI SORGENTONE, Bando di Concorso per uno studio sul Centro Storico di Teramo, Teramo, Lions Club di Teramo, ivi, s.d.; MARIA DI LORETO, MIMMO DI PAOLO, Teramo: la costruzione dell'immagine urbana, in C. FELICE, L. PONZIANI (a cura di), Intellettuali e Società in Abruzzo tra le due Guerre. Analisi di una mediazione, Roma 1989, I, pp. 165-187.

(2) Cfr. ROBERTO RICCI, Teramo, in Aa. VV., L'Abruzzo nel Settecento, Pescara 2000, p. 317.

(3) ARTURO STUARD, Architettura e urbanistica nel medioevo teramano, Teramo 1980, pp. 45-46.

(4) SAVORINI,Introduzione storico-artistica agli studi…,cit., pp. 50-51.

(5) Cfr. AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI TERAMO, BIBLIOTECA "Melchiorre Dèlfico", Lo sviluppo urbanistico di Teramo, in Melchiorre Delfico. 1744-1835, Convitto Nazionale "Melchiorre Dèlfico", Teramo, Aula Magna 20 giugno-6 luglio 1985, p. 37 e RICCI, Teramo, cit., p. 326.

(6) Lo sviluppo urbanistico di Teramo, cit., p. 37.

(7) Cfr. LUIGI RESTUCCIA, I palazzi in Abruzzo della Famiglia Delfico. Rilievi e analisi documentaria, tesi di laurea, rel. Ciro Robotti, Facoltà di Architettura, Università degli Studi "G. D'Annunzio"-Chieti, A.A. 1990-91, e FERNANDO AURINI, CLEMENTE DINO CAPPELLI, FAUSTO EUGENI, MARCELLO SGATTONI (a cura di), Teramo com'era, Roma 1996, p. 178.

(8) RESTUCCIA, I palazzi in Abruzzo…, cit., p. 1.

(9) Si veda FRANCESCO SAVINI, Gli edifici teramani nel Medio Evo, Roma 1907.

(10) Lo sviluppo urbanistico di Teramo, cit., pp. 37-38.

(11) Ivi, p. 37.

(12) Finora causa d'attribuzioni controverse, questo intervento deve essere definitivamente assegnato all'architetto stuccatore Gerolamo rizza (o Rizzo), proveniente dalla valle d'Intelvi ma già attivo in Abruzzo, ed eseguita da Antonio buono e Antonio Mola, altre maestranze lombarde quantomeno nella parte corrispondente alla "nave inferiore". Nel progetto redatto da Rizza, infatti, sono stabilite le trasformazioni che riguardano lo spazio interno della cattedrale dall'ingresso al transetto (MARIA GRAZIA ROSSI, Il duomo di Teramo. Storia di una cattedrale dal XII al XX secolo, tesi di dottorato di ricerca in Storia dell'architettura e dell'urbanistica (XIV ciclo), tutor: prof. Lorenzo Bartolini Salimbeni, Facoltà di Architettura Pescara, aa.aa. 1999-2002).

(13) Ivi, pp. 132-143.

(14) Ivi, pp. 107-131.

(15) RESTUCCIA, I palazzi in Abruzzo…, cit.

(16) Ivi, pp. 1,2.

(17) La rinascenza teramana, in Melchiorre Delfico. 1744-1835, cit., p. 31.

(18) AURINI, CAPPELLI, EUGENI, SGATTONI (a cura di), Teramo…, cit., p. 180. In questo palazzo la famiglia Delfico fu tenuta prigioniera per tre mesi dopo la nomina di Melchiorre a capo della "Municipalità" nel 1798 (La Repubblica partenopea, in Melchiorre Delfico. 1744-1835, cit., p. 41).

(19) FAUSTO EUGENI, Uno stradario teramano di epoca francese (1811), in "Aprutium", nn. 1-2-3/1999,pp. 247-248.

(20) RESTUCCA, I palazzi in Abruzzo…, cit., p. 118.

(21) LUIGI PONZIANI, Teramo, in Aa. VV., L'Abruzzo nell'Ottocento, Pescara 1996, p. 241.

(22) PONZIANI, Teramo, cit., p. 241 e NICCOLA PALMA, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del regno di Napoli detta dagli antichi Praetutium, né bassi tempi Aprutium oggi Città di Teramo e Diocesi Aprutina, Teramo 1833, Volume III, p. 628.

(23) Lo sviluppo urbanistico di Teramo, cit., p. 37.

(24) Cfr. PONZIANI, Teramo, cit., p. 241.

(25) SAVORINI, Introduzione storico- artistica…, cit., p. 58.

(26) Palma, Storia ecclesiastica e civile…, cit., p. 630.

(27) Cfr. Ivi, pp. 527 e segg. e Lo sviluppo urbanistico di Teramo, cit., p. 38.

(28) Lo sviluppo urbanistico di Teramo, cit., p. 38.

(29) SAVORINI, Introduzione storico-artistica…, cit., p. 55.

(30) PALMA, Storia  ecclesiastica e civile…, cit., pp. 630-632.

(31) Lo sviluppo urbanistico di Teramo, cit., p. 37.

(32) Ivi, p. 38.

(33) PALMA, Storia ecclesiastica e civile…, cit., p. 628.

(34) IRENE DE NIGRIS, Gli edifici di residenza, in Aa. VV. Il palazzo del Governo, Teramo 2002, pp. 27-45.

(35) PONZIANI, Teramo, cit., pp. 241-242.

(36) Ibidem.

(37) EUGENI, Uno stradario teramano…, cit., pp. 247-248.

(38) La planimetria è conservata presso la Biblioteca Provinciale dell'Aquila, Fondo Carte Geografiche, Pianta di Teramo. Fatta dal [sic] Guardia del Genio Giuseppe Betti il di 17 ottobre 1820 (Ivi, pp. 231-233).

(39) La planimetria è conservata presso l'Istituto Geografico Militare di Firenze, Pianta della città di Teramo eseguita alla scala 1/5.000 dall'Alfiere del Corpo Regio del Genio Laballe (Ivi, pp. 234). Una rappresentazione analoga è data dalla Mappa sull'Esercito Borbonico 1852-1856, in Carlo Januarii,…[come a pag. 24].

(40) Archivio di Stato di Teramo, Herbarum. Erbe officinali e spezie tra veterinaria e salute pubblica nell'Abruzzo teramano (secc. XVIII-XX), Teramo 2003, p. 123.

(41) MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, DIREZIONE GENERALE DELLE ANTICHITA' E BELLE ARTI, Foglio 140 (Teramo), Firenze, Istituto Geografico Militare, 1971, p. 23.

(42) Lettera di Marino Delfico ad Alcide Luciani, Roma 14 dicembre 1932, (ARCHIVIO DI STATO DI TERAMO, Prefettura, Gabinetto, Vers. 1970, B 148, fasc. 9).

(43) AURINI, CAPPELLI, EUGENI, SGATTONI, (a cura di), Teramo…, cit., pp. 180-181.

(44) DE NIGRIS, Gli edifici di residenza, cit., p. 42.

(45) AURINI, CAPPELLI, EUGENI, SGATTONI (a cura di), Teramo…, cit., pp. 180-181.

(46) EUGENI, Uno stradario teramano…, cit., pp. 247-248.

(47) AURINI, CAPPELLI, EUGENI, SGATTONI, Teramo…, cit., pp. 180-181.

(48) La fontana fu poi demolita nel 1950 per edificare il palazzo Inail (Ivi, p. 186).

(49) Ivi, p. 181.

(50) DI LORETO, DI PAOLO, Teramo: la costruzione…, cit., p. 165.

(51) Ivi, pp. 159-185.

(52) AURINI, CAPPELLI, EUGENI. SGATTONI, Teramo…, cit., p 181.

(53) Si veda Archivio Storico Comunale di Teramo, b. 455, fasc. 129 (1910-1914), Acquisto case Delfico e Ivi, b. 459, fasc. 167, Sistemazione di Via del Burro o Thaulero. Espropriazione di cavalcavia dei Sig. ri Conti Delfico.

(54) ALBERTO SCARSELLI, Il palazzo, i Giardini e la Biblioteca della Famiglia Delfico alla Città di Teramo, estratto dal "Giornale d'Italia" marzo 1939 (XVII), Teramo, Società Tipografica Editrice "Il Progresso", 1939, p. 9-10.

(55) Ibidem.

(56) RESTUCCIA, I palazzi in Abruzzo…, cit., p. 22.

(57) SCARSELLI, Il palazzo, i Giardini…, cit., p. 10.

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L'autrice ringrazia Enrico Cannella, Luciana D'Annunzio, Fausto Eugeni e Marcello Sgattoni per i loro suggerimenti e segnalazioni.

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Articolo pubblicato in Aa. VV., I luoghi della storia a Teramo, Il Palazzo Dèlfico, S. Atto di Teramo, Edigrafital, 2004.