Nell'affrontare lo
studio delle trasformazioni delle aree interne al centro abitato di
Teramo appare subito evidente la mancanza di un adeguato supporto
bibliografico di storia urbana, di uno studio storico specifico
approfondito sugli sviluppi della città, che permetta d'inquadrare
immediatamente all'interno di un discorso più ampio trasformazioni più
piccole, apparentemente poco rilevanti, come, in questo caso, quelle
delle proprietà Delfico (1)A fronte di una certa difficoltà nel
riuscire a scoprire o ricostruire le logiche di trasformazione della
città, c'è però una maggiore rilevanza di queste vicende puntuali,
derivante proprio dal contributo che tali studi possono fornire alla
ricostruzione della storia dello sviluppo del centro storico di Teramo.
Le vicende relative alle
pertinenze di Palazzo Dèlfico, che si svolgono tra la fine del '700 e la
prima metà del ‘900, assumono particolare importanza e non soltanto dal
punto di vista dell'immagine urbana. Il mutare, in poco più di un
secolo, del rapporto tra gli spazi del palazzo, dei giardini, e delle
pertinenze, infatti, ben esprime il significato sociale e politico di
una vicenda urbana altrimenti soltanto architettonica.
Il XVIII secolo
Durante tutto il XVIII
secolo si verifica a Teramo un lento processo di trasformazione urbana
che modifica completamente il carattere della città. Insieme agli
sviluppi della maglia viaria e del tessuto edilizio avviene
contemporaneamente una profonda modificazione della struttura sociale e
politica che porta, seppur lentamente, alla sostituzione della città
episcopale con la città borghese, in cui il rafforzamento del nuovo
municipalismo laico rappresenta il definitivo affrancamento dall'antico
potere feudale esercitato dal vescovo-principe (2).
Agli inizi del
Settecento la struttura urbana di Teramo probabilmente corrispondeva in
gran parte a quella tardo medievale, dove alla terra vetus –
appartenente al più antico impianto romano a alto medievale e compresa
tra la confluenza dei due fiumi ed il confine occidentale delle mura –
si contrapponeva la terra nova, ovvero quella parte di città
sviluppatasi più ad ovest in maniera significativa a partire dalla
seconda metà del XII secolo, quando vi fu trasferita la nuova cattedrale
aprutina. Nonostante la presenza d'importanti strutture romane e tardo
imperiali, infatti, in epoca alto medievale questa zona doveva avere uno
sviluppo edilizio molto limitato; solo verso la fine del XIII secolo,
con la costruzione dei conventi e l'ampliamento occidentale della
cattedrale, venne definitivamente spostato il centro topografico,
permettendo quindi un reale sviluppo della città verso occidente.
Successivamente, la ricostruzione della "cittadella" – da quella
medievale, a nord della cattedrale, a quella quattrocentesca, a ovest di
Porta S. Giorgio – segnava un ulteriore sviluppo occidentale della
città, isolata a nord e a sud dal Vezzola e dal Tordino e ad est e ad
ovest dalle mura e dai fossati di difesa. Quelli scavati all'altezza di
Porta S, Giorgio crearono un'ulteriore protezione della città ad
occidente e definirono, alla fine del XIV secolo, il nuovo perimetro di
Teramo, che risultava così suddivisa dapprima nei sestieri di S.
Leonardo, S. Antonio, S. Maria a Bitetto e S. Croce nella "terra
vecchia", S. Giorgio e S. Spirito nella "terra nuova" e poi, intorno al
1562, nei soli quartieri di S. Leonardo, S. Maria, S. Giorgio e S.
Spirito (3). La maggior importanza che aveva allora il Corso di Porta
Romana, essendo la via da cui si usciva per Roma, venne ben presto
ridotta dalla frana della ripa sinistra del Tordino e dallo spostamento
più a monte della strada per Roma, Fu così che Corso S. Giorgio, la
diretta prosecuzione dell'asse di attraversamento principale verso
ovest, cominciò ad acquisire maggiore importanza (4). Tuttavia la
densità edilizia di questa seconda parte dovette restare per molto tempo
limitata, visto che nel Seicento risultava ancora in gran parte occupata
dagli "orti" dei conventi di S. Agostino, di S. Matteo, dei Cappuccini e
dei privati (5); anche se sulle strade più importanti si allineavano le
facciate di chiese e palazzi, le porzioni di lotto retrostanti venivano
definite soprattutto da strutture edilizie minori e dai relativi muri
d'orto e di confine, la cui regolarizzazione era il risultato di una
"politica urbanistica" attuata attraverso gli statuti e le ordinanze
municipali. Tra gli edifici più importanti alla fine del XVI secolo vi
erano certamente la chiesa ed il convento di S. Matteo e il primo
Palazzo Dèlfico (6).
A metà del XVI secolo,
quella dei Delfico era già una famiglia di una certa rilevanza, se è
vero che questo primo palazzo venne eretto tra il 1512 ed il 1552, come
testimoniano le iscrizioni dei portali su Corso S. Giorgio e Via Delfico.
Un edificio più che importante considerate le complessive condizioni
economiche ed urbanistiche della città in quel periodo (7). All'epoca i
palazzi più rilevanti erano la casa dei Melatino, la casa Francese e
quella degli Antonelli e De Valle, tutti di origine medievale e come
tali situati nella zona orientale, per cui Palazzo Dèlfico di metà
Cinquecento sembra costituire il primo esempio di abitazione civile di
notevole importanza edificata su Corso S. Giorgio, cioè nella zona di
sviluppo occidentale (8).
Per tutto il XVI e XVII
secolo, fino agli inizi del XVIII, quindi, la direttrice di espansione
principale era l'attuale Corso S. Giorgio dove numerose erano le
abitazioni private, sorte anche sulle strade laterali. Prevalentemente
basse, a due piani, le costruzioni ripetevano modelli architettonici
tradizionali, che si riproponevano, pur con l'inevitabile evoluzione
formale, sin dal medioevo (9) : murature massicce in pietra e laterizio,
raramente intonacate, con semplici aperture evidenziate da stipiti ed
architravi in travertino di Civitella del Tronto ed ingressi
maggiormente rappresentativi con archivolti e stemmi scolpiti. Lo "stile
barocco", ad esempio, si esprimeva negli edifici più importanti con
balconi di ferro battuto dal caratteristico profilo bombato e nei motivi
decorativi dei portali (10).
Non si ha notizia di
nuove costruzioni di una certa importanza poiché gli interventi sul
tessuto edilizio dovevano consistere maggiormente in ristrutturazioni ed
ampliamenti tendenti al completamento delle aree già edificate: tra
queste si ricorda l'ampliamento del seminario e il "restauro" del
conservatorio di S. Carlo (11). A fronte di un rinnovamento delle forme
architettoniche esterne piuttosto limitato, si verifica invece un'ampia
diffusione dei nuovi modelli decorativi per quanto riguarda l'interno di
residenze ed edifici religiosi. Tra questo tipo d'interventi, il più
noto e il più importante è certamente la ristrutturazione interna della
cattedrale del 1739, realizzata su disegno dell'architetto Gerolamo
Rizza e promossa dal vescovo De Rossi, il quale volle trasformare una
chiesa medievale, divenuta fredda, umida e tetra "per antichità di
tempo", in una nuova e "moderna" in cui almeno l'aspetto interno fosse
adeguato al gusto e alla cultura dell'epoca (12). A seguito della
demolizione e del rinterro della "grotta di S. Berardo", compiuto
durante la realizzazione di questi lavori, nel 1766 veniva realizzata
anche una nuova cappella dedicata al Santo patrono, nota come Cappellone
di S. Berardo, i cui stucchi vennero disegnati e realizzati dai maestri
milanesi Giacomo Cantone e Stefano Interlenghi. Infine, nel 1791,
durante l'episcopato del vescovo Pirelli, si restaurava anche la
cappella del SS. Sacramento, abbellita dell'altare in commesso marmoreo,
ancora esistente (13). Si concludeva così un vasto programma di
adeguamento al gusto corrente dell'edificio maggiormente rappresentativo
della città. Questa trasformazione costituisce una prassi edilizia
verificata in tutto l'Abruzzo settecentesco: alla struttura originale di
epoca medievale, infatti, se ne sovrapponeva una barocca che mutava la
spazialità interna attraverso nuove coperture, nuovi ordini
architettonici e l'uso di stucchi decorativi, mentre, esternamente,
tutto restava immutato. In realtà, almeno nelle intenzioni del vescovo
De Rossi, l'intervento alla cattedrale aprutina non si doveva limitare
all'interno. A parte gli interventi di "restauro" compiuti per quelle
case e botteghe che sorgevano addossate al lato settentrionale della
cattedrale, lo stesso vescovo nel suo testamento aveva legato mille
ducati per il progetto di una nuova facciata della cattedrale "colle due
porte", che se fosse stata realizzata avrebbe certamente costituito
l'opera tardo settecentesca più importante dal punto di vista
dell'immagine urbana (14).
Il periodo compreso tra
la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX segna il compimento
dell'espansione della famiglia Delfico sia nel senso della proprietà
terriera che in quella specificatamente edilizia: a tale epoca
risalgono, infatti, il completamento del palazzo di Montesilvano (di
origine cinquecentesca) e la costruzione del nuovo palazzo, edificato in
una vasta zona di loro proprietà, in posizione arretrata rispetto al
corso, ma immediatamente adiacente l'antica dimora (15). Quest'ultima,
oggi ad angolo fra via Giosuè Carducci e Corso S. Giorgio e denominata
dal 1929 palazzo Ponno, ha subito importanti modifiche negli anni
cinquanta dell'Ottocento, quando venne demolita la torre di cui era
dotata. Resta comunque a segnare il punto dal quale ebbe inizio
l'espansione urbana delle proprietà Delfico, sempre più progressiva: nel
1594 un Giovanni Berardino Delfico acquisisce in una decina d'anni
numerose proprietà, tanto che nel 1644 a Teramo già vi sono altri due
edifici – uno nel quarto S. Giorgio e l'altro nel quarto S. Spirito –
mentre nel 1749 si verifica un ulteriore incremento delle proprietà
cittadine (16).
Nel 1744 nasce
Melchiorre Delfico. Il gruppo di intellettuali formatosi intorno alla
sua figura crea un periodo di eccezionale fervore culturale, durante il
quale si sviluppa un'intensa attività tesa a migliorare lo stato
economico della provincia, riuscendo a rappresentare il momento di
raccordo tra le istanze locali e la politica del Governo. Tra il 1770 ed
il 1790 in particolare, l'opera del Delfico, influente sia nel campo
civile sia politico, lo ancor più nelle lettere e nelle arti, che
giungono al loro massimo splendore (17).
E' in questo periodo che
inizia la costruzione di Palazzo Dèlfico: benché descritto come ormai
"ultimato" nel 1790, doveva considerarsi completato solo in parte. I
lavori continuarono probabilmente con modifiche ed ampliamenti rispetto
al nucleo iniziale, visto che proseguirono per molti anni ancora, almeno
fino al 1847 con Gregorio De Filippis Delfico (18). Con la costruzione
del palazzo settecentesco dei Delfico fu aperta sicuramente anche la
strada che lo divideva dalle "pertinenze" a ovest del palazzo. Prima di
allora questa era sbarrata a sud dagli orti e consisteva in un primo
breve tratto, compreso tra il Corso S. Giorgio e l'attuale Via Delfico,
identificabile con quella "strada Mozza" che nel catasto 1749 era
indicata come uno dei confini della casa cinquecentesca di Berardo
Delfico, poi venduta ai Ponno (19).
Per la scarsa
documentazione attualmente esistente sui lavori al palazzo in questo
periodo e le relative proprietà adiacenti, si può solo ipotizzare che
all'epoca le pertinenze consistevano in terreni che da lì si estendevano
in direzione sud-ovest, verso quella parte di città, quindi, ancora
scarsamente edificata, occupata com'era dagli orti dei conventi e da
quelli delle proprietà confinanti. Nel catasto del 1749, infatti, i
Delfico risultavano proprietari di un "orto murato" ad occidente
dell'antica casa e di un "orto sito adiacente ad ovest del precedente
(20).
Tra le questioni che
naturalmente rimangono irrisolte per il silenzio delle fonti finora
conosciute ed esaminate, la più interessante per questo studio è quella
riguardante il rapporto del palazzo con le pertinenze, in relazione alle
diverse quote esistenti rispetto al livello stradale. Il palazzo,
costruito arretrato di un isolato rispetto al corso principale della
città, aveva sul prospetto occidentale la sola strada di collegamento
costituita da un vicolo tortuoso e stretto, probabilmente aperto per
l'occasione tra il palazzo ed i terreni adiacenti. Questi dovevano avere
in quel punto una quota superiore di alcuni metri rispetto a quella
stradale, se è vero che nei primi anni del secolo successivo vennero
edificati tre piccoli cavalcavia che collegavano il primo piano del
palazzo agli orti e ai giardini prospettanti. Questo caratteristico
dislivello, per quanto è stato fin qui possibile analizzare,
apparentemente unico nel suo genere in tutto il fronte stradale, non
sembra essere il risultato della naturale pendenza del terreno in salita
verso ovest e tuttavia neppure lo si può far corrispondere con certezza
ad un preesistente terrapieno determinato da una struttura muraria più
antica.
Il XIX secolo
Teramo si apre al nuovo
secolo con le dimensioni ancora di una piccola città, di poco più di
ottomila abitanti nel suo nucleo storico, ma con un periodo di grande
fervore civile e culturale che, avviato sullo scorcio del Settecento,
stava ancora in parte continuando (21). Il decennio francese, in
particolare, iniziato nel 1806 con Giuseppe Napoleone e con la nomina di
Melchiorre Delfico nel Consiglio di Stato del nuovo regno e conclusosi
nel 1814 con i moti carbonari, è per Teramo un periodo di pace profonda
che favorisce indubbiamente la realizzazione delle opere pubbliche (22).
Tuttavia molte delle opere previste di questo periodo, vengono
realizzate solo successivamente.
Se nel 1803 erano già
iniziati i lavori del nuovo carcere nell'area del Convento di Sant'Agostino
(23), per realizzare il Real Collegio con annessa biblioteca, embrione
della futura Biblioteca Delfico, si dovettero aspettare dieci anni (24).
Anche l'ampliamento infrastrutturale e in particolare quello della rete
viaria, caratteristica tipica della politica urbanistica del periodo
napoleonico, venne realizzato con ritardo: la costruzione della strada
Teramo-Giulianova che ancora costituisce l'asse di collegamento
principale tra il capoluogo e la costa adriatica, ad esempio, per la
quale nel 1814 fu "strappato" un decreto di Gioacchino Murat al ritorno
dalla battaglia di Tolentino, fu realizzata dal restaurato governo
borbonico grazie agli obblighi del trattato di Vienna (25). Nel 1832 il
Re Ferdinando II inaugurava il primo pilone del ponte sul Vezzola e
sempre in questo periodo s'iniziava la costruzione del ponte sul Tordino:
quest'ultimo, costruito nei pressi del guado per Forcella, era anche
noto come "ponte a catena" perché realizzato in tavolato di legno,
sostenuto da catene di ferro (26).
Il ritorno definitivo di
Melchiorre Delfico a Teramo nel 1823, dopo il fallito tentativo di
creare a Napoli un governo costituzionale, determina nuove iniziative
urbanistiche. Allo scopo di dare maggiore decoro alla città, si avviava
la regolarizzazione di Corso S. Giorgio. L'opera fu eseguita in parte
con i fondi del Comune e in parte "a premura ed a spese" di Melchiorre
Delfico: egli acquistò le case Cichetti alle quali fece abbattere i
rozzi porticati che le ingombravano a metà del lato settentrionale, così
che anche gli altri proprietari furono obbligati ad abbattere i propri.
Successivamente venivano infatti distrutti i portici addossati alle case
Thaulero e Schips lungo Corso S. Giorgio e, più tardi, anche quelli
lungo il Corso di Porta Reale, oggi De Michetti (27). Fu anche
"riempito" il fossato che correva fuori Porta S. Giorgio ed iniziato il
viale fiancheggiato da alberi all'inizio della strada per Ascoli
(odierno Viale Bovio) (28). In questo punto, nel 1826, venne realizzato
l'Orto Botanico Sperimentale della Società Economica (29), insieme
all'edificio sede dell'istituzione, oggi corrispondente alla Pinacoteca
e alla Villa Comunale. Fra Porta S. Giorgio (ovvero tra i due larghi
pilastri realizzati con la pietra del dirupo monastero di S. Atto) ed il
Largo de' Cappuccini, infatti, fu creato un piano abbattendo le antiche
mura della città che avevano anteriormente ancora una via stretta, forse
corrispondente all'antico pomerio. In mezzo a questo grande cavo, di
fronte la chiesa della Madonna degli Angeli, rimaneva una specie di
promontorio, secondo Palma la testa del ponte levatoio che qui si
trovava. Nel 1803-04 il terreno era stato appianato ed aperta una strada
di passeggio. Successivamente, forse verso la metà degli anni Venti, tra
la vecchia strada, l'area dei muri e quella della parete del fossato più
vicina alla città, si era formato un piano perfettamente livellato, che
giungeva in lunghezza fino al Largo dei Cappuccini, con il passeggio
riparato da due filari di olmi e con sedili. Per fare questo
livellamento fu necessario abbassare il largo, che rese pure meno
inclinata la discesa a Porta Romana, anch'essa ampliata. Nacque quindi
l'idea di fare lungo questa strada un'altra passeggiata creando così un
solo collegamento da S. Giorgio al poggio sopra il Tordino,
corrispondente all'attuale Viale dei Tigli. Porta Romana era così
condannata all'abbattimento, tanto più che, si disse, demolendo il
vecchio fabbricato si sarebbero migliorate le condizioni di aria e luce
della strada per S. Domenico, appena lastricata. Le pietre di Porta
Romana servirono al rinforzamento del palazzo comunale, poiché
minacciava di rovinare nella parte anteriore: sul basamento venne
costruita una scarpa per rinforzare il muro "boreale" e un arco più
basso, a tutto sesto, fu sottoposto all'arco ogivale, decorato con
laterizi. Nella facciata furono poi costruiti tre pilastri attaccati
agli antichi lasciando come loggia scoperta il piano superiore (30).
Nella zona sud-orientale
della città già nel 1817 era stato raddrizzato e allargato il trivio tra
le case Savini e Urbani, demolendo così anche gli ultimi resti
dell'antica Porta di S. Francesco (31). Definitivamente abbattute le
mura e le porte della città, si costruivano a est Porta Madonna (Porta
Reale) e a ovest Porta S. Giorgio sul luogo delle antiche e si
lastricavano le strade principali (32). Si andava inoltre lentamente
strutturando il tessuto urbano più ad ovest che, insieme ai maggiori
palazzi ancora esistenti, ancora definisce l'estremo occidentale del
centro storico. Nei pressi di Porta S. Giorgio, nella parte
settentrionale rispetto al corso, veniva infatti costruito il palazzo
provinciale per l'Intendenza e per gli Archivi Generali. Anche se da
tempo se ne era imposta la necessità, il 28 giugno 1826 con Regale
Decreto finalmente si autorizzava l'Intendente ad acquistare cinque case
al "capo occidentale della città" perché fossero demolite (33) e
recuperate nel progetto del palazzo, realizzato dall'ingegnere Carlo
Forti. Anch'esso oggetto di numerose modifiche in corso d'opera, verrà
completato come edificio a blocco con corte centrale e quattro livelli
fuori terra, di varia altezza, caratterizzando in facciata da bugne
angolari (34).
Questo processo di
rinnovamento del tessuto edilizio attraverso parziali demolizioni di
edifici più modesti, da inglobare in costruzioni pubbliche, è tipico del
periodo e di tutti i capoluoghi di provincia, ma si intensifica a
partire dalla seconda metà del secolo. Alla fine degli anni trenta
Teramo, infatti, era ancora "circondata da mura in rovina e torri
cadenti, ben lungi dall'indicare un capoluogo di provincia". Il
viaggiatore inglese Keppel Kraven notava inoltre che nella "parte
interna, formata da strette viuzze e case di misero aspetto" c'era
soltanto "una strada larga e diritta ed in questa solo poche case di
bell'aspetto", anche se negli edifici costruiti verso la "periferia",
invece, trovava "nell'architettura e negli ornamenti un grado più
raffinato di gusti e di tecnica, che usualmente manca nelle città di
provincia" così come negli "interni di molti edifici, specialmente per
gli affreschi" (35).
Con l'Unità d'Italia si
avvia un "reale processo di rinnovamento fondato sulla duplice esigenza
di rispondere alle nuove funzioni di servizio amministrativo e
burocratico, connesse alla formazione dello Stato unitario e di decoro e
immagine della città affermati dalla classe dirigente municipale in
cerca di legittimazione" (36).
All'interno di questo
processo di realizzazione delle strutture amministrative vi è certamente
la costruzione del palazzo della Provincia, che tuttavia non è
inizialmente progettato per tale scopo.
Il Consiglio
Provinciale, nella seduta del 9 maggio 1885, celebrava la costruzione di
una Scuola Normale Femminile, con annesso Convitto, sull'area dove si
estendevano gli orti dei Cappuccini. Il progetto dell'edificio, affidato
all'Ufficio Tecnico Provinciale, diretto da Gaetano Crugnola, prevedeva
un palazzo con corte interna ed ampio giardino, con una parte riservata
ad orto, modello per l'insegnamento delle pratiche agrarie. Completato
nel 1888, ebbe questa destinazione solo per pochi anni poiché, soppressa
la scuola e trasferito il Convitto, nel 1900 l'Ufficio Tecnico
Provinciale, sempre diretto da Crugnola, elaborò un progetto di
adattamento dell'edificio agli Uffici dell'Amministrazione.
Pianta della città di Teramo disegnata da Zampi (1807
- 1810 circa).
Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Manoscritti,
in Piante di varie città del regno
militarmente estratte dal Reg.o Geog.o Zampi con
scala di riduzione, 1807 - 1810 |
Agli inizi
dell'Ottocento il collegamento viario tra le proprietà Delfico ed il
corso principale della città era rimasto quel viottolo tortuoso già
formatosi con la costruzione dei palazzi e identificato
dall'amministrazione francese con il nome di "vico de' ponti" per la
singolare presenza dei tre passaggi sospesi (37). La stradina
(corrispondente come posizione all'attuale Via Carducci), larga in
alcuni punti non più di due, tre metri, era infatti sovrastata da tre
piccoli cavalcavia, costruiti tra il 1801 ed il 1812, che collegavano il
palazzo ai giardini.Dalla pianta di Teramo
disegnata dal Betti e datata 1820 (38) s'individua, tra le altre, una
vasta area ‘verde' corrispondente ai due isolati a ovest del palazzo
divisa da una breve strada appartenente alla maglia viaria ortogonale.
L'isolato più vicino al palazzo è separato da questo da una stretta
stradina che, seppur allineata con il corrispondente tracciato a nord
del corso, è più irregolare e cieca, identificabile quindi con il "vico de'
ponti".
Nella planimetria di La balle, del 1852 (39), i due isolati
‘verdi' risultano come unica proprietà e la strada che li separava
inglobata all'interno dell'area, che risulta però suddivisa ancora in
due parti di forma pressochè regolare: quella più arretrata verso ovest,
sembra essere il vero e proprio giardino con aiuole e siepi il cui
disegno regolarizzato sembra individuarne uno del tipo all'italiana;
quella prospiciente il vicolo ed il palazzo, invece, sembra essere
occupata dagli orti e probabilmente da alberi secolari che ombreggiavano
ed abbellivano la visuale dalle finestre del palazzo.
Si spiega in tal modo la
diversa denominazione – "orti" e "giardini" Delfico – che compare nei
documenti e l'uso della prima per indicare più spesso l'area
immediatamente prospiciente e collegata al palazzo: Questa disposizione,
apparentemente inusuale, si spiega con l'importanza che viene data
all'orto nella tradizione agraria e botanica propria della società
teramana. Più che di un semplice appezzamento di terra per la
coltivazione di erbaggi e piante da frutto, si trattava evidentemente di
un orto botanico con piante nostrane, esotiche e rare, coltivate anche
per scopi officinali. Le ultime ricerche d'archivio sull'argomento
confermano tale ipotesi poiché, come risulta da un documento del 1817,
un certo Antonio Orsini di Ascoli "espertissimo in botanica" mandava
delle pianticelle della Alisma Plantago al Marchese Delfico il
quale "con tutta cura" le avrebbe fatte coltivare nel suo "orto
botanico" (40).
|
Pianta della città di Teramo disegnata da Betti
(1820).
Biblioteca Provinciale dell'Aquila, Fondo Carte
Geografiche, Pianta di Teramo.
Fatta dal [sic] Guardia del Genio Giuseppe Betti
il di 17 ottobre 1820 |
|
Questi terreni, però,
come già detto, si trovavano ad una quota maggiore rispetto a quella
stradale, rialzata di circa 3 metri. Tale dislivello è tuttora visibile
in quella parte di ‘orto' che resta all'angolo sud-est di palazzo Inail,
all'incrocio di Via Carducci con Via D'Annunzio. La quota del terreno su
cui sorgono quei pini secolari, infatti, è la stessa che doveva avere
all'epoca e che la costruzione dell'edificio pubblico non ha modificato.
E' infatti evidente come, sul lato di Via Carducci, l'isolato presenti
un ‘muro' di contenimento ti tale terrapieno, in parte ‘scavato'
dall'ampia scalinata di accesso, in parte dai vani adibiti a locali
commerciali. Palazzo Inail, a differenza di tutti gli altri edifici di
Via Carducci, sorge infatti come su un ‘podio' la cui origine è prima di
tutto da ricercarsi nella preesistente situazione determinata dagli orti
Delfico.
Mappa dell'Esercito Borbonico 1852 - 1856.
Particolare.
Ufficio Tecnico della Provincia di Teramo |
Per quale motivo, poi,
questi ultimi debbano aver avuto una quota diversa da quelli di altre
proprietà confinanti non è dato, al momento, sapere. Restano le ipotesi
di una preesistenza più antica o della creazione ex novo del
terrapieno per poter realizzare un dispendioso progetto di palazzo con
giardino pensile.
Pianta della città di Teramo disegnata da Laballe
(1852). Particolare.
Istituto Geografico Militare di Firenze, Pianta
della città di Teramo
eseguita alla scala 1/5.000 dall'Alfiere del
Corpo Regio del Genio Laballe |
Per la prima ipotesi,
purtroppo, non vi sono al momento elementi tali che possano confermare
la preesistenza di strutture murarie più antiche sulle quali siano stati
realizzati i giardini. Un unico, interessante indizio è costituito dai
ritrovamenti in Via Carducci, relativi ad una tomba ad inumazione, in
fossa, rivestita di pietre a secco dell'età del ferro, trovata, però, a
circa 1,8 metri di profondità nell'ex giardino di casa Delfico intorno
al 1910 (41).
Per la seconda ipotesi,
quella relativa ad un progetto di palazzo con giardino pensile, mancano
ugualmente dati documentali certi. Resta tuttavia la descrizione che
Marino Delfico ne dà nel 1932, nella quale pare di ravvisare un'idea di
giardino voluta e realizzata esattamente nella forma in cui ancora,
all'epoca, si presentava: "…magnifico nostro giardino pensile che i miei
antenati, ed in tempi immemorabili, crearono a stretto fianco del nostro
palazzo di Teramo, allo stesso livello del piano nobile, con il viale
centrale in perfetta rispondenza con tutte le porte dei saloni e degli
altri numerosi ambienti, per cui dalla strada, con l'equipaggio o con
qualsiasi altro mezzo di trasporto, si accedeva al piano nobile stesso…"
(42).
Pianta della città di Teramo.
Ricordo dell'Esposizione Provinciale Operaria del
1888. Particolare.
(Disegnata dall'Ing. Ernesto Narcisi nel 1888) |
Questo dislivello,
tuttavia, non è segnato nella planimetria di Laballe, così come non sono
segnati i passaggi soprelevati, ma è certo che esistevano poiché il
primo dei tre cavalcavia di collegamento tra il palazzo e gli orti dei
Delfico venne costruito nel 1801. Nell'allegato alla richiesta di
permesso di costruzione vi è il parere del muratore: egli dichiara che
l'intervento non "reca nessun pregiudizio, né al Pubblico né al privato
(…) il quale piuttosto se ne va a ritrarre vantaggi per l'ornato che si
fa a quella remota strada" (43). Prima di allora l'accesso al palazzo ed
ai piani superiori doveva comunque essere assicurato da altri
collegamenti e, d'altra parte, la scala monumentale che costituisce
forse la parte architettonicamente più rilevante dell'edificio ne è la
conferma. Ma il lungo processo di completamento del palazzo, così
dilazionato nel tempo, ha certamente determinato continui mutamenti
progettuali sia dal punto di vista planimetrico che di facciata, di cui
oggi non senza difficoltà si ricercano le tracce.
|
Planimetria catastale del 1875 (Parte relativa ai
dintorni del palazzo e dei giardini Dèlfico).
Catasto Urbano di Teramo del 1875 - 1906, Biblioteca
Provinciale di Teramo.
Copia realizzata all'epoca dall'arch. Carlo Ferroni. |
E' noto ad esempio, che
in realtà i cavalcavia erano tre, di cui quello più a nord largo appena
un metro e mezzo, quello più a sud circa tre metri e mezzo, e quello
centrale, impostato all'angolo del palazzo su Via delle Orfane,
soprastante la fontana, largo oltre quattro metri. In tal modo si era
venuta a creare una facciata occidentale prospiciente gli orti ed i
giardini, di maggiore importanza, con ingressi posti alla quota del
piano nobile, alle cui sale si accedeva anche in carrozza passando per
il cavalcavia centrale.
Salvatore Di Giuseppe (1852 - 1930), Via del
Burro, con la "Fontana
delle Piccine", il palazzo, i giardini
Dèlfico e i cavalcavia (1907).
Da Teramo com'era, Roma, Editalia, 1966, p. 243 |
Purtroppo oggi di questi
ingressi non vi è alcun resto, essendo stata successivamente arretrata e
ricostruita la facciata per l'allargamento della strada. E' interessante
ricordare, invece, come la soluzione a passaggi sospesi venne replicata,
negli anni quaranta del secolo, nel progetto dell'edificio dei
"Compresi". Tuttavia la realizzazione dell'idea iniziale dell'ingegnere
del Dipartimento di Ponti e Strade, Gennaro Cangiano, di collegare il
palazzo dell'Intendenza a quello dei "Compresi" con una galleria sospesa
"gittata a ponte sulla publica strada passante fra i due fabbricati"
(44), fu dilazionata nel tempo e modificata. Nel cortile interno, però,
venne realizzato, come da progetto, un giardino all'italiana che forse,
in parte, si estendeva in quello del lotto retrostante, come nei
giardini Delfico. Nella planimetria di Laballe del 1852 questi due
isolati a giardino si distinguono, oltre che per l'analoga
rappresentazione, anche per la posizione simmetrica rispetto al corso.
Prima della metà
dell'Ottocento, quando i De Filippis Delfico iniziavano il restauro del
palazzo, l'ampliamento e reddrizzamento di "vico de' ponti" non erano
stati presi neanche in considerazione (45). Questa strada, che nel
catasto del 1875 veniva individuata con la curiosa denominazione di Via
del Burro (46), scendeva verso il Tordino in direzione della
Misericordia. Ma l'accesso da Via del Burro verso il largo della chiesa
rimaneva impedito dalle proprietà Thaulero e Castelli. Verso sud,
infatti, all'altezza dell'attuale Via Paladini, sulle aree oggi occupate
dalla sede Telecom e dalla prospiciente porzione di fabbricato
dell'Istituto Magistrale, si estendeva l'orto Thaulero, sul cui sito
sorgeva pure una torre "inabitabile ad uso di colombaia", già rilevata
nel catasto napoleonico (47).
Nel catasto del 1875
risulta che, nell'isolato più a sud di quello di Palazzo Dèlfico,
compreso tra le Vie del Burro, delle Orfane e Nazionale (attuale G.
D'Annunzio), c'era una vasta area inedificata, probabilmente cinta da
mura, al cui angolo sud-occidentale appare già costruito il terzo
Palazzo Dèlfico, quello dei Conti Luciano e Marino Delfico.
Evidentemente si trattava di un altro "orto", così come denominato nelle
planimetrie relative. Anche l'area degli orti e dei giardini, compresa
tra le Vie del Burro, Delfico, Nazionale e Nuova, risulta parzialmente
edificata, soprattutto sui fronti e in corrispondenza degli incroci
stradali; tuttavia resta ancora compatta, non attraversata dalla maglia
viaria che, già regolarizzata ed ortogonale a nord del corso, cercava di
penetrare all'interno delle più vaste proprietà meridionali.
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Sistemazione di Via del Burro
(1913). Taglio dello stabile dei Conti Dèlfico in Via Nazionale
(attuale Via D'Annunzio). Teramo, Archivio Storico Comunale, B. 455,
fasc. 129 (1910 - 14), Acquisto case Dèlfico |
In realtà, la presenza
di una vasta area inedificata a sud dell'ultimo tratto del corso, in
gran parte corrispondente alle antiche proprietà del convento dei
Cappuccini, non aveva ancora permesso la regolarizzazione dei tracciati
viari e dei rispettivi isolati in lotti pressochè rettangolari, come
invece era progressivamente accaduto nelle immediate vicinanze del corso
e più a nord, fin quasi ai margini dell'abitato. Quello di Via del
Burro, era il primo asse trasversale occidentale di Corso S. Giorgio che
non permetteva il collegamento tra gli estremi settentrionale e
meridionale dell'abitato proprio a causa del mancato collegamento con la
zona della Misericordia. L'importanza e la funzionalità urbana di Via
del Burro per tutto l'Ottocento rimasero così fortemente limitate, anche
a causa della ristretta sezione stradale. Ma nel 1882, sotto il
cavalcavia centrale, veniva realizzata una fontana, detta "delle
Piccine" (48) la cui funzione pubblica certamente modificò il rapporto
tra il luogo e gli abitanti. L'apertura della strada verso la Piazza
della Misericordia (futura Piazza Comi), rappresentava ormai un'esigenza
pubblica e non poteva che essere realizzata attraverso l'intervento
dell'amministrazione comunale. Per la realizzazione di quest'opera, già
prevista nel piano regolatore del 1887 redatto in vista dell'Esposizione
Operaia e mai realizzato, i teramani dovettero però attendere il nuovo
secolo (49).
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Sistemazione di Via del Burro
(1914). Pianta con indicazioni cavalcavia demoliti e controversi |
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Sistemazione di Via del Burro (1914). Sezione
trasversale della strada. Prospetto di un cavalcavia.
Teramo, Archivio Storico Comunale, B. 459, fasc.
167. Sistemazione di Via del Burro o Thaulero.
Espropriazione di cavalcavia dei Sig.ri Conti
Dèlfico |
Il XX secolo
Agli inizi del Novecento
l'economia teramana subisce un arresto dovuto alla crisi del sistema
mezzadrie, tanto che anche nell'attività edilizia si registra un
rallentamento, sia nella costruzione di edifici privati, sia nella
realizzazione di opere pubbliche (50). All'interno del tessuto edilizio
già esistente avviene soprattutto un rinnovamento dei partiti
decorativi, attraverso l'adozione di elementi e forme proprie del
liberty e dell'art nouveau nella costruzione o ristrutturazione
di palazzi. Per quanto riguarda l'edificazione delle aree
sud-occidentali dell'abitato, invece, viene continuata, seppur
limitatamente, la costruzione di edifici pubblici. L'intervento
maggiormente rappresentativo in tal senso è la realizzazione del
Convitto Nazionale in Piazza Dante – il cui progetto iniziale del 1914
dell'architetto Vincenzo Pilotti, sarà modificato e realizzato solo nel
1934 – poiché costituisce, nonostante la mancanza di un progetto
urbanistico ben preciso, il punto focale della sistemazione dell'intera
area. Come in un meccanismo a catena, infatti, a partire dalla
sistemazione di Via Carducci (cioè Via del Burro) l'intera zona,
compresa tra Corso S. Giorgio, Piazza della Misericordia e il convento
dei Cappuccini, in pochi decenni sarà completamente modificata. Sul
nuovo asse di collegamento tra il corso e il versante meridionale del
centro abitato si collocheranno i maggiori edifici pubblici come il
palazzo della Banca d'Italia, il teatro Apollo, l'Istituto Magistrale e
palazzo Inail. Questa trasformazione, già avviata lentamente nei primi
del ‘900, procederà per tutto il ventennio fascista, durante il quale,
però, nonostante la realizzazione dei maggiori edifici pubblici,
mancherà un disegno unitario per l'assetto della città, un progetto
urbanistico vero e proprio, se si escludono i piani di ampliamento di
zone parziali delle città. Quello di risanamento del quartiere di S.
Maria a Bitetto e quello di sistemazione del centro con l'isolamento
della cattedrale (51).
Nel 1905, alla morte di
Giovanni Thaulero, l'amministrazione intitolava Via del Burro a suo
nome, secondo l'accordo intercorso con l'acquisto dell'Orto, mentre
anche Piazza della Misericordia diventava Piazza Vincenzo Comi. Nel 1909
si cominciò a lavorare finalmente all'ampliamento del "vico de' ponti":
i lavori comportarono la demolizione dei cavalcavia, l'esproprio dei
numerosi orti e il taglio di porzioni degli edifici Rolli, Pacini e
Delfico, ampliando così la sede stradale fino a metri 8,80. Di
conseguenza venne iniziata anche l'apertura della strada verso Piazza
Comi, passando per la proprietà già Castelli Ercolani, divisa poi tra
Ferrante e Di Antonio, ma completata solo dopo la definitiva
intitolazione della strada a Giosuè Carducci (52). Attraverso la pratica
dell'esproprio, con la quale si tentava di "recuperare" aree e piccoli
spazi da destinare al miglioramento della maglia urbana, veniva quindi
realizzato l'antico e pubblico desiderio di allargamento di Via del
Burro. Per sopprimere "il contorto e lurido vico detto del Burro" e
costruire al suo posto una larga e comoda strada che mettesse in
comunicazione il Corso S. Giorgio con Piazza della Misericordia,
l'amministrazione comunale stipulava nel giugno del 1911 una convenzione
con Luciano e Marino Delfico nella quale, fra le condizioni stabilite,
era a carico del Comune, oltre che "l'abbattimento dei tre cavalcavia
che attualmente esistono fra il Palazzo Dèlfico ed il giardino", anche
"la ricostruzione allo stesso sito e piano attuale di due cavalcavia
sulla nuova strada in forma conveniente ed armonica e di un cavalcavia
sul vico delle Orfane, in corrispondenza del balcone centrale, rimanendo
soppresso quello verso il Corso". In tal modo si creava un accesso
sopraelevato prima inesistente tra il palazzo e l'orto pertinente alla
casa Delfico costruita fra Via del Burro e Via Nazionale. Si prevedeva
inoltre, secondo quanto rappresentato nel progetto, il taglio degli
edifici su Via del Burro e l'arretramento delle facciate per ottenere
l'allargamento della strada. Il progetto per la sistemazione, redatto
dall'Ufficio Tecnico Comunale e presentato all'esame dell'Ufficio del
Regio Genio Civile, fu approvato dal Consiglio Comunale nel luglio
successivo. Con la deliberazione d'urgenza della Giunta del 9 febbraio
1912, si stabiliva l'inizio dei lavori e cioè l'allargamento della
strada con movimento di terra, demolizione e ricostruzione di muri
d'orto. Portate a compimento queste opere nell'estate del 1913,
s'intendeva proseguire i lavori iniziati, per completare l'allargamento
della strada, con l'abbattimento parziale della casa Delfico fra le vie
del Burro e Nazionale e con la conseguente ricostruzione della facciata
della stessa. Più urgente dell'arretramento della facciata di casa
Delfico era considerata la pavimentazione della strada del Burro, la
quale, conducendo alla palestra di ginnastica, alla scuola industriale,
alla Camera di Commercio, agli uffici provinciali e scolastici, era
difatti diventata la via più importante dopo il Corso, ma che nei giorni
piovosi era considerata addirittura "intrafficabile". Riconosciuta
questa come una "urgente necessità", si raccomandava quindi di
provvedere almeno al suo inghiaiamento, simile a quello dei viali nei
giardini pubblici, mentre era nel frattempo abbattuta la fontana di
fronte al palazzo Rolli, prima dell'apertura dell'altro fontanino dello
scultore Cavacchioli.
Nel frattempo nuove
costruzioni sorgevano in Via del Burro, così come auspicato
dall'ingegnere Narcisi: quella del signor Rocco Tanzi, progettata
dall'ing. Narcisi stesso, e quella del signor Pacini, mentre era ancora
in corso la soprelevazione di un piano della casa Delfico in costruzione
su Via Nazionale, dal quale poter godere di una visuale particolare sui
giardini; anche i magazzini Delfico dovevano essere completati "come da
progetto" con un coronamento di "balaustre a colonnine". Di questi
interventi se ne discuteva in sede di Consiglio Comunale: la difficoltà
di armonizzare gli interessi e gli interventi dei privati con le
esigenze di pubblica utilità faceva sentire con maggiore urgenza
l'esigenza per Teramo di un piano regolatore. E così, una volta eseguiti
i lavori di demolizione e ricostruzione dei muri d'orto e delle case
fronteggianti la nuova Via del Burro – tanto che, nel maggio 1914, già
si vedeva aperta sul lato meridionale del Corso S.Giorgio un'ampia
strada larga quasi 9 metri, considerata motivo di "lustro e decoro alla
città" -, la ricostruzione dei cavalcavia previsti nel progetto, che
forse in un primo momento pareva essere l'unica soluzione possibile per
poter conciliare esigenze pubbliche e private, diventava improponibile.
A questo punto, infatti,
"il pubblico" si pronunciava unanimemente "contrario alla ricostruzione
dei cavalcavia allo stesso sito e piano e giustamente, poiché non è
concepibile che attraverso una via della larghezza di ben metri 8,80 si
possa gittare una travata metallica alla sola altezza di m. 3,00 dal
suolo stradale, rendendo persino impraticabile la strada a veicoli di
una certa importanza". Per queste ragioni ed interpretando i sentimenti
della cittadinanza il Regio Commissario del Comune proponeva
l'espropriazione per pubblica utilità, oltre che del suolo stradale,
anche dello spazio aereo che avrebbe dovuto essere occupato dalla
costruzione dei due nuovi cavalcavia, che dunque non vennero più
ricostruiti (53).
Di conseguenza, gli
stessi giardini che nel 1888, in occasione dell'Esposizione Provinciale
e del Congresso delle Banche Popolari e delle Società Operaie, avevano
accolto scenograficamente il passaggio del lungo corteo di carrozze
dirette, attraverso il cavalcavia centrale, all'interno di Palazzo
Dèlfico, dove venivano ospitate le personalità giunte a Teramo per
l'occasione, forse anche a seguito del venire meno di questi storici e
singolari accessi, furono abbandonati a se stessi, diventando ben presto
"campo di monelli e di vandali" (54).
Nel ventennio successivo
tornarono ad essere luogo di decoro e di svago per la città: cipressi,
pini secolari, arbusti sempreverdi e palme, tornavano ad ombreggiare i
vialetti del giardino originale, ma non per sempre (55).
Mentre procedeva, lenta
e inesorabile, l'edificazione dei restanti lotti di terreno prospicienti
la Via Carducci, con la costruzione di importanti edifici pubblici, i
giardini Delfico continuavano a rimanere una delle poche aree ancora
libere. E se in occasione della V Mostra d'Arte Abruzzese e Molisana,
l'intervento comunale impediva, attraverso una vera e propria azione di
recupero del "verde storico", di trasformarlo in area fabbricabile, nel
1939 con il passaggio delle proprietà Delfico all'Ente Comunale di
Assistenza di Teramo (56), s'intendeva conservarli come giardini
comunali (57).
Bisognerà quindi
attendere il secondo dopoguerra, fino a parte degli anni settanta, per
vedere completamente edificata, e trasformata, l'area appartenente ad
una delle proprietà più vaste e storicamente più significative della
città di Teramo.
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