Il
primo impianto settecentesco
Agli
inizi del XVIII secolo le proprietà della famiglia Delfico nel quartiere di
S. Giorgio, come risulta dall'elenco dei beni immobili appartenenti a
Berardo Delfico contenuto nel catasto ordinato da Carlo III di Borbone in
luogo dell'antico catasto secentesco (1), definiscono già chiaramente il
nucleo originario intorno al quale si organizzerà il successivo assetto
edilizio e delle relative pertinenze. Tali proprietà comprendevano, infatti,
oltre l'avita casa "palaziata", oggi conosciuta come casa Ponno,
anche un orto murato di circa mille metri quadri posto ad occidente della casa
e prospiciente la stessa, coincidente con l'area su cui sorgerà il nuovo
edificio e separato dalla strada detta di S. Carlo, ed un altro orto
confinante con il precedente tenuto in enfiteusi del Convento di S. Domenico.
Negli
anni tra il 1768 ed il 1784, Melchiorre Delfico, figlio di Berardo, filosofo
e uomo politico, formatosi alla scuola di Genovesi, di Rossi, di Mazzocchi e
di Filangieri, partecipe dei circoli culturali illuministi ed enciclopedisti
partenopei, è spesso a Napoli dove risiede anche come assessore militare per
la provincia di Teramo.
E'
probabilmente in questi anni che prende forma l'idea del nuovo palazzo e che
hanno concretamente inizio i lavori per la sua realizzazione.
Da
un'analisi comparata dei documenti relativi al censimento per la
contribuzione dell'anno 1807 per il Quartiere S. Giorgio (2), redatto in
periodo francese, ed al Catasto napoleonico del 1809 relativo allo stesso
Quarto di S. Giorgio (3), si desume con sufficiente chiarezza il mutato
assetto edilizio ed urbanistico delle pertinenze dell'antica casa dei
Delfico a seguito della realizzazione di quello che può considerarsi il
nucleo originario del nuovo palazzo. Nell'area
compresa tra via Delfico (strada di S. Carlo?), via del Burro
(oggi via Carducci), via delle Orfane (oggi via Comi) e la
proprietà Catenacci sono, infatti, rilevati tre edifici di
proprietà di Giovan Berardino Delfico, figlio primogenito di
Berardo: una "casa palaziata" a due piani con cortile,
di cui parte ancora in costruzione ed una parte abitata della
dimensione di nove vani al piano superiore ed altrettanti a quello
inferiore, allineata lungo via delle Orfane fino all'angolo con
via del Burro; un edificio di minori dimensioni situato all'angolo
tra la via del Burro e via Delfico, abitato come il precedente
dal proprietario e collegato allo stesso da un ponte in legno; un
terzo edificio di piccole dimensioni posto lungo via Delfico
tenuto in affitto.
Sono,
inoltre presenti due "giardini", uno prospiciente l'edificio
principale lungo via delle Orfane ed un secondo posto lateralmente
allo stesso ed alla quota del primo piano, "…in piano ed in
fila all'appartamento", collegati tra loro da un arco che
sovrapassa la via del Burro costruito nel 1801 (4).
Palazzo Dèlfico (anni Quaranta),
via del Burro (oggi via G. Carducci) |
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La
ricostruzione appare suffragata dall'analisi dell'impianto edilizio
complessivo così come si presenta al termine dalle trasformazioni
ottocentesche, al momento della sua cessione al Comune perfezionata nel 1939, e
desumibile dai rilievi planimetrici e dalle riprese fotografiche che documentano
lo stato di fatto a tale epoca. Il complesso è articolato in due corpi edilizi
perfettamente individuabili, architettonicamente, strutturalmente e
distributivamente distinti: quello prospettante su via Delfico e parzialmente
su via del Burro e quello posto lungo via delle Orfane.
L'unitarietà
strutturale ed architettonica del fronte su via delle Orfane, la sua dimensione
coincidente con le descrizioni catastali e la qualità degli elementi
compositivi che connotano il disegno del fronte stesso, unitamente all'assenza
di qualsiasi documento o notizia negli atti della famiglia Delfico in relazione
a lavori eseguiti successivamente al 1807 su detto fronte, contrariamente a
quanto invece viene rendicontato ed annotato per i lavori che hanno interessato
i fronti su via Delfico e via del Burro, rendono ancor più attendibile l'ipotesi
avanzata.
La
lettera del 1790 che Melchiorre Delfico invia all'amico Berardo Quartapelle
(5), nella quale si definiscono come conclusi i lavori relativi alla nuova casa,
sembrerebbe, quindi, riferirsi a questo primo nucleo dell'impianto
complessivo, costituito dal corpo edilizio su via delle Orfane con la
retrostante corte ed in parte ancora in costruzione.
L'edificio
si articolava su due piani ed occupava solo parte del sedime dell'attuale. Si
relazionava, inoltre, direttamente con il prospiciente giardino e, attraverso
questo, mediante un passaggio aereo, con gli orti ed i giardini, soprastanti via
del Burro e posti ad una quota più elevata rispetto alla stessa, che
completavano verso nord-ovest, fino alla via Nuova ed al Convento di S. Matteo,
le proprietà dei Delfico e le pertinenze del loro palazzo.
L'impianto
strutturale presenta una tessitura non perpendicolare al fronte di via delle
Orfane e diversa da quella del successivo palazzo ottocentesco, tanto da far
risultare la galleria di ingresso dal suddetto fronte eccentrica rispetto alla
successiva configurazione della corte e non allineata con l'ingresso da via
Delfico.
L'architettura
si ispira al così detto stile "barocco" così come definito dal
Savini, con un'accezione al termine piuttosto generica relativa ad
architetture ove sono presenti elementi estranei alla più corrente tradizione
classica ed ornamentazioni talvolta ridondanti, che caratterizzava alcuni
edifici civili più rappresentativi realizzati tra il XVII secolo e lo scorcio
finale del XVIII, come, ad esempio casa Bibbi poi Palma e casa de Cecco poi
Cerulli-Lucidi.
Palazzo Dèlfico, fronte su via
M. Dèlfico (anni Quaranta) |
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Ingresso Palazzo Dèlfico 1943-1944 ca.
(Proprietà della Biblioteca Provinciale
"Melchiorre Dèlfico", Teramo) |
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Ingresso Palazzo Dèlfico 1942-1943 ca.
(Proprietà della Biblioteca Provinciale
"Melchiorre Dèlfico", Teramo) |
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Palazzo Dèlfico, restauro su via Comi
(Proprietà della Biblioteca Provinciale "Melchiorre
Dèlfico", Teramo) |
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Palazzo Dèlfico, angolo via Carducci - via Comi, 1955
ca.
(Proprietà della Biblioteca Provinciale "Melchiorre
Dèlfico", Teramo) |
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Il
fronte, dal disegno simmetrico e dal marcato sviluppo orizzontale, imperniato
sull'asse centrale dell'ingresso, presenta un notevole equilibrio
compositivo ed una certa eleganza, ed è connotato dalla chiara gerarchia tra i
due piani, quello terreno basso, forato solo dalle semplici finestre dei fondi e
dal portale d'accesso e l'alto piano nobile che trae maggiore importanza
dalle alte finestre incorniciate di disegno tardo rinascimentale, elegantemente
elaborate nelle finiture come le leggere mensole che sorreggono il davanzale
caratterizzate da grandi foglie d'acanto arricciate. Il centro focale della
composizione è rappresentato dal portale in pietra che incornicia l'ingresso
con lisci piedritti a parasta, semplice capitello dorico ed arco a tutto sesto a
doppia risega, sormontato dal balcone con grandi elaborate mensolature, che si
integrano con la mostra superiore del portale e partecipano del disegno
complessivo dello stesso, e ringhiera in ferro battuto dal disegno ondulato e
"rigonfio" di gusto vagamente spagnolesco.
Tra il
1801 ed il 1812 l'impianto si completa con la realizzazione di un cavalcavia,
di dimensioni tali da consentire il transito di mezzi e carrozze, che collega
direttamente, sullo spigolo dell'edificio tra via delle Orfane e via del
Burro, il piano nobile con gli orti ed il giardino soprastanti via del Burro,
dando origine ad un nuovo sistema di relazioni tra il nuovo edificio e le sue
pertinenze.
Lo
sviluppo della fabrica subisce un brusco arresto ed un lungo periodo di
stasi determinato dalle vicende storiche e politiche che coinvolgono la
famiglia, non solo nella persona di Melchiorre, ma anche per il ruolo svolto da
Orazio, figlio di Giovan Berardino.
Nel
1798, Melchiorre partecipa ai moti rivoluzionari repubblicani che portano alla
fuga di Ferdinando IV da Napoli, e viene nominato Presidente del Supremo
Consiglio della Repubblica Abruzzese. Successivamente, nel 1799, è membro della
Commissione Esecutiva del secondo Governo Provvisorio della Repubblica
Napoletana.
Palazzo Dèlfico, prospetto
originario della facciata su via M. Dèlfico (ricostruzione) |
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Nel
maggio del 1799, alla caduta della Repubblica partenopea, Melchiorre ripara in
esilio a San Marino insieme al nipote Orazio, dove resta fino al giugno del
1806. Al suo rientro dall'esilio, Giuseppe Bonaparte, divenuto nel 1806 Re del
Regno delle Due Sicilie, lo nomina Consigliere di Stato e Presidente della
Sezione degli Affari Interni.
Le
spinte liberali che sfociano poi nei moti rivoluzionari del 1820 costringono
Ferdinando IV, tornato a Napoli dopo la caduta di Napoleone, a concedere una
costituzione per il Regno. Melchiorre è deputato del nuovo Parlamento di Napoli
ed entra a far parte della Giunta governativa provvisoria insieme, fra gli
altri, al generale Florestano Pepe, a David Winspeare, al Duca di Gallo, a
Giacinto Martucci ed al colonnello Russo. L'esperienza della nuova
costituzione liberale si conclude alla fine del 1821. Melchiorre Delfico
rientra definitivamente a Teramo nel 1823.
Il
completamento ottocentesco
E' a
partire da tale data che Orazio Delfico, erede di Giovan Berardino morto nel
1814, e lo zio Melchiorre, che anticipa le "…somme per…occorrere alle
spese della fabrica (6)", riprendono i lavori per il completamento del
palazzo.
Viene
commissionato un nuovo progetto per la facciata su via Delfico e su via del
Burro all'ingegnere Carlo Forti, uno dei progettisti più accreditati e
influenti dell'antico Regno di Napoli.
I
lavori iniziano nel febbraio del 1824 con la sottoscrizione del contratto da
parte dell'impresa di Domenico Marinari sulla base del "calcolo
approssimativo della spesa che occorre per avviare la nuova fabbrica del sig.
Marchese Delfico" redatto dallo stesso ingegnere Forti.
Palazzo Dèlfico: stato di fatto
al 1940. Pianta del piano terra (ricostruzione) |
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I
lavori da eseguire ed i materiali da utilizzare sono chiaramente definiti da
questo documento e dal dettaglio delle successive misure contabili eseguite sui
lavori realizzati.
Teramano,
allievo a Napoli del Fergola, il Forti era rientrato a Teramo nel 1805, ed aveva
già al proprio attivo importanti collaborazioni al restauro del porto di
Brindisi, alla costruzione del porto di Gaeta ed alla progettazione della Strada
Egnazia nella Provincia di Capitanata.
Con
decreto del 1809 fu nominato tra gli ingegneri in capo del Corpo di strade e
ponti, con il compito di organizzare i lavori che dovevano essere eseguiti nelle
province del regno costituite dai tre Abruzzi. Divenne Ispettore nel 1826 e
Segretario della Direzione generale nel 1835.
La
notizia dell'incarico al Forti appare importante per due ordini di motivi: è
il primo nominativo che compare nei documenti della famiglia Delfico, dopo
oltre quaranta anni dall'inizio dell'edificazione del nuovo palazzo, cui sia
attribuita la progettazione dell'edificio o di una sua parte e non è casuale
che l'incarico appaia limitato alla facciata su via Delfico; l'inizio e lo
svolgimento dei nuovi lavori sull'edificio dei Delfico sono praticamente
coevi ai lavori per la realizzazione del Palazzo del Governo (1827-1838)
progettati e diretti dallo stesso Forti e ciò consente di approfondire meglio
le ragioni e le origini delle scelte progettuali, i riferimenti tipologici e
stilistici che le influenzano.
Palazzo Dèlfico: stato di fatto
al 1940. Pianta del primo piano (ricostruzione) |
|
Il
nuovo intervento sembra quindi finalizzato, anche alla luce del dettaglio delle
opere previste nel progetto del Forti, a completare i fronti su via Delfico e
su parte di via del Burro, articolati su tre piani, trasformando l'edificio in
stile neoclassico, su modelli tipici dell'800 napoletano, anche attraverso la
sostituzione, la sopraelevazione e / o rifusione delle preesistenti unità
immobiliari in particolare all'angolo tra via Delfico e via del Burro, come
evidenzia la parziale difformità della tessitura strutturale sul fronte di via
del Burro in corrispondenza del vano dello scalone principale, apparentemente
residuale di precedenti impianti. Anche la diversa tessitura strutturale e la
differente tipologia costruttiva dei solai degli ultimi locali lungo via
Delfico a confine con l'allora proprietà Catenacci, così come l'autonoma
distribuzione verticale degli stessi affidata ad una scala separata con accesso
diretto dalla strada, appare riconducibile al preesistente piccolo edificio
"con entrata in uno sbalio, di 4 piccoli membri superiori a tetto e 3
inferiori (7)".
L'intervento,
pur limitato ai suddetti fronti, tende inoltre a ridisegnare, attraverso l'organizzazione
dei prospetti sulla corte interna, anche l'impianto tipologico e distributivo
dell'intero complesso edilizio. I termini in cui si esplica l'intervento
progettuale del Forti appare emblematico dell'intera vicenda della costruzione
del palazzo, caratterizzata dall'assenza, nelle fonti documentarie ma forse
anche nella realtà, di un progetto unitario complessivo o comunque di un
modello esplicito di riferimento nel momento in cui si avvia la prima fabbrica,
mentre determinante appare, invece, il ruolo svolto dai singoli componenti della
famiglia stessa, Melchiorre in primo luogo ed in parte il nipote Orazio.
Melchiorre,
nel corso dei suoi studi a Napoli e successivamente dal 1768 al 1784, compie
diversi viaggi nell'Italia del nord, e tra le altre città a Ferrara e Pavia,
ove, sotto la guida dell'amico Berardo Quartapelle, compie i suoi studi anche
il nipote Orazio. Conosce in queste occasioni l'architettura manierista e
barocca ma anche l'impianto di edifici caratterizzati dal rapporto tra il
fronte stradale sviluppato in lunghezza ed il giardino definito dal limite di
detta quinta, come ad esempio Palazzo Schifanoia.
Palazzo Dèlfico: stato di fatto
al 1940. Pianta del secondo piano (ricostruzione) |
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Nei
lunghi periodi di soggiorno a Napoli viene inoltre a contatto con le opere del
Medrano, del Vaccaro e del Sanfelice e con la particolare declinazione dell'architettura
neo-classica del Vanvitelli che influenzerà tanta parte dell'800 napoletano,
ma che a Teramo trova compiuto riscontro solo nel Palazzo del Governo e nel
nuovo prospetto di Palazzo Dèlfico.
Appare,
pertanto, plausibile che alla sua figura siano da ricondurre l'idea
ispiratrice sia del primo impianto settecentesco che del successivo
completamento dell'edificio, come sicuramente a lui debba addebitarsi l'affidamento
dell'incarico per quest'ultimo progetto a Carlo Forti, nei confronti del
quale aveva già avuto modo di esprimere grande considerazione.
In una
lettera del settembre 1824 a Michele Genovesi, Melchiorre Delfico lo informa
sui progressi della costruzione, sperando "… che alla fine dell'anno
essendo finita la facciata, potrà meritare un vostro sguardo (8)".
I
lavori, diretti dallo stesso Forti, però si rivelano molto più lenti come
risulta dalle contabilità dell'impresa, puntualmente annotate nelle
registrazioni relative alle attività economiche ed alle spese della famiglia
tenute da Orazio e successivamente da Gregorio De Filippis Delfico: nel 1827
sono completati i lavori strutturali e edili, il nuovo tetto e gli elementi
architettonici della facciata – cornicioni, lesene, architravi e cornici delle
finestre -, nonché il mattonato dei locali abitati e della cappella (9); nel
1836 vengono realizzate da Domenico Brizj le tinteggiature, gli ornati floreali
delle volte ed i fregi che corrono perimetralmente sopra le zoccolature di tutti
i vani di rappresentanza del piano nobile e di alcune stanze da letto (10); nel
1839 vengono completati i lavori per la realizzazione del portico sulla corte
interna e dell'arcone che dallo stesso dà accesso al locale in cui è situata
la "rampa" e dove verrà realizzato lo scalone monumentale (11).
È
presumibilmente in questo periodo che viene realizzato il terzo collegamento con
gli orti ed il giardino posti a monte di via del Burro, con un cavalcavia
pedonale più piccolo dei precedenti situato all'altezza della grande sala al
piano nobile posta a sinistra dello scalone.
Nel
frattempo, nel 1821, Marina, unica figlia di Orazio Delfico, sposa il Conte
Gregorio De Filippis. Nel 1835 muore Melchiorre e nel 1842 lo stesso Orazio.
La
fabbrica, la cui realizzazione è proceduta nell'ultimo ventennio per
interventi minuti ma continui, condotti negli ultimi anni dall'ingegnere
Pietro Quintiliani subentrato al Forti, non è ancora compiuta e la sua storia
torna ad incrociare le vicende politiche in cui sono coinvolti i Delfico:
scomparso prematuramente Gregorio De Filippis Delfico nel 1847, i suoi figli
Trojano e Filippo partecipano ai primi moti risorgimentali del 1848 e la
conseguente reazione del 1849 li costringe ad un lungo esilio terminato solo
nella primavera del 1860.
Scala nobile (particolare) |
|
È
la madre Marina a prendere in mano le sorti della famiglia e la gestione
degli affari in questo lungo periodo, ed è lei a riprendere i lavori nel
palazzo per realizzare l'ultimo ma importantissimo tassello, il
completamento della scala nobile che viene terminata tra la fine del 1852
e l'inizio del 1853, con la pavimentazione della rampa e la
realizzazione su disegno di Pietro Quintiliani della balaustra in pietra
arenaria da parte dello scalpellino Emidio Giovannozzi (12).
L'edificio,
risultante dai lavori finalmente conclusi nel 1853 e che rimarrà
sostanzialmente invariato fino alla cessione dello stesso da parte dei
Delfico all'Amministrazione Comunale nel 1939, si compone quindi di due
parti nettamente giustapposte corrispondenti al corpo di fabbrica
settecentesco prospettante sull'antica via delle Orfane (oggi Comi) e
quello ottocentesco in parte incompiuto nel prospetto su via del Burro
(oggi Carducci), ancora privo degli apparati architettonici e decorativi
che caratterizzano la facciata su via Delfico.
Sullo
stesso fronte di via del Burro, inoltre era stato creato un rinforzo della
muratura perimetrale mediante la realizzazione di una cortina esterna a pietrame
dello spessore di circa 60 centimetri fini all'altezza del solaio del secondo
piano, evidentemente per contrastare le sollecitazioni derivanti dai maggiori
carichi indotti su murature e volte del piano nobile dalla sopraelevazione dell'originario
edificio d'angolo preesistente. La mancata ammorsatura di detta cortina con la
sottostante muratura antica non impedirà, comunque il verificarsi di rilevanti
fenomeni di schiacciamento di quest'ultima nei decenni a seguire (13).
Il
Palazzo Dèlfico
L'impianto
complessivo dell'edificio determinato dagli interventi ottocenteschi a seguito
del progetto di Carlo Forti, pur se esito di questo lungo, discontinuo ed a
volte travagliato processo di costruzione, è riferibile al modello del palazzo
a blocco compatto con corte centrale, nelle forme in cui si è evoluto a partire
dall'età barocca. Questa intenzionalità appare ancor più evidente se
confrontata con l'impianto proposto nel progetto del Palazzo del Governo
realizzato negli stessi anni sempre dal Forti.
Le
analogie tra i due impianti distributivi sono strette: la galleria di ingresso
da cui si accede al cortile attraverso la mediazione del porticato; lo sviluppo
non perimetrale del porticato stesso ma limitato al fronte di accesso; lo
scalone nobile posto lateralmente al cortile, spostato verso lo spigolo esterno
dell'edificio a destra dell'ingresso, con accesso dal porticato; i due vani
di servizio ai lati della galleria, con accessi dalla stessa disposti
simmetricamente, il cui allineamento strutturale determina un risalto, in
negativo in un caso in positivo nell'altro, nel disegno del bugnato del
basamento che denuncia e proietta sul fronte la dimensione della corte interna.
Con
tale impianto inoltre il Forti ribalta completamente il precedente assetto
settecentesco da via delle Orfane a via Delfico, dal rapporto quasi privato con
il giardino e le pertinenze, al rapporto più dichiaratamente urbano della nuova
architettura con la strutturazione e riqualificazione dell'asse del Corso S.
Giorgio che connota nella prima metà del 1800 la realizzazione dei nuovi
edifici civili e pubblici più rappresentativi e degli interventi di risanamento
edilizio intrapresi dal Comune e da singoli personaggi di rilievo nella vita
politica ed amministrativa della città come lo stesso Melchiorre Delfico (14).
La
corte in quanto spazio chiuso da limiti uniformi e continui costituisce il punto
focale di un organismo centripeto, in parte mitigato dalla direzionalità
assiale dell'ingresso. Nel Palazzo Dèlfico al piano nobile una lunga galleria
con ampie finestrature affacciate sul cortile, che collega lo scalone nobile
alla opposta scala di servizio che conduce al secondo piano, costituisce l'elemento
di transizione funzionale e spaziale fra il cortile stesso e le stanze.
Come
spesso accade nella tradizione in particolare del palazzo romano di
derivazione manierista e barocca, manca una chiara sistematizzazione della
pianta. Alla simmetria dell'impianto distributivo complessivo e delle
architetture dei prospetti non corrisponde un'organica distribuzione degli
spazi interni (15). Nel Palazzo Dèlfico gli spazi di rappresentanza – saloni,
camera di compagnia, camera da manciare, biblioteca – sono raggruppati
intorno allo scalone, verso l'angolo tra via Delfico e via del Burro. A
destra dello scalone si accedeva alla galleria e da questa alla anticamera
con la volta arricchita dal dipinto del Trionfo dell'Aurora, che
distribuisce alla sua destra la biblioteca ed alla sua sinistra la sala di
compagnia con la volta decorata ai quattro lati da un ornato a chiaroscuro
raffigurante vasi di fiori e sulla quale sono disposti i quattro medaglioni
ottagonali laterali ed il rosone centrale, con cornici dorate, contenenti il
ciclo di pitture dedicato a figure mitologiche ed allegoriche. Le pareti della
sala erano intonacate e tinteggiate di colore turchino con motivi damascati.
Dalla
sala si accedeva alla camera da manciare, con la volta decorata da un
ornato centrale e tinteggiata in colore "paonazzetto", ed alla grande
Sala tinteggiata in rosa, posta a destra dello scalone e con accesso diretto
dallo stesso, affacciata sul giardino pensile e ad esso collegata da uno dei
cavalcavia che oltrepassavano via del Burro.
Tutti
questi vani erano decorati da un cornicione dipinto che staccava la volta dalle
pareti tinteggiate e da un alto zoccolo, quasi una balaustra, dal ricco motivo
intrecciato, sormontato da un fregio colorito (16).
La
nuova facciata disegnata da Carlo Forti, dalle linee architettoniche
neoclassiche, riprende, nella chiara articolazione e gerarchia dei livelli
verticali, modelli ampiamente collaudati nell'architettura civile partenopea
del secondo Settecento e dell'inizio Ottocento sulla scorta della lezione
vanvitelliana, recuperata da architetti napoletani come Gaetano Genovese o meno
noti come Enrico Alvino e Antonio Piccolini (17).
Il
basamento in bugnato liscio è caratterizzato da classiche finestre quadrate con
larghe cornici fortemente aggettanti dal filo della facciata, e dal bel portale
centrale in pietra ad arco tondo con piastrini e capitelli, incorniciato da
paraste e contenente nelle lunette due stemmi araldici, in corrispondenza dell'ingresso
principale. Sono inoltre presenti due portoni, disposti simmetricamente rispetto
all'ingresso, incorniciati da un portale con arco di stile durazzesco con
cordonatura di commento alla cornice liscia che inquadra il vano e paraste
lisce.
I due
livelli superiori costituiti dall'alto piano nobile e dal piano dei servizi
sono ricompresi in un unico corpo con paramento in intonaco liscio e sono
caratterizzati dal ritmo costante e simmetrico delle aperture, affidando alla
differente dimensione ed importanza dell'apparato decorativo la gerarchia
funzionale dei livelli. L'orizzontalità del prospetto viene bilanciata con l'introduzione
di un ordine gigante trilitico impostato sul basamento, che ricomprende entrambi
i livelli dei piani superiori ed è composto da lesene sormontate da capitelli
di ordine composito, con cappello ionico dal profilo incurvato su foglie
di acanto arricciate e base arricchita di dentelli, sormontate dalla trabeazione
costituita da una fascia con modanature a modo di architrave su cui, distanziato
da una fascia di intonaco ad accentuare lo slancio verticale della facciata,
imposta il cornicione dal marcato aggetto sostenuto visivamente da mensole
inserite nel fregio.
Le
lesene scandiscono e ritmano la facciata, contraendo il passo ai due lati del
portale centrale, riportando in facciata la dimensione della corte interna.
Corte interna (particolare della
copertura vetrata) |
|
Le
cornici delle finestre del piano nobile ripropongono l'ordine trilitico con
paraste laterali, che proseguono fino a poggiare sulla cornice del basamento
accentuando l'altezza delle finestre stesse, sormontate da capitelli di ordine
composito sui quali imposta l'architrave, e, ulteriormente separato da una
fascia di intonaco, il timpano triangolare posto su paraste con semplici
capitelli a base dentellata, secondo un disegno che dall'architettura del
tardo cinquecento ritroviamo anche nello scalone della Reggia di Caserta del
Vanvitelli.
Il
timpano molto lavorato, con cornici e listelli, presenta anch'esso il motivo
delle dentellature in base della cornice, tipico dell'ordine ionico.
Le
finestre del secondo piano pur se di più semplice fattura mantengono luci
uguali a quelle del piano nobile e cornici comunque dal disegno caratterizzato
con cornice piatta esterna e cornice interna aggettante che riprende il disegno
delle finestre del basamento.
Il
riferimento agli ordini appare utilizzato in termini puramente semantici
di riproposizione di un codice linguistico.
Pur
nella non particolare originalità degli elementi architettonici e decorativi
della facciata, si evidenzia, comunque, nel disegno della stessa una volontà di
superare la carenza di una matrice spaziale tipica del neoclassicismo,
attraverso il risalto chiaroscurale determinato dai forti aggetti dei timpani e
del cornicione, dal ritmo serrato delle mensole dello stesso, dalle modanature
delle cornici orizzontali in stucco, dagli aggetti delle cornici anche del
basamento e dell'ultimo ordine.
Anche
se lontana dalla capacità di un Vanvitelli di esprimere, all'interno di una
dizione classica, una spazialità che mantiene un impulso barocco (18), la
facciata del Palazzo Dèlfico rappresenta la più compiuta realizzazione dello
stile neoclassico a Teramo.
L'episodio
architettonicamente più rilevante appare comunque il grande scalone nobile o
monumentale, caratterizzato da un respiro spaziale ed una densità di apparati
architettonici e decorativi assenti negli altri ambienti dello stesso piano
nobile.
L'ampia
rampa presenta una bassa pendenza che deriva dall'uso di salire con le
cavalcature sino al piano nobile, che nel caso specifico del Palazzo Dèlfico
era raggiungibile direttamente anche con le carrozze grazie al cavalcavia che
collegava il giardino pensile con l'edificio.
La
balaustra della scala è composta da 62 pilastrini in pietra arenaria il cui
disegno rinvia ad esempi del neoclassicismo di scuola partenopea.
A
differenza del Palazzo del Governo, qui lo scalone affaccia sul cortile mediante
grandi finestrature che occupano quasi per intero la parete prospettante sullo
stesso. Le pareti sono scandite da grandi lesene con capitello composito dove al
cappello delle volute ioniche non si contrappongono foglie di acanto ma
un festone di lauro, sormontate da una trabeazione con alto fregio in cui
festoni floreali e ghirlande in stucco si staccano su un fondo azzurro cenere,
chiusa da una cornice con dentellature ioniche.
|
Corte interna trasformata in "Sala
di lettura" |
|
I
partiti murari così definiti sono incorniciati da archi al cui centro sono
collocate, entro nicchie ricavate nelle murature perimetrali, dieci statue di
soggetto mitologico.
I due
ripiani dello scalone si inseriscono nella tessitura delle murature portanti
grazie a due grandi architravi decorati che sostengono il varco murario. In tal
modo la soprastante trabeazione già descritta definisce un vano pressochè
quadrato, corrispondente allo sviluppo dei soli gradini della rampa, che
permetteva di impostare la grande cupola di copertura, oggi andata perduta,
dotata di sei lunette finestrate, di cui due prendevano luce dal cortile.
La
volta era caratterizzata da larghe fasce di stucco che definivano dei cassettoni
con il fondo decorato da grandi fiori e da festoni verticali realizzati a stucco
e dotati di ampio risalto. Al centro della volta si elevava una lanterna
circolare coperta a cupola decorata con gli stessi motivi, mentre un festone in
foglie di lauro ne sottolinea l'attacco con la stessa volta.
L'intero
impianto dello scalone trova il suo riferimento, per la tessitura dei partiti
decorativi murari, per l'uso delle statue a soggetto mitologico, per il
disegno del fregio e della balaustra, per l'affaccio sul cortile e il disegno
delle finestre, per la cupola di copertura e per le sue decorazioni, in progetti
degli stessi anni o di poco precedenti appartenenti anch'essi alla corrente
napoletana del neoclassicismo, dal progetto di Gaetano Genovese per la Scala
regia del Palazzo Reale a Napoli, allo scalone del Palazzo Reale di Portici del
Canevari e del Vanvitelli, e, specificatamente per la cupola ed i suoi motivi
decorativi, alla Reggia di Caserta del Vanvitelli stesso.
Il
palazzo e le sue pertinenze
Alle
trasformazioni descritte dell'edificio si lega strettamente negli anni anche
la modificazione non solo di consistenza e configurazione degli spazi aperti,
orti e giardini, che costituivano la proprietà dei Delfico in questo settore
urbano nonchè le pertinenze stesse del palazzo.
Se nel
primo impianto settecentesco, e fino ai primi dell'800, sembra prevalere un
rapporto più privato e domestico con il giardino prospiciente e con l'orto
soprastante ed un uso ancora colturale dello stesso, le trasformazioni
successive, in particolare a partire dalla realizzazione del secondo cavalcavia
che veniva a costituire un accesso carrabile diretto all'edificio e più
ancora con il nuovo progetto del Forti e la realizzazione del collegamento tra
la grande sala a sinistra dello scalone ed il giardino pensile al di là di via
del Burro mediante un ulteriore cavalcavia, sembrano sottendere una diversa
intenzionalità che, contestualmente all'edificio, tende ad attribuire anche
al giardino ed agli orti una diversa e più sostanziale dimensione urbana,
compenetrata del ruolo civile e politico della famiglia nell'ambito cittadino.
Il
"…magnifico giardino pensile…" ricordato da Raffaele De Cesare si
coniuga con le cronache delle attività e delle frequentazioni culturali e
politiche che nel palazzo avevano luogo sul finire della prima metà dell'800.
L'assetto
dell'area posta a monte di via del Burro, nel frattempo, si era modificata con
la creazione, su parte degli antichi orti di un vasto giardino e, come scrive il
Palma, di un orto botanico da parte di Orazio Delfico.
Con il
rifacimento del muro di contenimento del terreno verso via del Burro e la
realizzazione a metà dello stesso della fontana detta delle "Piccine"
nel 1882, si viene definitivamente consolidando quell'assetto descritto anche
da Marino Delfico, figlio di Trojano, nel 1932: "…del magnifico nostro
giardino pensile…con il viale centrato in perfetta rispondenza con tutte le
porte dei saloni e degli altri numerosi ambienti, per cui dalla strada, con l'equipaggio
o con qualsiasi altro mezzo…, si accedeva al piano nobile… (19)".
Gli
interventi di trasformazione del palazzo nel 1900
Con la
demolizione dei tre cavalcavia tra il 1911 ed il 1913 per l'allargamento della
vecchia via del Burro, nel frattempo intitolata a Giovanni Thaulero, e l'apertura
della nuova strada che doveva raggiungere la vecchia piazza della Misericordia
divenuta Piazza Vincenzo Comi, iniziano le ultime e definitive trasformazioni
della proprietà Delfico e del palazzo.
La
mancata ricostruzione di due dei tre cavalcavia demoliti, prevista da una
precedente proposta di accordo del 1911 mai ratificata dal Consiglio Comunale,
innescherà una vicenda giudiziaria ed amministrativa che vedrà soccombente nel
1932 il Conte Marino Delfico.
L'esito
di tale vicenda, l'obbligo imposto nell'accordo finale convenuto dai
Delfico con il Prefetto nel 1933 di procedere a completare le finiture esterne
della facciata dell'edificio prospettante sulla nuova via e rimasta
incompiuta, il trasferimento della gran parte degli interessi economici della
famiglia su Montesilvano ed in parte nel napoletano, determinano i due eredi
Marino e Luciano Delfico a cedere l'intera proprietà dell'edificio al
Comune di Teramo nel 1939.
Il
palazzo sarà riacquistato nel 1941 dall'Amministrazione Provinciale per
collocarvi la sede dell'Archivio di Stato.
A
seguito di questa acquisizione, tra il 1949 ed il 1956 l'edificio sarà
oggetto di un intervento di radicale trasformazione, che determinerà l'attuale
configurazione architettonica e distributiva, con la demolizione del corpo di
fabbrica settecentesco su via Comi, la parziale demolizione e riallineamento del
fronte su via Carducci, e la successiva ricostruzione degli stessi su tre piani,
uniformando l'architettura dei prospetti al modello neoclassico del fronte
ottocentesco su via Delfico.
Viene
inoltre realizzata una nuova scalinata posta sul lato opposto della corte
rispetto allo scalone nobile, che serve tutti e tre i livelli dell'edificio
ristrutturato e sostituisce la stretta scala di servizio che originariamente
metteva in comunicazione il piano nobile con il piano di servizio delle camere.
I
suddetti lavori comportarono, inoltre, la modifica di tutte le aperture del
piano terra, con la realizzazione di porte e vetrine fino a terra, eliminando le
finestre quadrate e due dei portoni originari sul fronte di via Delfico
disegnato dal Forti, e, soprattutto, la demolizione della volta che copriva lo
scalone nobile che presentava profondi dissesti e lesioni. Nonostante fossero
stati eseguiti, su indicazione della Soprintendenza ai beni architettonici per l'Abruzzo,
i rilievi per la sua ricostruzione questa non fu mai realizzata e fu sostituita
dall'attuale cassettonato in legno (20).
Il
restauro ed il riutilizzo del palazzo per la Biblioteca provinciale Melchiorre
Delfico
La
particolare storia edilizia della fabrica di Palazzo Dèlfico, la
stratificazione temporale degli interventi descritti che ne hanno determinato l'essenza
architettonica, pur se incompleta e discontinua, fanno sì che gli argomenti a
base della contrapposizione tra progetto di conservazione e progetto di
restauro, volgano qui a favore delle ragioni del secondo. Progetto
di restauro che si fonda sull'impegno alla conoscenza attiva di quell'esistente
di cui il mero consolidamento volto a garantire l'autenticità della materia,
più che mai in questo caso, non dà garanzia alcuna di conservazione del
significato dell'architettura, della struttura formale architettonica: "…E'
la nostra memoria che riproduce, ma tale riprodurre non è mai un imitare
statico, è un riprodurre immaginativo, trasformante… e quindi la stessa
conservazione va intesa come un processo di continua metaforizzazione… Non
possiamo dire alcunché senza trasformare il linguaggio ereditato, prima di
cadere in qualsiasi forma di feticismo dell'opera. Nulla possiamo dire senza
trasformare il detto… (21)".
|
Sale di lettura dei "Fondi moderni".
Scala di accesso al soppalco (particolare) |
|
Progetto
di restauro, quindi, che intervenendo sul monumento, non può sottrarsi al
problema della sua necessaria "risemantizzazione" per restituire un
oggetto architettonico finalmente tornato a comunicare (22).
L'ipotesi
alla base del progetto di restauro di Palazzo Dèlfico tende, quindi, a
recuperare funzionalmente l'edificio ad usi differenti interpretandone la vocazione
alla trasformazione senza incidere sulla sostanza strutturale e formale della
preesistenza e nel pieno rispetto degli elementi architettonici storici dell'edificio.
L'assunto
è stato quello di evitare forzature nell'inserimento dei nuovi elementi,
necessari alla rifunzionalizzazione dell'impianto tipologico e distributivo,
in molti casi effettuato a costo di trasformazioni pesanti e con il risultato di
stravolgere l'immagine del manufatto, ma al contrario di cercare sempre di non
impedire la lettura dell'organizzazione formale e tipologica dell'architettura.
Tipologicamente
l'impianto originario simmetrico ed assiale, imperniato sui percorsi
perimetrali al cortile, è stato sostanzialmente rispettato, pur riorganizzando
l'intero sistema di spazi intorno al vuoto del cortile / hall / sala di
lettura e di prima accoglienza ed ai nodi distributivi dello scalone monumentale
e della scala realizzata nel 1953, che accoglie anche i percorsi meccanizzati di
risalita sia per le persone sia per i libri.
Una
grande copertura vetrata trasforma lo spazio esterno del cortile in interno pur
mantenendo inalterata la lettura dei prospetti e quindi la percezione dell'edificio
storico. La curvatura della copertura e delle sottili membrature di sostegno in
acciaio rimandano, in forma allusiva ed immateriale, alla memoria della cupola
di copertura dello scalone demolita cinquant'anni fa.
Nell'ala
prospettante su via Delfico, che coincide con quanto permane della struttura
storica, l'intervento ha permesso, attraverso la l'eliminazione di tramezzi,
controsoffitti e finte volte frutto dei recenti interventi di suddivisione e di
modifica dei vani, il recupero della spazialità originaria degli ambienti e
dell'organizzazione distributiva dell'impianto ottocentesco, in particolare
per quanto riguarda il piano nobile, attraverso il restauro, il consolidamento
e, ove necessario, il ripristino degli elementi strutturali, architettonici e,
non ultimi, decorativi.
L'intervento
effettuato nell'ala affacciata su via Delfico e parzialmente su via Carducci,
frutto delle ricostruzioni degli anni 1949-1956, ha invece consentito l'inserimento
di elementi architettonici e strutturali moderni finalizzati a restituire a
questi ambienti una spazialità più articolata e di più ampio respiro e nel
contempo coerente con i valori architettonici e percettivi dell'impianto
storico.
_______________ |
(1)
Niccola Palma, Storia della città e diocesi di Teramo, Teramo,
1978-1981, vol. III p. 269.
(2)
Archivio di Stato di Teramo (d'ora in avanti A.S. TE), Intendenza
Borbonica, b. 1083, Università di Teramo. Ruolo provvisorio delle case,
stima del valore locativo e tassa delle medesime per la contribuzione
dell'anno 1807, in esecuzione
dell'art.
4 sez. 2, tit. 2 della legge 8 novembre 1806. Quartiere di S. Giorgio.
(3)
A.S. TE, Catasto Provvisorio o napoleonico. Stato di Sezione del
Comune di Teramo, sezione H, quarto di S. Giorgio, cc. 73-74.
(4)
A.S. TE, Archivio Delfico, b. 27, f. 591, Teramo, 2 novembre
1801. Concessione del Regio Portolano Giuseppantonio Vannemarini.
(5)
G. Pannella – L. Savorini, Opere complete di Melchiorre Delfico,
Teramo, 1904, vol. IV pp. 9-10.
(6)
A.S. TE, Archivio Delfico, b. 2, f. 13. 1824-1827. Registro
delle somme esitate da zio Melchiorre per occorrere alle spese della
fabbrica.
(7)
A.S. TE, Intendenza Borbonica, b. 1083. Università di Teramo,
op. cit.
(8)
A.S. TE, Archivio Delfico, b. 22, f. 320/c. Teramo, 20
settembre 1824.
(9)
A.S. TE, Archivio Delfico, b. 23, f. 358, 1824-1827 – b. 23,
f. 356.
(10)
A.S. TE, Archivio Delfico, b. 22, f. 321/a, Teramo, 12 maggio
1836.
(11)
A.S. TE, Archivio Delfico, b. 9, f. 92, 1939.
(12)
A.S. TE, Archivio Delfico, b. 25, f. 487. Nota dei lavori da
farsi per la sig.ra Contessa Delfico.
E'
singolare l'episodio dello scalpellino Emidio Giovannozzi, che venuto
da Ascoli Piceno per la realizzazione della scala del Palazzo Dèlfico
nel 1851, che comportò quasi trecento giorni di lavoro, rimarrà poi a
Teramo, ove il figlio fondò nel 1895 la più antica ditta di
lavorazione dei marmi tutt'ora in attività.
(13)
A.S. TE, Amministrazione Provinciale, Titolo III, classe II, b.
104 bis, f. 1, 1949-1950. Relazione sullo stato dell'edificio.
(14)
Cfr. Luigi Savorini, Introduzione storico-artistica agli studi del
piano regolatore della Città di Teramo, Teramo, Casa Editrice
Tipografica Teramana, 1934-XII, pp. 52-54.
(15)
Cfr. Christian Norberg-Schultz, Architettura barocca, Milano,
Electa, 1979.
(16)
La ricostruzione è basata sulla descrizione dei lavori effettuati da
Domenico Brizj (cfr. A.S. TE, Archivio Delfico, b. 22, f. 321/a,
op. cit.) e sui riscontri offerti dai saggi stratigrafici effettuati nel
corso dei lavori di restauro sulle colorazioni delle tinteggiature
parietali che hanno permesso di rintracciare anche piccoli inserti e
frammenti della decorazione dello zoccolo.
(17)
Come, ad esempio, Palazzo Calabritto, a pianta quadrata con cortile
centrale, modificato e ristrutturato nella seconda metà del Settecento
da Luigi Vanvitelli, o Palazzo Partanna costruito agli inizi del ‘700
e rifatto da Mario Gioffredo nel 1746. In seguito fu acquistato da
Ferdinando IV per farne dono alla sua seconda moglie Lucia Migliaccio
Duchessa di Floridia, vedova del Principe di Partanna, che vi abitò
dopo la morte del sovrano. Fu successivamente trasformato in linea
neoclassica da Antonio Niccolini. Dal 1850 il primo piano fu residenza
della famiglia inglese De La Feld, che vi costruì un palcoscenico
teatrale in uno dei saloni dove nel 1857, alla presenza di Melchiorre De
Filippis Delfico (figlio di Gregorio De Filippis Delfico) e del re di
Baviera, venne eseguito il Don Pasquale di Gaetano Donizetti.
(18)
Cfr. Il Seicento e il Settecento in Cesare Brandi Il disegno
dell'architettura italiana, Torino, Einaudi, 1985.
(19)
A.S TE, Prefettura Gabinetto, versamento 1970, b. 148, f. 9.
Roma, 14 dicembre 1932. Lettera del Conte Marino Delfico ad Alcide
Luciani, Capo della segreteria particolare del Ministro dell'Interno
Arpinati.
(20)
A.S. TE, Amministrazione Provinciale, Titolo III, classe II, b.
104 bis, f. 3.
(21)
Massimo Cacciari, Le metamorfosi dell'autenticità, in "ANAGKH",
1993, n. 2.
(22)
Cfr. Paolo Marconi, Il restauro architettonico in Italia, oggi,
in "Casabella", LX, n. 636, pp. 71-76.
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