De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

biblioteca - archivio virtuale

Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Il Palazzo Dèlfico

di Stefano Mariotti

In Aa. VV., I luoghi della storia a Teramo - Il Palazzo Dèlfico, S.Atto di Teramo, Edigrafital, 2004

Se la casa dei Delfico, edificata su Corso S. Giorgio nella prima metà del XVI secolo, rappresenta il primo esempio di abitazione civile di notevole importanza realizzato sulla nuova direttrice di sviluppo urbanistico nella terra nova, la successiva costruzione del "nuovo" Palazzo Dèlfico, iniziata nei primi anni della seconda metà del XVIII secolo, unitamente alle modificazioni delle sue estese pertinenze ad orti e giardini, costituisce un momento fondamentale nell'evoluzione urbanistica che trasformerà nel XIX secolo il settore occidentale del centro storico di Teramo. Una fabrica, quella del nuovo Palazzo Dèlfico, che si protrae, in maniera complessa ed a volte faticosa, per oltre un secolo, strettamente legata alle vicende familiari dei Delfico, attraverso fasi successive di definizione non solo dei caratteri tipologici e distributivi dell'edificio, ma anche delle stesse caratterizzazioni stilistiche ed architettoniche.

Il primo impianto settecentesco

Agli inizi del XVIII secolo le proprietà della famiglia Delfico nel quartiere di S. Giorgio, come risulta dall'elenco dei beni immobili appartenenti a Berardo Delfico contenuto nel catasto ordinato da Carlo III di Borbone in luogo dell'antico catasto secentesco (1), definiscono già chiaramente il nucleo originario intorno al quale si organizzerà il successivo assetto edilizio e delle relative pertinenze. Tali proprietà comprendevano, infatti, oltre l'avita casa "palaziata", oggi conosciuta come casa Ponno, anche un orto murato di circa mille metri quadri posto ad occidente della casa e prospiciente la stessa, coincidente con l'area su cui sorgerà il nuovo edificio e separato dalla strada detta di S. Carlo, ed un altro orto confinante con il precedente tenuto in enfiteusi del Convento di S. Domenico.

Negli anni tra il 1768 ed il 1784, Melchiorre Delfico, figlio di Berardo, filosofo e uomo politico, formatosi alla scuola di Genovesi, di Rossi, di Mazzocchi e di Filangieri, partecipe dei circoli culturali illuministi ed enciclopedisti partenopei, è spesso a Napoli dove risiede anche come assessore militare per la provincia di Teramo.

E' probabilmente in questi anni che prende forma l'idea del nuovo palazzo e che hanno concretamente inizio i lavori per la sua realizzazione.

Da un'analisi comparata dei documenti relativi al censimento per la contribuzione dell'anno 1807 per il Quartiere S. Giorgio (2), redatto in periodo francese, ed al Catasto napoleonico del 1809 relativo allo stesso Quarto di S. Giorgio (3), si desume con sufficiente chiarezza il mutato assetto edilizio ed urbanistico delle pertinenze dell'antica casa dei Delfico a seguito della realizzazione di quello che può considerarsi il nucleo originario del nuovo palazzo. Nell'area compresa tra via Delfico (strada di S. Carlo?), via del Burro (oggi via Carducci), via delle Orfane (oggi via Comi) e la proprietà Catenacci sono, infatti, rilevati tre edifici di proprietà di Giovan Berardino Delfico, figlio primogenito di Berardo: una "casa palaziata" a due piani con cortile, di cui parte ancora in costruzione ed una parte abitata della dimensione di nove vani al piano superiore ed altrettanti a quello inferiore, allineata lungo via delle Orfane fino all'angolo con via del Burro; un edificio di minori dimensioni situato all'angolo tra la via del Burro e via Delfico, abitato come il precedente dal proprietario e collegato allo stesso da un ponte in legno; un terzo edificio di piccole dimensioni posto lungo via Delfico tenuto in affitto.

Sono, inoltre presenti due "giardini", uno prospiciente l'edificio principale lungo via delle Orfane ed un secondo posto lateralmente allo stesso ed alla quota del primo piano, "…in piano ed in fila all'appartamento", collegati tra loro da un arco che sovrapassa la via del Burro costruito nel 1801 (4).

Palazzo Dèlfico (anni Quaranta), via del Burro (oggi via G. Carducci)

Palazzo Dèlfico (anni Quaranta), via del Burro (oggi via G. Carducci)

La ricostruzione appare suffragata dall'analisi dell'impianto edilizio complessivo così come si presenta al termine dalle trasformazioni ottocentesche, al momento della sua cessione al Comune perfezionata nel 1939, e desumibile dai rilievi planimetrici e dalle riprese fotografiche che documentano lo stato di fatto a tale epoca. Il complesso è articolato in due corpi edilizi perfettamente individuabili, architettonicamente, strutturalmente e distributivamente distinti: quello prospettante su via Delfico e parzialmente su via del Burro e quello posto lungo via delle Orfane.

L'unitarietà strutturale ed architettonica del fronte su via delle Orfane, la sua dimensione coincidente con le descrizioni catastali e la qualità degli elementi compositivi che connotano il disegno del fronte stesso, unitamente all'assenza di qualsiasi documento o notizia negli atti della famiglia Delfico in relazione a lavori eseguiti successivamente al 1807 su detto fronte, contrariamente a quanto invece viene rendicontato ed annotato per i lavori che hanno interessato i fronti su via Delfico e via del Burro, rendono ancor più attendibile l'ipotesi avanzata.

La lettera del 1790 che Melchiorre Delfico invia all'amico Berardo Quartapelle (5), nella quale si definiscono come conclusi i lavori relativi alla nuova casa, sembrerebbe, quindi, riferirsi a questo primo nucleo dell'impianto complessivo, costituito dal corpo edilizio su via delle Orfane con la retrostante corte ed in parte ancora in costruzione.

L'edificio si articolava su due piani ed occupava solo parte del sedime dell'attuale. Si relazionava, inoltre, direttamente con il prospiciente giardino e, attraverso questo, mediante un passaggio aereo, con gli orti ed i giardini, soprastanti via del Burro e posti ad una quota più elevata rispetto alla stessa, che completavano verso nord-ovest, fino alla via Nuova ed al Convento di S. Matteo, le proprietà dei Delfico e le pertinenze del loro palazzo.

L'impianto strutturale presenta una tessitura non perpendicolare al fronte di via delle Orfane e diversa da quella del successivo palazzo ottocentesco, tanto da far risultare la galleria di ingresso dal suddetto fronte eccentrica rispetto alla successiva configurazione della corte e non allineata con l'ingresso da via Delfico.

L'architettura si ispira al così detto stile "barocco" così come definito dal Savini, con un'accezione al termine piuttosto generica relativa ad architetture ove sono presenti elementi estranei alla più corrente tradizione classica ed ornamentazioni talvolta ridondanti, che caratterizzava alcuni edifici civili più rappresentativi realizzati tra il XVII secolo e lo scorcio finale del XVIII, come, ad esempio casa Bibbi poi Palma e casa de Cecco poi Cerulli-Lucidi.

Palazzo Dèlfico, fronte su via M. Dèlfico (anni Quaranta)

Palazzo Dèlfico, fronte su via M. Dèlfico (anni Quaranta)

Ingresso Palazzo Dèlfico 1943-1944 ca.

Ingresso Palazzo Dèlfico 1943-1944 ca.

(Proprietà della Biblioteca Provinciale "Melchiorre Dèlfico", Teramo)

Ingresso Palazzo Dèlfico 1942-1943 ca.

Ingresso Palazzo Dèlfico 1942-1943 ca.

(Proprietà della Biblioteca Provinciale "Melchiorre Dèlfico", Teramo)

Palazzo Dèlfico, restauro su via Comi

Palazzo Dèlfico, restauro su via Comi

(Proprietà della Biblioteca Provinciale "Melchiorre Dèlfico", Teramo)

Palazzo Dèlfico, angolo via Carducci - via Comi, 1955 ca.

Palazzo Dèlfico, angolo via Carducci - via Comi, 1955 ca.

(Proprietà della Biblioteca Provinciale "Melchiorre Dèlfico", Teramo)

Il fronte, dal disegno simmetrico e dal marcato sviluppo orizzontale, imperniato sull'asse centrale dell'ingresso, presenta un notevole equilibrio compositivo ed una certa eleganza, ed è connotato dalla chiara gerarchia tra i due piani, quello terreno basso, forato solo dalle semplici finestre dei fondi e dal portale d'accesso e l'alto piano nobile che trae maggiore importanza dalle alte finestre incorniciate di disegno tardo rinascimentale, elegantemente elaborate nelle finiture come le leggere mensole che sorreggono il davanzale caratterizzate da grandi foglie d'acanto arricciate. Il centro focale della composizione è rappresentato dal portale in pietra che incornicia l'ingresso con lisci piedritti a parasta, semplice capitello dorico ed arco a tutto sesto a doppia risega, sormontato dal balcone con grandi elaborate mensolature, che si integrano con la mostra superiore del portale e partecipano del disegno complessivo dello stesso, e ringhiera in ferro battuto dal disegno ondulato e "rigonfio" di gusto vagamente spagnolesco.

Tra il 1801 ed il 1812 l'impianto si completa con la realizzazione di un cavalcavia, di dimensioni tali da consentire il transito di mezzi e carrozze, che collega direttamente, sullo spigolo dell'edificio tra via delle Orfane e via del Burro, il piano nobile con gli orti ed il giardino soprastanti via del Burro, dando origine ad un nuovo sistema di relazioni tra il nuovo edificio e le sue pertinenze.

Lo sviluppo della fabrica subisce un brusco arresto ed un lungo periodo di stasi determinato dalle vicende storiche e politiche che coinvolgono la famiglia, non solo nella persona di Melchiorre, ma anche per il ruolo svolto da Orazio, figlio di Giovan Berardino.

Nel 1798, Melchiorre partecipa ai moti rivoluzionari repubblicani che portano alla fuga di Ferdinando IV da Napoli, e viene nominato Presidente del Supremo Consiglio della Repubblica Abruzzese. Successivamente, nel 1799, è membro della Commissione Esecutiva del secondo Governo Provvisorio della Repubblica Napoletana.

Palazzo Dèlfico, prospetto originario della facciata su via M. Dèlfico (ricostruzione)

Palazzo Dèlfico, prospetto originario della facciata su via M. Dèlfico (ricostruzione)

Nel maggio del 1799, alla caduta della Repubblica partenopea, Melchiorre ripara in esilio a San Marino insieme al nipote Orazio, dove resta fino al giugno del 1806. Al suo rientro dall'esilio, Giuseppe Bonaparte, divenuto nel 1806 Re del Regno delle Due Sicilie, lo nomina Consigliere di Stato e Presidente della Sezione degli Affari Interni.

Le spinte liberali che sfociano poi nei moti rivoluzionari del 1820 costringono Ferdinando IV, tornato a Napoli dopo la caduta di Napoleone, a concedere una costituzione per il Regno. Melchiorre è deputato del nuovo Parlamento di Napoli ed entra a far parte della Giunta governativa provvisoria insieme, fra gli altri, al generale Florestano Pepe, a David Winspeare, al Duca di Gallo, a Giacinto Martucci ed al colonnello Russo. L'esperienza della nuova costituzione liberale si conclude alla fine del 1821. Melchiorre Delfico rientra definitivamente a Teramo nel 1823.

 

Il completamento ottocentesco

E' a partire da tale data che Orazio Delfico, erede di Giovan Berardino morto nel 1814, e lo zio Melchiorre, che anticipa le "…somme per…occorrere alle spese della fabrica (6)", riprendono i lavori per il completamento del palazzo.

Viene commissionato un nuovo progetto per la facciata su via Delfico e su via del Burro all'ingegnere Carlo Forti, uno dei progettisti più accreditati e influenti dell'antico Regno di Napoli.

I lavori iniziano nel febbraio del 1824 con la sottoscrizione del contratto da parte dell'impresa di Domenico Marinari sulla base del "calcolo approssimativo della spesa che occorre per avviare la nuova fabbrica del sig. Marchese Delfico" redatto dallo stesso ingegnere Forti.

Palazzo Dèlfico: stato di fatto al 1940. Pianta del piano terra (ricostruzione)

Palazzo Dèlfico: stato di fatto al 1940. Pianta del piano terra (ricostruzione)

I lavori da eseguire ed i materiali da utilizzare sono chiaramente definiti da questo documento e dal dettaglio delle successive misure contabili eseguite sui lavori realizzati.

Teramano, allievo a Napoli del Fergola, il Forti era rientrato a Teramo nel 1805, ed aveva già al proprio attivo importanti collaborazioni al restauro del porto di Brindisi, alla costruzione del porto di Gaeta ed alla progettazione della Strada Egnazia nella Provincia di Capitanata.

Con decreto del 1809 fu nominato tra gli ingegneri in capo del Corpo di strade e ponti, con il compito di organizzare i lavori che dovevano essere eseguiti nelle province del regno costituite dai tre Abruzzi. Divenne Ispettore nel 1826 e Segretario della Direzione generale nel 1835.

La notizia dell'incarico al Forti appare importante per due ordini di motivi: è il primo nominativo che compare nei documenti della famiglia Delfico, dopo oltre quaranta anni dall'inizio dell'edificazione del nuovo palazzo, cui sia attribuita la progettazione dell'edificio o di una sua parte e non è casuale che l'incarico appaia limitato alla facciata su via Delfico; l'inizio e lo svolgimento dei nuovi lavori sull'edificio dei Delfico sono praticamente coevi ai lavori per la realizzazione del Palazzo del Governo (1827-1838) progettati e diretti dallo stesso Forti e ciò consente di approfondire meglio le ragioni e le origini delle scelte progettuali, i riferimenti tipologici e stilistici che le influenzano.

Palazzo Dèlfico: stato di fatto al 1940. Pianta del primo piano (ricostruzione)

Palazzo Dèlfico: stato di fatto al 1940. Pianta del primo piano (ricostruzione)

Il nuovo intervento sembra quindi finalizzato, anche alla luce del dettaglio delle opere previste nel progetto del Forti, a completare i fronti su via Delfico e su parte di via del Burro, articolati su tre piani, trasformando l'edificio in stile neoclassico, su modelli tipici dell'800 napoletano, anche attraverso la sostituzione, la sopraelevazione e / o rifusione delle preesistenti unità immobiliari in particolare all'angolo tra via Delfico e via del Burro, come evidenzia la parziale difformità della tessitura strutturale sul fronte di via del Burro in corrispondenza del vano dello scalone principale, apparentemente residuale di precedenti impianti. Anche la diversa tessitura strutturale e la differente tipologia costruttiva dei solai degli ultimi locali lungo via Delfico a confine con l'allora proprietà Catenacci, così come l'autonoma distribuzione verticale degli stessi affidata ad una scala separata con accesso diretto dalla strada, appare riconducibile al preesistente piccolo edificio "con entrata in uno sbalio, di 4 piccoli membri superiori a tetto e 3 inferiori (7)".

L'intervento, pur limitato ai suddetti fronti, tende inoltre a ridisegnare, attraverso l'organizzazione dei prospetti sulla corte interna, anche l'impianto tipologico e distributivo dell'intero complesso edilizio. I termini in cui si esplica l'intervento progettuale del Forti appare emblematico dell'intera vicenda della costruzione del palazzo, caratterizzata dall'assenza, nelle fonti documentarie ma forse anche nella realtà, di un progetto unitario complessivo o comunque di un modello esplicito di riferimento nel momento in cui si avvia la prima fabbrica, mentre determinante appare, invece, il ruolo svolto dai singoli componenti della famiglia stessa, Melchiorre in primo luogo ed in parte il nipote Orazio.

Melchiorre, nel corso dei suoi studi a Napoli e successivamente dal 1768 al 1784, compie diversi viaggi nell'Italia del nord, e tra le altre città a Ferrara e Pavia, ove, sotto la guida dell'amico Berardo Quartapelle, compie i suoi studi anche il nipote Orazio. Conosce in queste occasioni l'architettura manierista e barocca ma anche l'impianto di edifici caratterizzati dal rapporto tra il fronte stradale sviluppato in lunghezza ed il giardino definito dal limite di detta quinta, come ad esempio Palazzo Schifanoia.

Palazzo Dèlfico: stato di fatto al 1940. Pianta del secondo piano (ricostruzione)

Palazzo Dèlfico: stato di fatto al 1940. Pianta del secondo piano (ricostruzione)

Nei lunghi periodi di soggiorno a Napoli viene inoltre a contatto con le opere del Medrano, del Vaccaro e del Sanfelice e con la particolare declinazione dell'architettura neo-classica del Vanvitelli che influenzerà tanta parte dell'800 napoletano, ma che a Teramo trova compiuto riscontro solo nel Palazzo del Governo e nel nuovo prospetto di Palazzo Dèlfico.

Appare, pertanto, plausibile che alla sua figura siano da ricondurre l'idea ispiratrice sia del primo impianto settecentesco che del successivo completamento dell'edificio, come sicuramente a lui debba addebitarsi l'affidamento dell'incarico per quest'ultimo progetto a Carlo Forti, nei confronti del quale aveva già avuto modo di esprimere grande considerazione.

In una lettera del settembre 1824 a Michele Genovesi, Melchiorre Delfico lo informa sui progressi della costruzione, sperando "… che alla fine dell'anno essendo finita la facciata, potrà meritare un vostro sguardo (8)".

I lavori, diretti dallo stesso Forti, però si rivelano molto più lenti come risulta dalle contabilità dell'impresa, puntualmente annotate nelle registrazioni relative alle attività economiche ed alle spese della famiglia tenute da Orazio e successivamente da Gregorio De Filippis Delfico: nel 1827 sono completati i lavori strutturali e edili, il nuovo tetto e gli elementi architettonici della facciata – cornicioni, lesene, architravi e cornici delle finestre -, nonché il mattonato dei locali abitati e della cappella (9); nel 1836 vengono realizzate da Domenico Brizj le tinteggiature, gli ornati floreali delle volte ed i fregi che corrono perimetralmente sopra le zoccolature di tutti i vani di rappresentanza del piano nobile e di alcune stanze da letto (10); nel 1839 vengono completati i lavori per la realizzazione del portico sulla corte interna e dell'arcone che dallo stesso dà accesso al locale in cui è situata la "rampa" e dove verrà realizzato lo scalone monumentale (11).

È presumibilmente in questo periodo che viene realizzato il terzo collegamento con gli orti ed il giardino posti a monte di via del Burro, con un cavalcavia pedonale più piccolo dei precedenti situato all'altezza della grande sala al piano nobile posta a sinistra dello scalone.

Nel frattempo, nel 1821, Marina, unica figlia di Orazio Delfico, sposa il Conte Gregorio De Filippis. Nel 1835 muore Melchiorre e nel 1842 lo stesso Orazio.

La fabbrica, la cui realizzazione è proceduta nell'ultimo ventennio per interventi minuti ma continui, condotti negli ultimi anni dall'ingegnere Pietro Quintiliani subentrato al Forti, non è ancora compiuta e la sua storia torna ad incrociare le vicende politiche in cui sono coinvolti i Delfico: scomparso prematuramente Gregorio De Filippis Delfico nel 1847, i suoi figli Trojano e Filippo partecipano ai primi moti risorgimentali del 1848 e la conseguente reazione del 1849 li costringe ad un lungo esilio terminato solo nella primavera del 1860.

Scala nobile (particolare)

Scala nobile (particolare)

È la madre Marina a prendere in mano le sorti della famiglia e la gestione degli affari in questo lungo periodo, ed è lei a riprendere i lavori nel palazzo per realizzare l'ultimo ma importantissimo tassello, il completamento della scala nobile che viene terminata tra la fine del 1852 e l'inizio del 1853, con la pavimentazione della rampa e la realizzazione su disegno di Pietro Quintiliani della balaustra in pietra arenaria da parte dello scalpellino Emidio Giovannozzi (12).

L'edificio, risultante dai lavori finalmente conclusi nel 1853 e che rimarrà sostanzialmente invariato fino alla cessione dello stesso da parte dei Delfico all'Amministrazione Comunale nel 1939, si compone quindi di due parti nettamente giustapposte corrispondenti al corpo di fabbrica settecentesco prospettante sull'antica via delle Orfane (oggi Comi) e quello ottocentesco in parte incompiuto nel prospetto su via del Burro (oggi Carducci), ancora privo degli apparati architettonici e decorativi che caratterizzano la facciata su via Delfico.

Sullo stesso fronte di via del Burro, inoltre era stato creato un rinforzo della muratura perimetrale mediante la realizzazione di una cortina esterna a pietrame dello spessore di circa 60 centimetri fini all'altezza del solaio del secondo piano, evidentemente per contrastare le sollecitazioni derivanti dai maggiori carichi indotti su murature e volte del piano nobile dalla sopraelevazione dell'originario edificio d'angolo preesistente. La mancata ammorsatura di detta cortina con la sottostante muratura antica non impedirà, comunque il verificarsi di rilevanti fenomeni di schiacciamento di quest'ultima nei decenni a seguire (13).

 

Il Palazzo Dèlfico

L'impianto complessivo dell'edificio determinato dagli interventi ottocenteschi a seguito del progetto di Carlo Forti, pur se esito di questo lungo, discontinuo ed a volte travagliato processo di costruzione, è riferibile al modello del palazzo a blocco compatto con corte centrale, nelle forme in cui si è evoluto a partire dall'età barocca. Questa intenzionalità appare ancor più evidente se confrontata con l'impianto proposto nel progetto del Palazzo del Governo realizzato negli stessi anni sempre dal Forti.

Le analogie tra i due impianti distributivi sono strette: la galleria di ingresso da cui si accede al cortile attraverso la mediazione del porticato; lo sviluppo non perimetrale del porticato stesso ma limitato al fronte di accesso; lo scalone nobile posto lateralmente al cortile, spostato verso lo spigolo esterno dell'edificio a destra dell'ingresso, con accesso dal porticato; i due vani di servizio ai lati della galleria, con accessi dalla stessa disposti simmetricamente, il cui allineamento strutturale determina un risalto, in negativo in un caso in positivo nell'altro, nel disegno del bugnato del basamento che denuncia e proietta sul fronte la dimensione della corte interna.

Con tale impianto inoltre il Forti ribalta completamente il precedente assetto settecentesco da via delle Orfane a via Delfico, dal rapporto quasi privato con il giardino e le pertinenze, al rapporto più dichiaratamente urbano della nuova architettura con la strutturazione e riqualificazione dell'asse del Corso S. Giorgio che connota nella prima metà del 1800 la realizzazione dei nuovi edifici civili e pubblici più rappresentativi e degli interventi di risanamento edilizio intrapresi dal Comune e da singoli personaggi di rilievo nella vita politica ed amministrativa della città come lo stesso Melchiorre Delfico (14).

La corte in quanto spazio chiuso da limiti uniformi e continui costituisce il punto focale di un organismo centripeto, in parte mitigato dalla direzionalità assiale dell'ingresso. Nel Palazzo Dèlfico al piano nobile una lunga galleria con ampie finestrature affacciate sul cortile, che collega lo scalone nobile alla opposta scala di servizio che conduce al secondo piano, costituisce l'elemento di transizione funzionale e spaziale fra il cortile stesso e le stanze.

Come spesso accade nella tradizione in particolare del palazzo romano di derivazione manierista e barocca, manca una chiara sistematizzazione della pianta. Alla simmetria dell'impianto distributivo complessivo e delle architetture dei prospetti non corrisponde un'organica distribuzione degli spazi interni (15). Nel Palazzo Dèlfico gli spazi di rappresentanza – saloni, camera di compagnia, camera da manciare, biblioteca – sono raggruppati intorno allo scalone, verso l'angolo tra via Delfico e via del Burro. A destra dello scalone si accedeva alla galleria e da questa alla anticamera con la volta arricchita dal dipinto del Trionfo dell'Aurora, che distribuisce alla sua destra la biblioteca ed alla sua sinistra la sala di compagnia con la volta decorata ai quattro lati da un ornato a chiaroscuro raffigurante vasi di fiori e sulla quale sono disposti i quattro medaglioni ottagonali laterali ed il rosone centrale, con cornici dorate, contenenti il ciclo di pitture dedicato a figure mitologiche ed allegoriche. Le pareti della sala erano intonacate e tinteggiate di colore turchino con motivi damascati.

Dalla sala si accedeva alla camera da manciare, con la volta decorata da un ornato centrale e tinteggiata in colore "paonazzetto", ed alla grande Sala tinteggiata in rosa, posta a destra dello scalone e con accesso diretto dallo stesso, affacciata sul giardino pensile e ad esso collegata da uno dei cavalcavia che oltrepassavano via del Burro.

Tutti questi vani erano decorati da un cornicione dipinto che staccava la volta dalle pareti tinteggiate e da un alto zoccolo, quasi una balaustra, dal ricco motivo intrecciato, sormontato da un fregio colorito (16).

La nuova facciata disegnata da Carlo Forti, dalle linee architettoniche neoclassiche, riprende, nella chiara articolazione e gerarchia dei livelli verticali, modelli ampiamente collaudati nell'architettura civile partenopea del secondo Settecento e dell'inizio Ottocento sulla scorta della lezione vanvitelliana, recuperata da architetti napoletani come Gaetano Genovese o meno noti come Enrico Alvino e Antonio Piccolini (17).

Il basamento in bugnato liscio è caratterizzato da classiche finestre quadrate con larghe cornici fortemente aggettanti dal filo della facciata, e dal bel portale centrale in pietra ad arco tondo con piastrini e capitelli, incorniciato da paraste e contenente nelle lunette due stemmi araldici, in corrispondenza dell'ingresso principale. Sono inoltre presenti due portoni, disposti simmetricamente rispetto all'ingresso, incorniciati da un portale con arco di stile durazzesco con cordonatura di commento alla cornice liscia che inquadra il vano e paraste lisce.

I due livelli superiori costituiti dall'alto piano nobile e dal piano dei servizi sono ricompresi in un unico corpo con paramento in intonaco liscio e sono caratterizzati dal ritmo costante e simmetrico delle aperture, affidando alla differente dimensione ed importanza dell'apparato decorativo la gerarchia funzionale dei livelli. L'orizzontalità del prospetto viene bilanciata con l'introduzione di un ordine gigante trilitico impostato sul basamento, che ricomprende entrambi i livelli dei piani superiori ed è composto da lesene sormontate da capitelli di ordine composito, con cappello ionico dal profilo incurvato su foglie di acanto arricciate e base arricchita di dentelli, sormontate dalla trabeazione costituita da una fascia con modanature a modo di architrave su cui, distanziato da una fascia di intonaco ad accentuare lo slancio verticale della facciata, imposta il cornicione dal marcato aggetto sostenuto visivamente da mensole inserite nel fregio.

Le lesene scandiscono e ritmano la facciata, contraendo il passo ai due lati del portale centrale, riportando in facciata la dimensione della corte interna.

Corte interna (particolare della copertura vetrata)

Corte interna (particolare della copertura vetrata)

Le cornici delle finestre del piano nobile ripropongono l'ordine trilitico con paraste laterali, che proseguono fino a poggiare sulla cornice del basamento accentuando l'altezza delle finestre stesse, sormontate da capitelli di ordine composito sui quali imposta l'architrave, e, ulteriormente separato da una fascia di intonaco, il timpano triangolare posto su paraste con semplici capitelli a base dentellata, secondo un disegno che dall'architettura del tardo cinquecento ritroviamo anche nello scalone della Reggia di Caserta del Vanvitelli.

Il timpano molto lavorato, con cornici e listelli, presenta anch'esso il motivo delle dentellature in base della cornice, tipico dell'ordine ionico.

Le finestre del secondo piano pur se di più semplice fattura mantengono luci uguali a quelle del piano nobile e cornici comunque dal disegno caratterizzato con cornice piatta esterna e cornice interna aggettante che riprende il disegno delle finestre del basamento.

Il riferimento agli ordini appare utilizzato in termini puramente semantici di riproposizione di un codice linguistico.

Pur nella non particolare originalità degli elementi architettonici e decorativi della facciata, si evidenzia, comunque, nel disegno della stessa una volontà di superare la carenza di una matrice spaziale tipica del neoclassicismo, attraverso il risalto chiaroscurale determinato dai forti aggetti dei timpani e del cornicione, dal ritmo serrato delle mensole dello stesso, dalle modanature delle cornici orizzontali in stucco, dagli aggetti delle cornici anche del basamento e dell'ultimo ordine.

Anche se lontana dalla capacità di un Vanvitelli di esprimere, all'interno di una dizione classica, una spazialità che mantiene un impulso barocco (18), la facciata del Palazzo Dèlfico rappresenta la più compiuta realizzazione dello stile neoclassico a Teramo.

L'episodio architettonicamente più rilevante appare comunque il grande scalone nobile o monumentale, caratterizzato da un respiro spaziale ed una densità di apparati architettonici e decorativi assenti negli altri ambienti dello stesso piano nobile.

L'ampia rampa presenta una bassa pendenza che deriva dall'uso di salire con le cavalcature sino al piano nobile, che nel caso specifico del Palazzo Dèlfico era raggiungibile direttamente anche con le carrozze grazie al cavalcavia che collegava il giardino pensile con l'edificio.

La balaustra della scala è composta da 62 pilastrini in pietra arenaria il cui disegno rinvia ad esempi del neoclassicismo di scuola partenopea.

A differenza del Palazzo del Governo, qui lo scalone affaccia sul cortile mediante grandi finestrature che occupano quasi per intero la parete prospettante sullo stesso. Le pareti sono scandite da grandi lesene con capitello composito dove al cappello delle volute ioniche non si contrappongono foglie di acanto ma un festone di lauro, sormontate da una trabeazione con alto fregio in cui festoni floreali e ghirlande in stucco si staccano su un fondo azzurro cenere, chiusa da una cornice con dentellature ioniche.

Corte interna trasformata in "Sala di lettura"

Corte interna trasformata in "Sala di lettura"

I partiti murari così definiti sono incorniciati da archi al cui centro sono collocate, entro nicchie ricavate nelle murature perimetrali, dieci statue di soggetto mitologico.

I due ripiani dello scalone si inseriscono nella tessitura delle murature portanti grazie a due grandi architravi decorati che sostengono il varco murario. In tal modo la soprastante trabeazione già descritta definisce un vano pressochè quadrato, corrispondente allo sviluppo dei soli gradini della rampa, che permetteva di impostare la grande cupola di copertura, oggi andata perduta, dotata di sei lunette finestrate, di cui due prendevano luce dal cortile.

La volta era caratterizzata da larghe fasce di stucco che definivano dei cassettoni con il fondo decorato da grandi fiori e da festoni verticali realizzati a stucco e dotati di ampio risalto. Al centro della volta si elevava una lanterna circolare coperta a cupola decorata con gli stessi motivi, mentre un festone in foglie di lauro ne sottolinea l'attacco con la stessa volta.

L'intero impianto dello scalone trova il suo riferimento, per la tessitura dei partiti decorativi murari, per l'uso delle statue a soggetto mitologico, per il disegno del fregio e della balaustra, per l'affaccio sul cortile e il disegno delle finestre, per la cupola di copertura e per le sue decorazioni, in progetti degli stessi anni o di poco precedenti appartenenti anch'essi alla corrente napoletana del neoclassicismo, dal progetto di Gaetano Genovese per la Scala regia del Palazzo Reale a Napoli, allo scalone del Palazzo Reale di Portici del Canevari e del Vanvitelli, e, specificatamente per la cupola ed i suoi motivi decorativi, alla Reggia di Caserta del Vanvitelli stesso.

 

Il palazzo e le sue pertinenze

Alle trasformazioni descritte dell'edificio si lega strettamente negli anni anche la modificazione non solo di consistenza e configurazione degli spazi aperti, orti e giardini, che costituivano la proprietà dei Delfico in questo settore urbano nonchè le pertinenze stesse del palazzo.

Se nel primo impianto settecentesco, e fino ai primi dell'800, sembra prevalere un rapporto più privato e domestico con il giardino prospiciente e con l'orto soprastante ed un uso ancora colturale dello stesso, le trasformazioni successive, in particolare a partire dalla realizzazione del secondo cavalcavia che veniva a costituire un accesso carrabile diretto all'edificio e più ancora con il nuovo progetto del Forti e la realizzazione del collegamento tra la grande sala a sinistra dello scalone ed il giardino pensile al di là di via del Burro mediante un ulteriore cavalcavia, sembrano sottendere una diversa intenzionalità che, contestualmente all'edificio, tende ad attribuire anche al giardino ed agli orti una diversa e più sostanziale dimensione urbana, compenetrata del ruolo civile e politico della famiglia nell'ambito cittadino.

Il "…magnifico giardino pensile…" ricordato da Raffaele De Cesare si coniuga con le cronache delle attività e delle frequentazioni culturali e politiche che nel palazzo avevano luogo sul finire della prima metà dell'800.

L'assetto dell'area posta a monte di via del Burro, nel frattempo, si era modificata con la creazione, su parte degli antichi orti di un vasto giardino e, come scrive il Palma, di un orto botanico da parte di Orazio Delfico.

Con il rifacimento del muro di contenimento del terreno verso via del Burro e la realizzazione a metà dello stesso della fontana detta delle "Piccine" nel 1882, si viene definitivamente consolidando quell'assetto descritto anche da Marino Delfico, figlio di Trojano, nel 1932: "…del magnifico nostro giardino pensile…con il viale centrato in perfetta rispondenza con tutte le porte dei saloni e degli altri numerosi ambienti, per cui dalla strada, con l'equipaggio o con qualsiasi altro mezzo…, si accedeva al piano nobile… (19)".

 

Gli interventi di trasformazione del palazzo nel 1900

Con la demolizione dei tre cavalcavia tra il 1911 ed il 1913 per l'allargamento della vecchia via del Burro, nel frattempo intitolata a Giovanni Thaulero, e l'apertura della nuova strada che doveva raggiungere la vecchia piazza della Misericordia divenuta Piazza Vincenzo Comi, iniziano le ultime e definitive trasformazioni della proprietà Delfico e del palazzo.

La mancata ricostruzione di due dei tre cavalcavia demoliti, prevista da una precedente proposta di accordo del 1911 mai ratificata dal Consiglio Comunale, innescherà una vicenda giudiziaria ed amministrativa che vedrà soccombente nel 1932 il Conte Marino Delfico.

L'esito di tale vicenda, l'obbligo imposto nell'accordo finale convenuto dai Delfico con il Prefetto nel 1933 di procedere a completare le finiture esterne della facciata dell'edificio prospettante sulla nuova via e rimasta incompiuta, il trasferimento della gran parte degli interessi economici della famiglia su Montesilvano ed in parte nel napoletano, determinano i due eredi Marino e Luciano Delfico a cedere l'intera proprietà dell'edificio al Comune di Teramo nel 1939.

Il palazzo sarà riacquistato nel 1941 dall'Amministrazione Provinciale per collocarvi la sede dell'Archivio di Stato.

A seguito di questa acquisizione, tra il 1949 ed il 1956 l'edificio sarà oggetto di un intervento di radicale trasformazione, che determinerà l'attuale configurazione architettonica e distributiva, con la demolizione del corpo di fabbrica settecentesco su via Comi, la parziale demolizione e riallineamento del fronte su via Carducci, e la successiva ricostruzione degli stessi su tre piani, uniformando l'architettura dei prospetti al modello neoclassico del fronte ottocentesco su via Delfico.

Viene inoltre realizzata una nuova scalinata posta sul lato opposto della corte rispetto allo scalone nobile, che serve tutti e tre i livelli dell'edificio ristrutturato e sostituisce la stretta scala di servizio che originariamente metteva in comunicazione il piano nobile con il piano di servizio delle camere.

I suddetti lavori comportarono, inoltre, la modifica di tutte le aperture del piano terra, con la realizzazione di porte e vetrine fino a terra, eliminando le finestre quadrate e due dei portoni originari sul fronte di via Delfico disegnato dal Forti, e, soprattutto, la demolizione della volta che copriva lo scalone nobile che presentava profondi dissesti e lesioni. Nonostante fossero stati eseguiti, su indicazione della Soprintendenza ai beni architettonici per l'Abruzzo, i rilievi per la sua ricostruzione questa non fu mai realizzata e fu sostituita dall'attuale cassettonato in legno (20).

 

Il restauro ed il riutilizzo del palazzo per la Biblioteca provinciale Melchiorre Delfico

La particolare storia edilizia della fabrica di Palazzo Dèlfico, la stratificazione temporale degli interventi descritti che ne hanno determinato l'essenza architettonica, pur se incompleta e discontinua, fanno sì che gli argomenti a base della contrapposizione tra progetto di conservazione e progetto di restauro, volgano qui a favore delle ragioni del secondo. Progetto di restauro che si fonda sull'impegno alla conoscenza attiva di quell'esistente di cui il mero consolidamento volto a garantire l'autenticità della materia, più che mai in questo caso, non dà garanzia alcuna di conservazione del significato dell'architettura, della struttura formale architettonica: "…E' la nostra memoria che riproduce, ma tale riprodurre non è mai un imitare statico, è un riprodurre immaginativo, trasformante… e quindi la stessa conservazione va intesa come un processo di continua metaforizzazione… Non possiamo dire alcunché senza trasformare il linguaggio ereditato, prima di cadere in qualsiasi forma di feticismo dell'opera. Nulla possiamo dire senza trasformare il detto… (21)".

Sale di lettura dei "Fondi moderni". Scala di accesso al soppalco (particolare)

Sale di lettura dei "Fondi moderni". Scala di accesso al soppalco (particolare)

Progetto di restauro, quindi, che intervenendo sul monumento, non può sottrarsi al problema della sua necessaria "risemantizzazione" per restituire un oggetto architettonico finalmente tornato a comunicare (22).

L'ipotesi alla base del progetto di restauro di Palazzo Dèlfico tende, quindi, a recuperare funzionalmente l'edificio ad usi differenti interpretandone la vocazione alla trasformazione senza incidere sulla sostanza strutturale e formale della preesistenza e nel pieno rispetto degli elementi architettonici storici dell'edificio.

L'assunto è stato quello di evitare forzature nell'inserimento dei nuovi elementi, necessari alla rifunzionalizzazione dell'impianto tipologico e distributivo, in molti casi effettuato a costo di trasformazioni pesanti e con il risultato di stravolgere l'immagine del manufatto, ma al contrario di cercare sempre di non impedire la lettura dell'organizzazione formale e tipologica dell'architettura.

Tipologicamente l'impianto originario simmetrico ed assiale, imperniato sui percorsi perimetrali al cortile, è stato sostanzialmente rispettato, pur riorganizzando l'intero sistema di spazi intorno al vuoto del cortile / hall / sala di lettura e di prima accoglienza ed ai nodi distributivi dello scalone monumentale e della scala realizzata nel 1953, che accoglie anche i percorsi meccanizzati di risalita sia per le persone sia per i libri.

Una grande copertura vetrata trasforma lo spazio esterno del cortile in interno pur mantenendo inalterata la lettura dei prospetti e quindi la percezione dell'edificio storico. La curvatura della copertura e delle sottili membrature di sostegno in acciaio rimandano, in forma allusiva ed immateriale, alla memoria della cupola di copertura dello scalone demolita cinquant'anni fa.

Sala Muzii (particolare)

Sala Muzii (particolare)

Nell'ala prospettante su via Delfico, che coincide con quanto permane della struttura storica, l'intervento ha permesso, attraverso la l'eliminazione di tramezzi, controsoffitti e finte volte frutto dei recenti interventi di suddivisione e di modifica dei vani, il recupero della spazialità originaria degli ambienti e dell'organizzazione distributiva dell'impianto ottocentesco, in particolare per quanto riguarda il piano nobile, attraverso il restauro, il consolidamento e, ove necessario, il ripristino degli elementi strutturali, architettonici e, non ultimi, decorativi.

L'intervento effettuato nell'ala affacciata su via Delfico e parzialmente su via Carducci, frutto delle ricostruzioni degli anni 1949-1956, ha invece consentito l'inserimento di elementi architettonici e strutturali moderni finalizzati a restituire a questi ambienti una spazialità più articolata e di più ampio respiro e nel contempo coerente con i valori architettonici e percettivi dell'impianto storico.

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(1) Niccola Palma, Storia della città e diocesi di Teramo, Teramo, 1978-1981, vol. III p. 269.

(2) Archivio di Stato di Teramo (d'ora in avanti A.S. TE), Intendenza Borbonica, b. 1083, Università di Teramo. Ruolo provvisorio delle case, stima del valore locativo e tassa delle medesime per la contribuzione dell'anno 1807, in esecuzione

dell'art. 4 sez. 2, tit. 2 della legge 8 novembre 1806. Quartiere di S. Giorgio.

(3) A.S. TE, Catasto Provvisorio o napoleonico. Stato di Sezione del Comune di Teramo, sezione H, quarto di S. Giorgio, cc. 73-74.

(4) A.S. TE, Archivio Delfico, b. 27, f. 591, Teramo, 2 novembre 1801. Concessione del Regio Portolano Giuseppantonio Vannemarini.

(5) G. Pannella – L. Savorini, Opere complete di Melchiorre Delfico, Teramo, 1904, vol. IV pp. 9-10.

(6) A.S. TE, Archivio Delfico, b. 2, f. 13. 1824-1827. Registro delle somme esitate da zio Melchiorre per occorrere alle spese della fabbrica.

(7) A.S. TE, Intendenza Borbonica, b. 1083. Università di Teramo, op. cit.

(8) A.S. TE, Archivio Delfico, b. 22, f. 320/c. Teramo, 20 settembre 1824.

(9) A.S. TE, Archivio Delfico, b. 23, f. 358, 1824-1827 – b. 23, f. 356.

(10) A.S. TE, Archivio Delfico, b. 22, f. 321/a, Teramo, 12 maggio 1836.

(11) A.S. TE, Archivio Delfico, b. 9, f. 92, 1939.

(12) A.S. TE, Archivio Delfico, b. 25, f. 487. Nota dei lavori da farsi per la sig.ra Contessa Delfico.

E' singolare l'episodio dello scalpellino Emidio Giovannozzi, che venuto da Ascoli Piceno per la realizzazione della scala del Palazzo Dèlfico nel 1851, che comportò quasi trecento giorni di lavoro, rimarrà poi a Teramo, ove il figlio fondò nel 1895 la più antica ditta di lavorazione dei marmi tutt'ora in attività. 

(13) A.S. TE, Amministrazione Provinciale, Titolo III, classe II, b. 104 bis, f. 1, 1949-1950. Relazione sullo stato dell'edificio. 

(14) Cfr. Luigi Savorini, Introduzione storico-artistica agli studi del piano regolatore della Città di Teramo, Teramo, Casa Editrice Tipografica Teramana, 1934-XII, pp. 52-54. 

(15) Cfr. Christian Norberg-Schultz, Architettura barocca, Milano, Electa, 1979. 

(16) La ricostruzione è basata sulla descrizione dei lavori effettuati da Domenico Brizj (cfr. A.S. TE, Archivio Delfico, b. 22, f. 321/a, op. cit.) e sui riscontri offerti dai saggi stratigrafici effettuati nel corso dei lavori di restauro sulle colorazioni delle  tinteggiature parietali che hanno permesso di rintracciare anche piccoli inserti e frammenti della decorazione dello zoccolo.  

(17) Come, ad esempio, Palazzo Calabritto, a pianta quadrata con cortile centrale, modificato e ristrutturato nella seconda metà del Settecento da Luigi Vanvitelli, o Palazzo Partanna costruito agli inizi del ‘700 e rifatto da Mario Gioffredo nel 1746. In seguito fu acquistato da Ferdinando IV per farne dono alla sua seconda moglie Lucia Migliaccio Duchessa di Floridia, vedova del Principe di Partanna, che vi abitò dopo la morte del sovrano. Fu successivamente trasformato in linea neoclassica da Antonio Niccolini. Dal 1850 il primo piano fu residenza della famiglia inglese De La Feld, che vi costruì un palcoscenico teatrale in uno dei saloni dove nel 1857, alla presenza di Melchiorre De Filippis Delfico (figlio di Gregorio De Filippis Delfico) e del re di Baviera, venne eseguito il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. 

(18) Cfr. Il Seicento e il Settecento in Cesare Brandi Il disegno dell'architettura italiana, Torino, Einaudi, 1985. 

(19) A.S TE, Prefettura Gabinetto, versamento 1970, b. 148, f. 9. Roma, 14 dicembre 1932. Lettera del Conte Marino Delfico ad Alcide Luciani, Capo della segreteria particolare del Ministro dell'Interno Arpinati. 

(20) A.S. TE, Amministrazione Provinciale, Titolo III, classe II, b. 104 bis, f. 3. 

(21) Massimo Cacciari, Le metamorfosi dell'autenticità, in "ANAGKH", 1993, n. 2. 

(22) Cfr. Paolo Marconi, Il restauro architettonico in Italia, oggi, in "Casabella", LX, n. 636, pp. 71-76.

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Si ringraziano sentitamente Enrico Cannella e Luciana D'Annunzio per la partecipata ed approfondita ricerca delle fonti d'archivio che hanno consentito di rintracciare documenti inediti, importantissimi per questa ricerca.