Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E'
questo il motto dell'Illuminismo che racchiude in sé l'importanza del sapere
enciclopedico, figlio naturale di Diderot e D'Alambert e del razionalismo
kantiano nonché strumento indispensabile ad un riordinamento della conoscenza
umana, in grado di restituire all'uomo una piena padronanza della realtà
naturale e sociale. Accanto, infatti, ai valori della libertà, uguaglianza,
fraternità, dei diritti umani e del laicismo, si colloca, solennemente, la
Scienza, che proprio in quest'epoca getta le fondamenta del sapere attuale.
Particolarmente la Medicina, forte d'intuizioni e scoperte rivoluzionarie, si
distacca energicamente dal passato e registra progressi stupefacenti,
principalmente in campo fisiologico: l'evidenza harveyana dell'esistenza della
circolazione sanguigna, già acclarata nel secolo precedente, offre spunti
imprescindibili agli studi sulle funzioni dei vasi sanguigni e del sistema
nervoso (Haller); la natura biochimica dei processi respiratori, con
Spallanzani, fautore del fondamentale superamento della teoria sulla
generazione spontanea, a favore della giusta interpretazione del meccanismo
della fecondazione; nasce, persino, il concetto di "medicina preventiva" con
Jenner che attua la prima vaccinazione antivaiolosa, destinata a diffondersi
in tutto il mondo e tuttora attuale. Si affaccia, inoltre, in questo contesto,
il concetto di omeopatia (similia similibus curantur) del medico tedesco
Hahnemann, la quale, pur con le sue numerose riserve dettate
dall'incompatibilità con le odierne conoscenze biochimiche e vacante di prove
sperimentali univoche che ne possano spiegare il funzionamento e la propugnata
efficacia terapeutica, fornisce un'alternativa ai precedenti rimedi curativi.
Diffusasi principalmente a Napoli, culla ed epicentro di tale "scuola",
cattura l'attenzione di numerosi studiosi e pensatori del tempo, che sulla
scia entusiastica di tali acquisizioni promuovono lo sviluppo della cultura
scientifica meridionale. Tra gli illustri numi che fomentarono l'effervescente
atmosfera, artefice della cosiddetta "rinascenza teramana", Melchiorre Delfico
offre il suo interessante contributo alla comprensione e allo studio
nosologico particolareggiato di disturbi e malattie, anche potenzialmente
fatali, proponendo, inoltre, rimedi atti alla restitutio ad integrum
del paziente, tramite il confronto con teorie mediche accreditate del tempo,
l'esperienza propria e del suo amico Francesco Romani, medico omeopata. Ne
deriva un lavoro minuzioso di descrizione dell'entità nosologica, della
presentazione clinica, delle varie "forme ch'essa può assumere" nei
singoli pazienti (a conforto del concetto, tutto attuale, dell'importanza del
malato sulla malattia), dei presidi terapeutici da attuare e persino di ciò
che è necessario evitare. Sorprendente, inoltre, la metodicità con cui si
susseguono definizione, sintomatologia, terapia e prognosi, ad impronta di
trattato di Medicina, per la chiarezza e maneggevolezza del lettore che voglia
trarne insegnamento ai fini pratici.
Ancora una volta il Delfico stupisce per la poliedricità della propria
cultura, per l'amore nei confronti del Sapere e per l'eccezionale attualità
del suo pensiero. Come non citare un passo dalla lettera all'Abate Fortis del
Gennaio 1797? "Quanto mi piacerebbe veder applicate le nuove scoverte e
Teorie Chimiche ad oggetti riguardanti la salute pubblica! (...) un Audiometro
che misuri la salubrità in grado positivo e negativo e che faccia conoscere
gli elementi estranei, non so se sia inventato ancora. Non dobbiamo
crederlo impossibile".
Cimentarsi, dunque, col Delfico, pur su argomenti verosimilmente non immediati
e dopo quasi due secoli dalla sua scomparsa, risulta ancora un'esperienza
affascinante e carica di spunti teorici intriganti.
"E' solo per la via della scienza che si giunge a qualche grado di
saviezza; è quello il solo mezzo che ci viene con la creazione e con le leggi
eterne della natura".
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Titolo Archivio di Stato di Teramo, Fondo Delfico, b. 20 f250
(Autorizzazione Prot. n. 1.9127/28.01.00 del 10.01.2008,
per concessione del Ministero Beni e Attività
Culturali) |
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Del Synoco Putrido (1)
"Sinoca, nomavansi pel passato in questa guisa le febbri continue senza
esarcebazioni, e davasi il titolo di sinaca alle febbri continue con
esarcebazioni, oggidì nomate remittenti. Era la sinoca divisa in non putrida o
sinoca e putrida o sinoco", così la definizione proposta nel Dizionario
Economico delle Scienze Mediche nel 1858 (2).
E' pertanto probabile che il Delfico intendesse trattare di una "febbre
infiammatoria continua" (dal greco: synochè, syn echein,
tenere/essere insieme, essere continuo), verosimilmente di natura settica: "febbri
che attaccano gravemente i fluidi ed i solidi, che portano grandissimo
disturbo nelle funzioni…imperciocchè, è improbabile che un animale possa
vivere quando gli umori sono in questo stato perché circolando…
distruggerebbero le parti ove passa, massime la più tenera e delicata come
il cervello.". Sorprendenti, sono due le intuizioni significative:
l'evidente conoscenza della circolazione sanguigna e l'importanza del sistema
nervoso, meglio, dell'encefalo, come primum movens fisiologico, tanto
"delicato" quanto fondamentale. Nell'ambito delle cause analizzate dal Delfico
come responsabili di tale stato, esordisce il concetto di obesità: "I
temperamenti sanguigni e pletorici, massime quando sono bene pasciuti,
sanguificano assai i visceri che si trovano sopraccarichi di sangue, e così
oppressi non possono esercitare la loro funzione, dunque la digestione si fa
imperfetta; indi dalla lunga dimora che fanno nel ventricolo (s'intende
stomaco) possono contrarre degenerazione putrida e nascere in
seguito febbre putrida extra vasa". Per quanto attualmente
si possa facilmente contestare tale eziopatogenesi, non v'è dubbio che il
concetto di "…viscidità degli umori che tendono all'infiammazione…"
negli obesi, è alla base delle conoscenze sui cambiamenti emoreologici che
avvengono in tali soggetti: aumento della viscosità del sangue,
dell'aggregazione piastrinica, del rischio trombotico. L'importanza che il
Delfico attribuisce alla salubrità dell'aria (di grande attualità) è ancora
una volta ribadita nell'ambito delle cause del Synoco Putrido: "…in quei
climi ove si respiri un'aria pura e libera, non s'incontrano le febbri putride
intra vasa (diffuse, sistemiche), ma per lo più febbri putride che
occupano soltanto le prime vie e di facilissima guarigione…" ; di tale
affermazione non propone, tuttavia, alcuna spiegazione; è verosimile che il
Delfico, naturopata ante litteram, proponesse una visione olistica
dell'essere umano in interazione con l'ambiente esterno. Egli ne traccia,
inoltre, i caratteri sintomatologici, specificando, con dovizia di particolari
e terminologia accurata, le varie presentazioni cliniche e i sintomi
prodromici: "…avanti di essere attaccati da questa pericolosa malattia,
gl'individui di temperamento sanguigno…soffrono di capo, vertigini, vita
pesante…formicamento all'estremità, gonfiezza alle mani per poco che le tengon
pendule, difficoltà di respiro, torpore alle estremità delle falangi ultime
delle mani, dolori vaghi per la vita, prostrazione di appetito, rossore di
occhi, ottusità di mente…". Il Delfico auspica che si possano
riconoscere per tempo tali segni, in maniera da attuare prontamente quei
rimedi in grado di arrestare la progressione della malattia e di sventarne le
inevitabili conseguenze: "…basta l'osservazione, che se all'apparire di
questi fenomeni s'intuiscano…;…con una o più cacciate di sangue, ed in seguito
si esibisce qualche blando purgante, cessa ogni male, tutte le funzioni
tornano ad esercitarsi con alacrità ed energia, la digestione ritorna a farsi
a dovere…". Se tutto ciò non accade e non viene attuata alcuna
precauzione, "la febbre infiammatoria" procede e si rendono evidenti sintomi
prognostici negativi: "…il dolore di capo è più grande, il calore esterno
del corpo è maggiore…lo che è un grande indizio di putredine, il polso è
grande e celere, frequente e ineguale, cioè non è della stessa forza, ed
inordinato, vale a dire non sempre le battute si succedono con uguale
rapidità..". La rilevazione della funzionalità cardiaca che il
Delfico descrive tramite la valutazione del polso è certamente attuale; ancora
oggi l'esame obiettivo condotto al letto del paziente prevede anzitutto la
palpazione dei polsi al fine di ottenere un riscontro immediato dello stato
cardiocircolatorio. Fa seguito alla suddetta descrizione, un ulteriore elenco
di segni e sintomi che non risparmiano alcun apparato, a dimostrazione della
complessità e gravità del quadro clinico.
La prognosi viene prospettata in base alla durata dei sintomi e alla gravità
degli stessi: "…questa febbre a volte termina nel quarto giorno, ma si
protrae anche fino al settimo…ed anche al ventesimo, per modo che può scorrere
tutti i termini delle febbri acute…;…il polso si conferma molto frequente ed
inordinato…ed intermittente e debole…e inquietudine, delirio, avversione ai
cibi ed alle bevande, prostrazione della fame…e urina torbida e oscura come il
vin rosso…" (ancora oggi le urine che presentano macroematuria
-sangue macroscopicamente evidente - sono dette "a lavatura di carne", "color
thè carico" e il più moderno "color Coca Cola").
Il primo presidio terapeutico suggerito dal Delfico ricalca "l'avvertimento
di Celso", suggerendo l'esecuzione di un salasso per favorire la
fuoriuscita della "materia morbifica". Tale rimedio, che riunisce in sé
l'approccio empirico con quello razionale legato alle conoscenze dell'epoca,
viene ricalcato sulla base degli insegnamenti dell'enciclopedista Aulo
Cornelio Celso (25 a.C-50 d.C.), considerato l'Ippocrate Romano col suo De
Medicina, destinato a diventare lo standard di approccio medico-chirurgico
fino al tardo Medio Evo. "…Dopo di ciò bisogna…temperare il calore con
clisteri refrigeranti ed umettanti… per facilitare con minor disturbo la
sortita degli escrementi…" e avverte ancora, contestando teorie che
prevedono presidi terapeutici differenti: "…Niuno dunque che sia alquanto
fondato nei principj della Medicina, vorrà usare cose che chiudono il nemico
in casa…"; arguta e quanto mai esaustiva questa frase a sottolineare lo
spirito brillante del Delfico!
La terapia suggerita, come detto in precedenza, non può prescindere dagli
insegnamenti dell'amico Romani e dalle nuove acquisizioni dell'epoca in campo
omeopatico; egli, pertanto, propone l'utilizzo di "antiaeri ed antisettici
tra i quali tiene il vanto la canfora e i fiori di camomilla". Secondo le
teorie omeopatiche, infatti, la Canfora (Cinnamomum Camphora,
albero dal cui fusto e dalle cui parti radicali si ottengono per distillazione
cristalli solubili in olio) presenta proprietà antimeteoriche e antisettiche,
mentre la Camomilla (Matricaria Recutita, pianta erbacea della
famiglia delle Asteraceae, dai cui fiori si ottengono infusi) è conosciuta
particolarmente per i suoi effetti blandamente sedativi: "…io ho trovato la
bevanda far sempre dei prodigj nelle febbri putride di migliaia di persone
attaccate da simile malattia; niuno per anche di simile male ha reso
l'inevitabile tributo alla natura…" e aggiunge: "la quale bevanda calma
assai la sete, è antisettica, refrigerante, corroborante, diuretica,
diaforetica, ed antielmintica. Se poi invece di acqua pura, si adopera
l'acqua impregnata di aria fissa la sua efficacia sarà anche maggiore,
conoscendosi ai nostri tempi quanto sia antisettica…". Questa affermazione
obbliga ad una precisazione: il Delfico si riferisce alle sperimentazioni di
Joseph Black (1728-99) il quale, per cottura
dei carbonati di magnesio e di calcio, riuscì a ottenere un gas, definito
aria fissa, che verrà successivamente chiamato anidride carbonica.
Egli, pertanto, non raccomanda alchimie particolari se non di assumere la
tisana preparandola con acqua gassata.
Una decisa contestazione riguardo l'utilizzo di clisteri a base di "..china
(3), oppio (4) e altri corroboranti…" viene posta
alle teorie Browniane. Il medico scozzese John Brown
(1735-1788), infatti, ipotizzava che la vita fosse il risultato di una
continua stimolazione, dovuta ad agenti differenti quali il calore, il cibo,
le emozioni, il movimento...; le malattie, pertanto, sarebbero dipese o da
carenza di stimoli (malattie asteniche, curate con forti dosi di farmaci
stimolanti) o da eccesso di stimoli (malattie steniche, curate con farmaci
controstimolanti):"…Io domando con quale indicazione cotesti medici mettono
in prattica simili rimedi?.....per giustificare l'uso di queste sostanze
bisognerebbe provare che non solo anno virtù antisettica per evitare
l'ulteriore corruzione degli umori, ma che anno forza di poter corregere ciò
che è degenerato; facoltà che fin ora non si è trovato in niun medicamento."
Si è soliti dire che il metodo curativo di Brown abbia ucciso più persone
della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche messe insieme e il
Delfico non pare sottrarsi a questa considerazione:"…quale danno arrecano
agli ammalati di febbre putrida i corroboranti e i cordiali basta osservare
l'effetto che questi producono in quegli ammalati a cui sono somministrati da
questi disgraziati medici; la strage che essi vedono giornalmente non li
arresta dal loro operare! L'esito felice che vedono in quei medici che
trattano queste malattie diversamente non gl'illumina!".
A conclusione della sua arringa, il Delfico lancia
un monito ai giovani medici affinché comprendano l'importanza dell'evidenza
clinica sulle teorie obsolete proposte da Brown:"…Giovani studiosi
osservate nella pratica quanto vi ho detto e vedrete che non ho bisogno di
additarvi ulteriori ragioni per persuadervi. Osservate il numero di quelli che
muoiono medicati dal sistema barbaro finora parlato in confronto di quelli che
sono medicati secondo i veri principj da me esposti! Con questa scorta non mai
fallace arriverete a riavere la verità dei principj e della teoria che vi
espongo". Tale esortazione rivolta ai giovani allo studio, alla
pratica attiva e alla valutazione dell'evidenza, conclude, insieme ad
un'appendice che rifinisce alcuni concetti esposti, la trattazione scientifica
del Delfico sulla "febbre infiammatoria continua".
Egli, ancora una volta, dimostra di essere un
minuzioso osservatore, un conoscitore attento della letteratura del tempo
(tanto da poter obiettare energicamente le speculazioni elaborate sino ad
allora), oltre che un inconsapevole precursore delle linee guida della moderna
Medicina: solo oggi si è potuta constatare l'assoluta importanza dello studio
statistico-epidemiologico e della "evidence based medicine" (medicina basata
sull'evidenza) come cardini imprescindibili nella scelta del corretto
trattamento clinico.
Così Francesco Romani a Melchiorre Delfico (Napoli,
28/11/1822):
"…Io mi prendo la libertà di scrivervi le cose,
in cui non concordo con voi e lo fo tanto più volentieri, quanto che la vostra
generosità me ne conforta, e a voi do agio di correggermi ove io vivessi in
errore, e l'errore vi esponessi. E di correggermi caldamente vi prego: che
niun maggior dono, niuna più cara consolazione mi potrà venire da voi, che
l'esser rimesso nella diritta via. Voi, vi scrissi altre fiate, non fate
professione di medico, ma avete assai profondamente studiato ne' buoni libri
di medicina. E con mia vergogna veggo, che citate alcuni sì grandi scrittori
di medicina, massime moderni, ch'io, che son medico, non ho finora avuto il
tempo di studiare. Forse questa sarà la cagion per cui intorno alcuni soggetti
discostomi dal pensar vostro: e per questa cagione altresì vi sarà facile
mostrarmi gli abbagliamenti miei."
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Primo foglio del manoscritto Archivio di Stato di Teramo, Fondo Delfico, b. 20, f. 250
(Autorizzazione Prot. n. 1.9127/28.01.00 del 10.01.2008,
per concessione del Ministero Beni e Attività
Culturali) |
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