De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

biblioteca - archivio virtuale

Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

family web site

Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

Homa page 

In ricordo di Rugiada Rossi

di Monica Beltrametti

Rugiada Rossi in Beltrametti

Rugiada Rossi in Beltrametti

Necrologio

Rugiada Marina Rossi in Beltrametti

* 1 maggio 1914 + 29 marzo 2009

Rugiada ci ha lasciato a qualche settimana dal suo 95esimo compleanno allo stesso modo in cui ha vissuto la sua vita: con serenità, dignità e circondata da coloro che hanno tenuto a lei e l’hanno amata.

Si considerava fortunata per essere nata il primo di maggio, giorno della festa nazionale dedicata al lavoro e ciò perchè fu una gran lavoratrice per tutta la sua vita amando e godendo, nel contempo, le festività.

Aveva ereditato questo dalla sua famiglia, in particolare dai Rossi. Come ultima vivente nipote di Aurora De Filippis Delfico di Longano, Rugiada ha tenuto viva la sua memoria, descrivendola come una donna forte, severa e felice che eccelse nel crescere ed educare i suoi 12 figli, a badare ai suoi beni e a contribuire da Teramo, in Abruzzo, all’unificazione dell’Italia dando il suo sostegno a Garibaldi.

Rugiada curò con passione questo equilibrio tra la famiglia, la sua priorità, la curiosità intellettuale e il lavoro per il bene della comunita’. Questi valori le diedero una forza interiore che contraddistinse quel sereno sguardo che non l’ha mai abbandonata, anche nei periodi difficili e che fu fedelmente catturato nel ritratto fatto da Rinaldo Gèleng. Fu severa anche con se stessa, e chiese rispetto per i suoi valori dalle persone che la circondavano. Se loro venivano meno, si faceva sentire ed in termini non ambigui.

Nacque a La Spezia e si trasferì a Venezia all’età di due anni, quando suo padre Arnaldo si recò in questa città come ufficiale della marina. Qui, divenne nota col nome di "Dada", da quando, ancora piccola, non era ancora in grado di pronunciare il suo nome per intero. Per prima visse lungo il Canal Grande poi, con la famiglia, traslocò in una casa al Ponte dei Greci, vicino all’Arsenale dove lavorava il padre Arnaldo.

Frequentò la scuola Giacinto Gallina, che ancora oggi esiste. Rugiada lodò spesso gli insegnanti di questa scuola che avevano coltivato in lei l’amore per l’ apprendere e per il sapere, in particolare Diego Valeri, che più in là sarebbe diventato un famoso poeta. Lui spesso le chiedeva di recitare delle composizioni poetiche perché amava ascoltare la sua "bella voce", ma Rugiada lo faceva con difficolta’ poiche’ il resto della classe incomiciava a fare delle battute scherzose e a lei veniva da ridere. Studiò letteratura e filosofia all’università di Padova. Il suo dottorato riguardò "Gerhart Hauptman e il Naturalismo". Diventò abile nel parlare il tedesco, il francese ed il latino, e trascorse qualche tempo ad Amburgo. Fu anche amante dello sport e da studentessa praticò la pallavolo.

La sua descrizione di Venezia durante la guerra fu interessante. Il cibo venne razionato, ma grazie alle proprietà che la sua famiglia possedeva a Conegliano, non ce ne fu carenza. Le sirene che annunciavano attacchi aerei le lasciarono una forte impressione. Si divertiva a raccontare che la famiglia in queste occasioni saltava in piedi dal tavolo della cena, riempiendo borsette con argenteria e altri valori e fuggendo in direzione delle Fondamente Nove, una zona aperta di Venezia. Negli anni seguenti, le sirene che annunciavano "l’acqua alta" le ricordavano quei tempi.

Si sposò con Beltrametti nell’ottobre del 1945 nella chiesa di San Zaccaria, poi si trasferì a Roma dove insegnò l’italiano, il latino, la storia e la geografia in diverse scuole, prima in Anagni, poi a Roma. Fu nota come la "professoressa" e suo marito, esperto professionista anche lui, fu nominato "marito della professoressa", che lo divertiva tremendamente. Spesso veniva ringraziata dai genitori dei suoi studenti per il modo eccellente con cui aveva formato e inquadrato i loro ragazzi. Negli ultimi anni alcuni di questi, ritrovarono il suo indirizzo tramite l’ internet e scrissero: "la ricordiamo brava, preparata ma anche severa. Sempre ben vestita, cultura al primo posto, pretendeva molto da noi".

L’ unica figlia di Rugiada, Monica, nacque al centro Roma. Più tardi, nel 1963, si trasferì nella zona di viale Cortina d’ Ampezzo. Quello fu il tempo di molti viaggi con i famigliari in Europa, specialmente a Berlino per la quale città i Beltrametti ebbero un amore speciale, ma anche in Messico e Cuba, seguendo gl’ interessi intellettuali della famiglia. Rugiada amò viaggiare e colse ogni opportunità per farlo.

La decisione di inviare Monica alla scuola tedesca di Roma dall’età di tre anni indirizzò il percorso della famiglia negli anni seguenti. Dopo che Monica si graduò nella stessa scuola nel 1970, i Beltrametti le permisero di frequentare una università lontana, a Goettingen e più tardi a Monaco. È con grande generosità che si privarono della presenza della loro figlia, infatti erano convinti che una educazione internazionale l’avrebbe condotta verso un futuro migliore.

C’era sempre la segreta speranza che Monica tornasse in Italia, ma la vita si svolse in maniera differente. Dopo la morte del marito, Rugiada andò a vivere con Monica e Martin, dedicando il resto della sua vita alla crescita e all’ educazione dei suoi nipoti,  prima a Monaco, in Germania, poi ad Edmonton, in Canada, e alla fine in Francia. Rugiada elogiò i tedeschi per la loro precisione e ordine, i canadesi per il loro amore per la natura e i francesi per i medici senza frontiere. Divenne una nonna molto popolare con i nipoti e i loro amici che amavano ascoltare gli aneddoti storici e culturali che raccontava. La vita si ripetette quando i nipoti lasciarono casa per raggiungere università lontane e stabilirsi negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Un’ italiana al 100 %

Rugiada amò tutto dell’Italia: il buon cibo, il design, il ‘look’, la cultura, la storia e le persone celebri del passato, l’ingenuità italiana e aveva un’ ammirazione perticolare per la cultura romana e greca; ma soprattutto il suo amore per Venezia fu contagioso. Tutta la famiglia ereditò questo amore e, anche dal Canada, le vacanze estive a Venezia non erano da mancare, trascorrendo le goirnate alla spiaggia del Des Bains  e apprezzando la cultura e i ristoranti la sera. Una delle attivita’ da lei preferite era di fare il tifo per l’Italia per ogni tipo di sport. Quando la Ferrari vinceva la competizione di Formula 1, lei sembrava molto più giovane. Un berretto della Ferrari, un regalo per i suoi 90 anni, ancora pende nella sua stanza.

Attribuiva a Lecce, che chiamò "la Firenze delle Puglie" e dove sua mamma, Zaira Verardi, era nata e cresciuta, la purezza nella sua pronuncia dell’italiano. Usava elogiare Lecce per essere pulita e sontuosa e per appartenere al "grande sud".

Per le cose brutte dell’ Italia incolpava la classe politica e non c’era verso di discuterne.

Apprezzò alcuni dei papi. Lei era religiosa a modo suo, ma non fu molto ossequiosa per la chiesa come istituzione. Tuttavia da giovane usava andare in chiesa: per esempio, andando da casa sua alla stazione di Venezia dove prendeva il treno per andare all’università a Padova, era solita prendere una scorciatoia passando per una porta della chiesa di San Giovanni Crisostomo e uscendo dall’ altra, specialmente prima degli esami.

Non poteva tollerare le persone che si arrendevano davanti a difficoltà. Lei era solita incoraggiare i membri della famiglia nei momenti difficili dicendo "ma devi essere più garibaldino/a" simbolo di azioni audaci e coraggiose per una giusta causa, oppure dicendo "sursum corda" (alza il tuo spirito).

Rugiada amava mangiare bene e aveva la reputazione di essere "una buona forchetta". Amò il cibo con "gusto" ma con moderazione. Non apprezzava i fast food. Quando persone estranee alla sua famiglia non condividevano il suo punto di vista lei esclamava scherzosamente "ma sono tutti matti". La prima volta che usò questa frase in Canada fu quando gli insegnanti dei suoi nipoti espressero la profonda preoccupazione perché non riconoscevano il marchio McDonald durante le prove dei test attitudinali. Le buone maniere a tavola erano un dovere e gli ospiti non venivamo mai risparmiati.

Il suo gusto musicale non fu mai compreso a pieno. Amava la musica da lei definita come melodica, ma non fu chiaro cosa intendesse. Vivaldi fu accettato, Beethoven non sempre, amò tutto dei Beatles, la canzone favorita fu Michelle, ma belle per essere in particolar modo melodica. Amò le arie delle opere che sua sorella era solita cantare nella casa al Ponte dei Greci e poteva recitarle a memoria, ma non riusciva ad ascoltare un’opera intera - diceva che fosse una cosa troppo seria e noiosa.

Vide sempre la parte divertente e spiritosa della vita. Aveva le battute svelte e un vivo senso dell’umore, di natura molto italiana. Non apprezzava molto gli altri stili di umorismo. La sua ultima "battuta" fu con il dottore con il quale scherzo’ sulla la maschera per l’ossigeno: "la mia maschera d’arlecchino".

La casa fu molto importante per lei. Rappresentava dove viveva, la sua famiglia, la sua proprietà.

Fu molto generosa tutta la vita, preferendo spendere soldi per gli altri anziché per lei stessa. E’ stata molto fortunata nel potere morire a casa, circondata dai suoi familiari, e con l’assistenza dell’equipe di medici che esercitarono il loro mestiere non come professione, ma come vocazione, in particolar modo nei suoi riguardi.

Doveva essere occupata sempre. La frase "altrimenti mi annoio" aumentò in frequenza durante gli ultimi anni. Leggeva due quotidiani al giorno da capo a fondo e per questa ragione divenne molto spigliata nell’inglese in Canada. Raccontava alla famiglia tutto quello che leggeva, anche i "fattacci", poiché voleva essere sicura che prendessero le appropriate precauzioni.  Deve essere stata una delle più vecchie lettrici della "Settimana Enigmistica", che arrivava puntualmente ogni settimana in ogni parte vivesse. Completava tutte le parole crociate e gli altri giochi per tenere il cervello in allenamento, oppure, come lei la definiva, fare della "ginnastica mentale". Era anche brava con le mani. A Roma era solita dipingere, in Canada apprese il mestiere dell’argentiere e in Francia lavorò a maglia e poi riempì la casa con i suoi lavori all’uncinetto.

Non amava il positivismo estremo. Le persone che lo praticavano venivano definite "faciloni". Amava la dialettica, analizzando il lato positivo e negativo delle cose, perche’ pensava che fosse necessario per acquistare una equilibrata vista del mondo. Una peculiarità del suo pensiero dialettico fu che era solita cominciare molte frasi con "ma".

Riflettendo sul mondo moderno, aveva la convinzione che il più grande nemico del nostro tempo consisteva nel fatto che le persone stessero diventando sempre più presuntuose a danno dell’umiltà e della saggezza che si acquistano attraverso una profonda conoscenza delle cose.

Rugiada Rossi in Beltrametti (ritratto di Rinaldo Gèleng)

Rugiada Rossi in Beltrametti (ritratto di Rinaldo Gèleng)