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Rugiada Rossi in Beltrametti |
Necrologio
Rugiada Marina Rossi in Beltrametti
* 1 maggio 1914 + 29 marzo 2009
Rugiada ci ha lasciato a qualche
settimana dal suo 95esimo compleanno allo stesso modo in cui ha vissuto la sua
vita: con serenità, dignità e circondata da coloro che hanno tenuto a lei e
l’hanno amata.
Si considerava fortunata per
essere nata il primo di maggio, giorno della festa nazionale dedicata al lavoro
e ciò perchè fu una gran lavoratrice per tutta la sua vita amando e godendo, nel
contempo, le festività.
Aveva ereditato questo dalla sua
famiglia, in particolare dai Rossi. Come ultima vivente nipote di Aurora De
Filippis Delfico di Longano, Rugiada ha tenuto viva la sua memoria,
descrivendola come una donna forte, severa e felice che eccelse nel crescere ed
educare i suoi 12 figli, a badare ai suoi beni e a contribuire da Teramo, in
Abruzzo, all’unificazione dell’Italia dando il suo sostegno a Garibaldi.
Rugiada curò con passione questo
equilibrio tra la famiglia, la sua priorità, la curiosità intellettuale e il
lavoro per il bene della comunita’. Questi valori le diedero una forza interiore
che contraddistinse quel sereno sguardo che non l’ha mai abbandonata, anche nei
periodi difficili e che fu fedelmente catturato nel ritratto fatto da Rinaldo
Gèleng. Fu severa anche con se stessa, e chiese rispetto per i suoi valori dalle
persone che la circondavano. Se loro venivano meno, si faceva sentire ed in
termini non ambigui.
Nacque a La Spezia e si trasferì
a Venezia all’età di due anni, quando suo padre Arnaldo si recò in questa città
come ufficiale della marina. Qui, divenne nota col nome di "Dada", da quando,
ancora piccola, non era ancora in grado di pronunciare il suo nome per intero.
Per prima visse lungo il Canal Grande poi, con la famiglia, traslocò in una casa
al Ponte dei Greci, vicino all’Arsenale dove lavorava il padre Arnaldo.
Frequentò la scuola Giacinto
Gallina, che ancora oggi esiste. Rugiada lodò spesso gli insegnanti di questa
scuola che avevano coltivato in lei l’amore per l’ apprendere e per il sapere,
in particolare Diego Valeri, che più in là sarebbe diventato un famoso poeta.
Lui spesso le chiedeva di recitare delle composizioni poetiche perché amava
ascoltare la sua "bella voce", ma Rugiada lo faceva con difficolta’ poiche’ il
resto della classe incomiciava a fare delle battute scherzose e a lei veniva da
ridere. Studiò letteratura e filosofia all’università di Padova. Il suo
dottorato riguardò "Gerhart Hauptman e il Naturalismo". Diventò abile nel
parlare il tedesco, il francese ed il latino, e trascorse qualche tempo ad
Amburgo. Fu anche amante dello sport e da studentessa praticò la pallavolo.
La sua descrizione di Venezia
durante la guerra fu interessante. Il cibo venne razionato, ma grazie alle
proprietà che la sua famiglia possedeva a Conegliano, non ce ne fu carenza. Le
sirene che annunciavano attacchi aerei le lasciarono una forte impressione. Si
divertiva a raccontare che la famiglia in queste occasioni saltava in piedi dal
tavolo della cena, riempiendo borsette con argenteria e altri valori e fuggendo
in direzione delle Fondamente Nove, una zona aperta di Venezia. Negli anni
seguenti, le sirene che annunciavano "l’acqua alta" le ricordavano quei tempi.
Si sposò con Beltrametti
nell’ottobre del 1945 nella chiesa di San Zaccaria, poi si trasferì a Roma dove
insegnò l’italiano, il latino, la storia e la geografia in diverse scuole, prima
in Anagni, poi a Roma. Fu nota come la "professoressa" e suo marito, esperto
professionista anche lui, fu nominato "marito della professoressa", che lo
divertiva tremendamente. Spesso veniva ringraziata dai genitori dei suoi
studenti per il modo eccellente con cui aveva formato e inquadrato
i loro ragazzi. Negli ultimi anni alcuni di questi, ritrovarono il suo
indirizzo tramite l’ internet e scrissero: "la ricordiamo brava, preparata ma
anche severa. Sempre ben vestita, cultura al primo posto, pretendeva molto da
noi".
L’ unica figlia di Rugiada,
Monica, nacque al centro Roma. Più tardi, nel 1963, si trasferì nella zona di
viale Cortina d’ Ampezzo. Quello fu il tempo di molti viaggi con i famigliari in
Europa, specialmente a Berlino per la quale città i Beltrametti ebbero un amore
speciale, ma anche in Messico e Cuba, seguendo gl’ interessi intellettuali della
famiglia. Rugiada amò viaggiare e colse ogni opportunità per farlo.
La decisione di inviare Monica
alla scuola tedesca di Roma dall’età di tre anni
indirizzò il percorso della famiglia negli anni seguenti. Dopo che Monica si
graduò nella stessa scuola nel 1970, i Beltrametti le permisero di frequentare
una università lontana, a Goettingen e più tardi a Monaco. È con grande
generosità che si privarono della presenza della loro figlia, infatti erano
convinti che una educazione internazionale l’avrebbe condotta verso un futuro
migliore.
C’era sempre la segreta speranza
che Monica tornasse in Italia, ma la vita si svolse in maniera differente. Dopo
la morte del marito, Rugiada andò a vivere con Monica e Martin, dedicando il
resto della sua vita alla crescita e all’ educazione dei suoi nipoti, prima a
Monaco, in Germania, poi ad Edmonton, in Canada, e alla fine in Francia. Rugiada
elogiò i tedeschi per la loro precisione e ordine, i canadesi per il loro amore
per la natura e i francesi per i medici senza frontiere. Divenne una nonna molto
popolare con i nipoti e i loro amici che amavano ascoltare gli aneddoti storici
e culturali che raccontava. La vita si ripetette quando i nipoti lasciarono casa
per raggiungere università lontane e stabilirsi negli Stati Uniti e in
Inghilterra.
Un’ italiana al 100 %
Rugiada amò tutto dell’Italia: il buon cibo, il design, il ‘look’, la cultura,
la storia e le persone celebri del passato, l’ingenuità italiana e aveva un’
ammirazione perticolare per la cultura romana e greca; ma soprattutto il suo
amore per Venezia fu contagioso. Tutta la famiglia ereditò questo amore e, anche
dal Canada, le vacanze estive a Venezia non erano da mancare, trascorrendo le
goirnate alla spiaggia del Des Bains e apprezzando la cultura e i ristoranti la
sera. Una delle attivita’ da lei preferite era di fare il tifo per l’Italia per
ogni tipo di sport. Quando la Ferrari vinceva la competizione di Formula 1, lei
sembrava molto più giovane. Un berretto della Ferrari, un regalo per i suoi 90
anni, ancora pende nella sua stanza.
Attribuiva a Lecce, che chiamò
"la Firenze delle Puglie" e dove sua mamma, Zaira Verardi, era nata e cresciuta,
la purezza nella sua pronuncia dell’italiano. Usava elogiare Lecce per essere
pulita e sontuosa e per appartenere al "grande sud".
Per le cose brutte dell’ Italia
incolpava la classe politica e non c’era verso di discuterne.
Apprezzò alcuni dei papi. Lei
era religiosa a modo suo, ma non fu molto ossequiosa per la chiesa come
istituzione. Tuttavia da giovane usava andare in chiesa: per esempio, andando da
casa sua alla stazione di Venezia dove prendeva il treno per andare
all’università a Padova, era solita prendere una scorciatoia passando per una
porta della chiesa di San Giovanni Crisostomo e uscendo dall’ altra,
specialmente prima degli esami.
Non poteva
tollerare le persone che si arrendevano davanti a difficoltà. Lei era solita
incoraggiare i membri della famiglia nei momenti difficili dicendo "ma devi
essere più garibaldino/a" simbolo di azioni audaci e coraggiose per una giusta
causa, oppure dicendo "sursum corda" (alza il tuo spirito).
Rugiada amava mangiare bene e
aveva la reputazione di essere "una buona forchetta". Amò il cibo con "gusto" ma
con moderazione. Non apprezzava i fast food. Quando persone estranee alla sua
famiglia non condividevano il suo punto di vista lei esclamava scherzosamente
"ma sono tutti matti". La prima volta che usò questa frase in Canada fu quando
gli insegnanti dei suoi nipoti espressero la profonda preoccupazione perché non
riconoscevano il marchio McDonald durante le prove dei test attitudinali. Le
buone maniere a tavola erano un dovere e gli ospiti non venivamo mai
risparmiati.
Il suo gusto musicale non fu mai
compreso a pieno. Amava la musica da lei definita come melodica, ma non fu
chiaro cosa intendesse. Vivaldi fu accettato, Beethoven non sempre, amò tutto
dei Beatles, la canzone favorita fu Michelle, ma belle
per essere in particolar modo melodica. Amò le arie delle opere che sua
sorella era solita cantare nella casa al Ponte dei Greci e poteva recitarle a
memoria, ma non riusciva ad ascoltare un’opera intera - diceva che fosse una
cosa troppo seria e noiosa.
Vide sempre la parte divertente
e spiritosa della vita. Aveva le battute svelte e un vivo senso dell’umore, di
natura molto italiana. Non apprezzava molto gli altri stili di umorismo. La sua
ultima "battuta" fu con il dottore con il quale scherzo’ sulla la maschera per
l’ossigeno: "la mia maschera d’arlecchino".
La casa fu molto importante per
lei. Rappresentava dove viveva, la sua famiglia, la sua proprietà.
Fu molto generosa tutta la vita,
preferendo spendere soldi per gli altri anziché per lei stessa. E’ stata molto
fortunata nel potere morire a casa, circondata dai suoi familiari, e con
l’assistenza dell’equipe di medici che esercitarono il loro mestiere non come
professione, ma come vocazione, in particolar modo
nei suoi riguardi.
Doveva essere occupata sempre.
La frase "altrimenti mi annoio" aumentò in frequenza durante gli ultimi anni.
Leggeva due quotidiani al giorno da capo a fondo e per questa ragione divenne
molto spigliata nell’inglese in Canada. Raccontava alla famiglia tutto quello
che leggeva, anche i "fattacci", poiché voleva
essere sicura che prendessero le appropriate precauzioni. Deve essere stata una
delle più vecchie lettrici della "Settimana Enigmistica", che arrivava
puntualmente ogni settimana in ogni parte vivesse. Completava tutte le parole
crociate e gli altri giochi per tenere il cervello in allenamento, oppure, come
lei la definiva, fare della "ginnastica mentale". Era anche brava con le mani. A
Roma era solita dipingere, in Canada apprese il mestiere dell’argentiere e in
Francia lavorò a maglia e poi riempì la casa con i suoi lavori all’uncinetto.
Non amava il positivismo
estremo. Le persone che lo praticavano venivano definite "faciloni". Amava la
dialettica, analizzando il lato positivo e negativo delle cose, perche’ pensava
che fosse necessario per acquistare una equilibrata vista del mondo. Una
peculiarità del suo pensiero dialettico fu che era solita cominciare molte frasi
con "ma".
Riflettendo sul mondo moderno,
aveva la convinzione che il più grande nemico del nostro tempo consisteva nel
fatto che le persone stessero diventando sempre più presuntuose a danno
dell’umiltà e della saggezza che si acquistano attraverso una profonda
conoscenza delle cose. |