L'omeopatia nel teramano tra
Melchiorre Delfico,
Eusebio Caravelli e Rocco Rubini |
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di Sandro Galantini Saggio
pubblicato in "Aprutium", a. XVII, nn. 1-2-3/1999, Edigrafital,
S.Atto (Te) |
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Risulta ormai
pacifico come l'Omeopatia – ai cui persistenti concetti, sviluppati dai
medici inglesi Edward Jenner e William Hunter, conferirà valore e
dignità di dottrina terapeutica il sassone Samuel Friedrich Christian
Hahnemann stampando nel 1769 sul "Journal fur Heilkunde" del celebre
Christoph Wilhelm Hufeland il fondamentale Versuch uber ein neues
Princip zur Auffindug der Heilkrafte der Arzneisebstance (1) – abbia
avuto come suo epicentro di diffusione italiana Napoli, non a torto
considerata la "culla dell'omeopatia" (2).
Un primato,
questo dell'antica capitale del Regno, come è noto ascrivibile in buona
parte al proficuo impegno di ingegni abruzzesi, ad iniziare da quel
Francesco Romani (3), medico e filosofo originario di Vasto giustamente
considerato il caposcuola dell'Omeopatia in Italia (4), cui si deve non
solo la pubblicazione, nel 1825-26, della prima edizione italiana dell'Organon
der Heilkunst, die reine Arzneimittellehre di Hahnemann (5) – di
poco successiva a Il sistema medico del dr. Hahnemann, edito nel
1822 dalla Reale Accademia delle Scienze di Napoli e curato dal medico
austriaco Schomberg, che aveva appreso la nuova dottrina dallo stesso
Hahnemann a Koethen – ma anche le più decise e feconde sollecitazioni
nei confronti di una classe medica che, pigramente adagiata su
tralatizie e standardizzate manovre terapeutiche riconducibili
all'aforisma ippocratico contraria contrariis curantur, stentava
ancora a recepire il nuovo e certamente rivoluzionario metodo.
Sarà infatti
sotto la guida e per le sollecitazioni del Romani che il clinico
molisano Cosmo Maria De Horatiis (6), medico personale del monarca
Francesco I e direttore della Clinica Chirurgica dell'Università di
Napoli, dopo aver aderito entusiasticamente alla nuova dottrina riuscirà
ad ottenere, nel maggio del 1828, il permesso regio per effettuare
presso l'Ospedale Militare della Trinità in Napoli un esperimento di
cura omeopatica, sotto il controllo di due medici militari e con la
supervisione del collega ed ‘ispiratore' vastese.
E' proprio
quel primo esperimento del 1828 – i cui risultati verranno resi noti dal
De Horatiis tramite il suo minuzioso Saggio di Clinica Omeopatica,
un volume che non mancherà di suscitare entusiasmo nella coeva classe
medica, ma anche i primi dissensi ed i prodromi di quell'ostilità da
parte della medicina ufficiale destinata in prosieguo a radicalizzarsi e
a sedimentarsi nel tempo -, è con quell'esperimento del '28, si diceva,
che possiamo individuare il dies a quo di un interesse nei
confronti della dottrina hahnemanniana destinato, tra il 1830 ed il
1870, a conoscere il momento di massima effervescenza; un crescit
eundo, non solo limitato al regno (dove pure nel 1834 operano 300
medici dediti all'omeopatia), tale da soppiantare quasi i tradizionali
metodi terapeutici.
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Samuel Hahnemann, Meissen
1755 - Parigi 1843,
medico tedesco, fondatore della medicina
omeopatica |
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Entro questa
cornice acquista pertanto valore e significato l'uscita presso i torchi
della tipografia teramana di Giuseppe Marsilii, a partire dal 1832,
della prima edizione italiana delle Malattie croniche di
Hahnemann curata dal medico toscano Bellomini (7).Sotto alcuni versi,
Teramo si poneva dunque all'avanguardia nei confronti della ‘periferia'
del regno, anticipando di qualche anno le interessanti esperienze sicule
rappresentate dal Dispensario Omeopatico – attivato a Palermo nel 1839
-, dalla rivista "Annali di Medicina Omeopatica", pubblicata parimenti
nel capoluogo siciliano a partire dal 1837, e dalla creazione della
celebre Accademia Omeopatica, inaugurata solennemente il 23 giugno 1844.
Questa precoce attenzione tutta teramana nei confronti di Hahnemann
d'altronde aveva avuto remote scaturigini ed illustri protagonisti.
Nel 1792, al
suo esordio, il "Commercio Scientifico d'Europa col Regno delle Due
Sicilie" – com'è noto, il bimestrale del medico e chimico Vincenzo Comi
nato nella Teramo dei Delfico con l'obiettivo di promuovere
l'aggiornamento della cultura scientifica meridionale (8) – presentava
un articolo proprio di Samuel Hahnemann approntato a Lipsia il 4 giugno
dell'anno precedente, relativo ad un liquore d'assaggio
utilizzabile come reagente per individuare nei vini la presenza di
metalli nocivi per la salute (9). A questo ne sarebbero seguiti altri
due, riguardanti rispettivamente la preparazione del mercurio solubile
(10) ed il risultato di esperimenti a scopo terapeutico utilizzando
fiele bovino (11). Si tratta di studi originali in ambito chimici e
mineralogico che il medico originario di Meissen dal 1790 andava
effettuando in quel torno di anni evidentemente ormai del tutto dissuaso
– com'egli riferirà in una lettera al celebre Christoph Wilhelm Hufeland,
suo mèntore e corrispondente epistolare – del "nulla dei metodi curativi
ordinari" (12) e forse già operando in concreto per gettare le basi
della sua dottrina dell'Omeopatia. Certo è che un primo e precocissimo
contatto con Hahnemann veniva attivato proprio da Teramo, da un luogo
cioè indubbiamente periferico però irrorato – grazie alla decisiva
presenza di quella dinamica coventry provinciale formatasi
attorno a Gian Filippo, Gian Berardino e soprattutto
Melchiorre Delfico
– di grande fervore culturale e civile, e quindi – va da sé – non
incapace di dialogare in maniera proficua (grazie anche al ‘Giornale'
del Comi) con i maggiori centri e con le più interessanti personalità
della cultura scientifica del tempo.
Non deve
pertanto stupire se proprio il protagonista per eccellenza della
cosiddetta Rinascenza teramana, il ‘nume' Melchiorre Delfico,
arrivi a mostrare una partecipata attenzione ai progressi di questa
peculiare disciplina. In un gruppo di pagine sparse, rimaste sinora
inedite e destinate forse a far parte di un'opera mai terminata comunque
databili tra il 1818 ed il 1819 (13) – quindi a distanza di quasi un
decennio dalla prima edizione dell'Organon di Hahnemann ma con
apprezzabile anticipo rispetto all'uscita del libro di Omeopatia curato
dallo Schömberg, il primo stampato in Italia – il grande illuminista
teramano non manca di esaminare le teorie di Hahnemann, da lui definito
"il gran fondatore del medico sapere", appalesando un interesse che
altre carte inedite conservate presso l'archivio privato della famiglia
Casamarte a Loreto Aprutino dimostrano persistere con singolare
continuità sino agli ultimi anni di vita del Nostro (14). D'altronde tra
gli studi vari e i numerosi appunti di Melchiorre Delfico compare una
minuta intitolata Della specificità in medicina (15) relativa
all'Omeopatia, peraltro oggetto di uno scambio epistolare che, tra il
gennaio ed il settembre 1822, intercorre tra il Teramano e Francesco
Romani (16).
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Francesco Romani, Vasto (Ch)
1785 - Napoli 1852, medico,
introdusse per primo l'omeopatia nel
Regno delle Due Sicilie |
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Questo
coinvolgimento – e non in posizione subalterna – di Melchiorre Delfico
(17), da un lato potrebbe spiegare l'attenzione riservata alla nuova
disciplina medica da parte di taluni esponenti del mondo scientifico teramano gravitanti nell'orbita dei Delfico (non va trascurato il dato
che una folta corrispondenza intercorse, a partire almeno dal 1820 e
sino al 1839, tra lo stesso Francesco Romani e Diomira Mucciarelli, dal
1797 moglie di Orazio Delfico(18)), e dall'altro rende non sprovvista di
ragionevolezza l'ipotesi avanzata da Luigi Ponziani di un intervento
diretto dell'illustre illuminista originario di Leognano nell'impresa
editoriale del Marsilii (19).
Un'impresa
editoriale, c'è da dire, solo parzialmente coronata dal successo.
Infatti, vero è che questa edizione, ritenuta addirittura più
interessante "della traduzione francese, fatta a Parigi da Jourdan",
avrebbe rappresentato per l'impresa tipografica teramana una sorta di
segnacolo in vessillo, qualificando non poco l'attività del Marsilii; ma
è pure vero che una serqua di problemi – principalmente l'intervenuta
indisponibilità del primo traduttore e la difficoltà ad individuarne un
secondo, in aggiunta forse agli elevati costi – non consentirono di
realizzare nei tempi previsti il piano editoriale dell'opera, il cui
quarto ed ultimo volume (per complessivi cinque tomi) vedrà la luce solo
nel 1837.
L'opera
peraltro si incuneava in un periodo connotato da un serrato dibattito
relativo alla nuova disciplina medica che, entro i confini abruzzesi,
alimentava gli interessi di esponenti del mondo scientifico e
generalmente culturale dell'epoca.
Un ruolo non
secondario nella diffusione delle teorie hahnemanniane è senz'altro
ricoperto dal "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere e Arti", il
periodico fondato a Chieti nel 1836 da Pasquale De Virgiliis che,
raccogliendo un gruppo di scaltriti intellettuali formatisi a Napoli
(un'elite progressista che annovera, tra gli altri, Raffaele
D'Ortensio, Pasquale Borrelli e Ottavio Colecchi), persegue l'obiettivo
– peraltro già accarezzato con la precedente esperienza della "Filologia
Abruzzese" – di inserire la realtà abruzzese nel vivo del dibattito
(evidentemente non solo letterario) contemporaneo, infrangendone
l'immagine di terra chiusa nel suo isolamento, tagliata fuori dal più
fecondo commercio d'idee, costretta ad un ruolo sempre e comunque
subalterno (20).
E' proprio
nel 1836 che il nuovo periodico del De Virgiliis accoglie sulle sue
pagine un primo contributo dedicato alle teorie di Samuel Hahnemann,
pubblicando la traduzione dal francese di un discorso del medico tedesco
apparso l'anno prima nel parigino "Journal de la Médicine Homoeopathique"(21),
cui fanno seguito, nel 1838, un nuovo intervento del molisano Giovanni
Sannicola (22), una entusiastica recensione di Augusto Vecchi ad un
volume sull'omeopatia del marchigiano Francesco Talianini (23) ed un
lungo e articolato saggio di carattere biografico redatto da Emmanuele
Rocco (24) che, richiamando uno scritto del 1837 di Francesco Romani
(25), ripercorre la vicenda dell'aristocratico Sebastiano de' Guidi -
cittadino francese benché nato a Guardia Sanframmondi, nell'allora
napoletana provincia di Terra di Lavoro -, artefice della diffusione
della omeopatia in Francia.
Questa
insistita attenzione da parte di una rivista a vocazione non
esclusivamente ma prevalentemente filosofico-letteraria nei confronti di
una disciplina tanto peculiare (e andrebbero qui ricordate anche le
numerose segnalazioni e le recensioni relative al poema filo-omeopatico
di Quintino Guanciali (26)), presumibilmente è dovuta alla presenza di
alcuni collaboratori del "Giornale" teatino all'interno di una tessitura
di legami tra esponenti notevoli della cultura non solo regionale, in
buona parte rappresentanti il fulcro del movimento riformatore
meridionale cresciuto all'ombra di Antonio Genovesi.
Così sarà
stato sicuramente per il letterato cepagattese Raffaele D'Ortensio, nel
1844 il primo a tradurre in endecasillabi lo Hahnemannus di
Quintino Guanciali (27), un personaggio che di qui a breve avremo modo
di incontrare ancora.
Così sarà
stato anche per quel corrispondente e ‘creatura spirituale' di
Melchiorre Delfico (28) che dal 1832, succedendo a Paolo Nicola
Giampaolo, era entrato a far parte della cognita Reale Accademia delle
Scienze di Napoli, Pasquale Borrelli (la cui biografia, non senza
significato, sarebbe stata tracciata nel 1840 sul "Giornale Abruzzese"
da un altro De Horatiis Cesare (29)), del quale proprio Francesco Romani
aveva tradotto ed illustrato nel lontano 1808 i Principii di
zoognosia (30), i quali, usciti in prima edizione l'anno precedente
(31), rievocavano a Chieti la tradizione della ‘sapienza' di Lauberg tra
gli Scolopi (32).
Quanto a
Giovanni Sannicola (33) va rammentato il ruolo concretamente giocato
dallo scienziato di Venafro in seno alla Società Economica del I Abruzzo
Ulteriore (della quale verrà nominato socio corrispondente il 15
settembre 1830) e al "Gran Sasso d'Italia" del ‘cerusico' notare schino
Ignazio Rozzi, come dire ad un ambito teramano che continuava a
gravitare su Delfico.
Sulla scorta
di quanto sin qui rilevato non appare né singolare né tantomeno casuale
che proprio nel 1838 e per merito di un membro della Società Economica
aprutina, il ‘dottor fisico' giuliese Eusebio Antonio Baldassarre
Caravelli (34), veda la luce presso un'altra tipografia teramana –
quella avviata nel 1832 da Quintino Scalpelli, meno ‘blasonata' del
Marsilii ma parimenti destinata ad una florida esistenza (35) – un
volume che già dal suo sesquipedale e particolarissimo titolo lascia
trasparire in filigrana la fascinazione subita dal suo autore nei
confronti della nuova disciplina medica: Macchina armonica ovvero
l'armonia prodotta dall'aria elastica sui corpi sonori. Applicata alla
dimostrazione approssimativa dei varii fenomeni del corpo umano secondo
la Dottrina dei simili (36).
Questa "dotta
memoria" – per dirla alla maniera del Sannicola, autore dell'Annunzio
tipografico (segnalazione bibliografica, diremmo oggi) pubblicato
dalle pagine del solito "Giornale Abruzzese" (37) – che, facendo leva su
assiomi fisici e musicali e con un occhio di riguardo alle acquisizioni
in Biologia del medico napoletano Ferdinando Volante, avrebbe apportato
un contributo nuovo ed originalissimo ad una disciplina in forte
espansione nel Regno anche in ragione della sua impostazione
rigorosamente scientifica e della progressiva disistima nei confronti
della medicina curativa del tempo (per gran parte – si sa – ispirata
alle dottrine spiritualistiche da un lato ed al puro empirismo
dall'altro), questo studio, appunto, collocava lo studioso giuliese in
una posizione di assoluto riguardo tra i cultori abruzzesi delle teorie
hahnemanniane, cronologicamente precedendo l'impegno a favore della
nuova disciplina medica da parte del conte loretese Quintino Guanciali,
definito ‘vate dell'omeopatia' per avere pubblicato nel 1840 (quindi due
anni dopo il lavoro del Caravelli), guarito da una grave malattia grazie
alle cure praticategli da Francesco Saverio Vitacolonna seguace della
nuova disciplina, un poema, ch'ebbe grande fortuna tra i contemporanei,
dal titolo Hahnemannus seu de Homoepathia nova medica scientia,
con cui celebrava le nuove concezioni del creatore dell'omeopatia (38).
Anche nel
caso del Caravelli – intorno al quale non è inopportuno spendere qualche
parola – possiamo rinvenire ancora una volta la presenza di un intreccio
umano e culturale di grande significato che non è dubitabile abbia
contribuito a fertilizzar l'operosa vicenda del Nostro.
La biografia
di Eusebio Caravelli - che nasce a Giulianova il 22 maggio 1781 dal
medico moscianese Pio e da Cecilia De Ascentiis, di antica e doviziosa
famiglia giuliese (39) – aderisce nei suoi momenti essenziali (una prima
formazione locale cui segue il periodo universitario naturalmente a
Napoli) ad un iter comune a tanti uomini di cultura abruzzesi del Sette
e dell'Ottocento. E' forse attribuibile alla dimestichezza di rapporti
col quasi coetaneo concittadino Angelo Antonio Cosimo de' Bartolomei
(legato a Melchiorre Delfico da solidi vincoli d'amicizia, epistolari e
persino dalla comune appartenenza all'Accademia Truentina di Ascoli
Piceno(40)), la nomina del Nostro – il 2 febbraio 1819 – a socio
corrispondente nella Società Economica del I Abruzzo Ultra di Teramo,
erede della preesistente ed originaria Società patriottica (41) ed
impegnata, con Durini, con Giuseppe Alfieri e con Gregorio De Filippis
Delfico per fare qualche nome, a promuovere studi accorti e dall'ampia
latitudine relativamente all'agricoltura ed all'industria, importante
centro di raccordo per numerosi e prestigiosi esponenti della
intellettualità provinciale e vera fucina di ricercatori (42).
Una
circolazione di dati culturali certamente meno angusta così come la
indubitabile possibilità di confronto con i più avveduti approdi degli
scienziati dell'epoca è pensabile abbiano sospinto il Caravelli verso un
eclettismo – peraltro non poco rinvigorito dal successivo ingresso come
socio onorario, a partire almeno dal 1847, nella aquilana Accademia de'
Velati (43), il celebre sodalizio arcadico a vocazione umanistica erede
della gloriosa Aternina – che caratterizzerà buona parte della sua
produzione a stampa, non foltissima degna senz'altro di attenzione.
Additano un
percorso di ricerca proficuamente alimentato da peculiari e multiformi
interessi, tanto il suo Opuscolo sul metodo di costruire i pavimenti
a marmo artificiale od i così detti a musaico alla veneziana, la
prima opera del Caravelli uscita nel 1837 dai torchi dello Scalpelli (e
recensita dal solito "Giornale Abruzzese" (44)), quanto Il
ravvedimento di un contadino abruzzese opera utile a' proprietari,
un interessante studio di sociologia e di tecnica agricola pubblicato
nel 1839 – anno nel quale Caravelli compare anche tra i Soci
corrispondenti della Società Economica del 2° Abruzzo Ultra di Aquila
(45) – ironicamente recensito da Enrico Ruggieri ne "Il Gran Sasso
d'Italia", per il quale, da buon allievo e parente (acquisito) del
Rozzi, il buon trattamento e l'istruzione "tramuterebbero i nostri
servi della gleba in un popolo benemerito vigile industrioso ed
utile a se stesso ed allo stato" (46).
Tra questi
due lavori, come sappiamo, si situa cronologicamente la sua Macchina
armonica, quasi a fungere da discrimen tra interessi
suscettibili di divergere eccessivamente rispetto a quelli naturali e
certamente più consoni al ‘dottor fisico' ch'egli era. E difatti, quasi
a ribadire un atto di fedeltà a quella disciplina che, per quanto
peculiare ed avversata, pur tuttavia era ed è una branca della medicina,
il Caravelli fa seguire,a distanza di qualche anno da quel lavoro
omeopatico del '38, una nuova edizione della Macchina armonica
(47) uscita stavolta presso i torchi chietini di Federico Vella, gli
stessi che nel 1845 stampano un libretto gratulatorio di Angelo Cosimo
de' Bartolomei, l'autore della poesia apparsa alla fine del nuovo libro
di Caravelli.
Il vigoroso
impegno del medico giuliese a favore delle teorie hahnemanniane –
avversate, in questo torno di anni, da un'agguerrita schiera di
‘allopatici' che negli Abruzzi, tra gli altri, vede nel guardiese
Michele Bucceroni uno dei protagonisti eccellenti e più acrimoniosi (48)
– non avrebbe mancato di spiegare effetti positivi su un altro abruzzese
destinato a primeggiare nella pratica e nella diffusione della
omeopatia: Rocco Rubini.
Il rarissimo
ed aureo volumetto commemorativo scritto dal medico ed accademico
partenopeo Tommaso Cigliano (49) è, a fronte di una carenza di notizie e
di dati documentari blandamente temperata da recenti ma cursori rilievi
(50), la principale fonte per lumeggiare l'impegno ed il ruolo del
Rubini nella ulteriore crescita e diffusione della Omeopatia nel
Mezzogiorno d'Italia.
Il più noto
‘allievo' del Caravelli ("Rammentate, che io tracciai a voi le prime
orme nell'ingresso dell'Omeopatia", scrive il medico giuliese nella
dedica al Rubini che apre la prima edizione della Macchina armonica)
nasce a Cellino Attanasio (olim Cellino) il 4 ottobre del 1800,
quando ad altre latitudini rispetto a quelle abruzzesi gli iniziali
scritti di Samuel Hahnemann principiano ad erodere la validità delle
facili e standardizzate manovre terapeutiche basate sull'utilizzo sin
troppo generoso dei salassi e dei setoni.
La perdita in
condizioni drammatiche, prima del padre Settimio – barbaramente
trucidato da una banda di briganti capeggiata dai sanguinari fratelli
Rapacchietta di Montegualtieri il 26 luglio del 1807 in un bosco di
Monteverde, nei pressi di Cellino(51), forse per i suoi principi
politici liberali -,
e nel 1809
della madre Maria Antonia Cristofari, segnerà per sempre la vicenda
biografica di Rocco, che insieme coi fratelli Camillo e Cristoforo verrà
accolto ed allevato in casa di uno zio a Teramo, città d'origine del
genitore.
Ultimati gli
sudi nel capoluogo aprutino, il Rubini prende nel 1820 la strada di
Napoli, nel cui prestigioso Ateneo conseguirà dopo quattro anni di studi
intensi la laurea in Medicina facendo quindi ritorno nella sua città di
elezione nel 1825, dove verrà nominato Protomedico della Provincia.
L'arresto,
nel 1828, di Cristoforo – coinvolto nei moti di Penne – costringerà il
Nostro a tornare nella capitale del Regno per tentare di salvare
dall'impiccagione il fratello tradotto a Napoli e quindi rinchiuso nella
prigione del Coccodrillo a Castel dell'Ovo. Da Napoli di nuovo a Teramo,
dove si tratterrà sino al 1839, per tornare quindi nella città
partenopea.
E'
probabilmente nel periodo ‘teramano' che il Rubini entra in contatto con
Eusebio Caravelli, al quale lo lega non solo l'appartenenza a quel tutto
sommato ristretto gruppo di medici autorizzati alla funzione di periti
giudiziari (52), ma anche la condivisa amicizia con l'eclettico giuliese
Livio De Dominicis, anch'egli – come il Caravelli e il De Bartolomei –
membro della Società Economica del I Abruzzo Ultra oltre che della
marchigiana Truentina ed autore del poemetto epitalamico pubblicato nel
1832 in occasione del matrimonio contratto dal medico di Cellino con la
moscianese Doralice Rossi (53).
Come già
detto, nel 1839 il Rubini si trasferisce a Napoli, già votato con tutta
probabilità all'Omeopatia grazie alle sollecitazioni del Caravelli.
Nella capitale del Regno Rocco Rubini si inserisce ben presto nel
‘circuito' degli omeopatici gravitante sul De Horatiis tramite il dottor
Giuseppe Mauro, uno tra i più autorevoli sostenitori delle teorie
hahnemanniane, del quale diviene collaboratore ed amico affettuoso. Sarà
proprio grazie al Mauro – uno dei corrispondenti italiani di Samuel
Hahnemann ed autore di opere manoscritte sull'Omeopatia, tra le quali un
importante Indice sintomatico – che il Nostro affinerà le sue
conoscenze riuscendo in un breve torno di tempo non solo a disporre di
un solido retroterra scientifico ma anche ad acquisire una certa fama,
confermata del resto dalla sua partecipazione – nella duplice qualità di
Socio corrispondente dell'Accademia Omiopatica di Palermo e
significativamente di Socio ordinario della Società Economica di Teramo
– all'importante VII Congresso degli Scienziati Italiani tenutosi a
Napoli nel 1845 (54).
Tuttavia il
suo exploit il Rubini l'avrà nei primissimi anni cinquanta
dell'Ottocento, dopo un periodo turbolento caratterizzato dal suo
arresto ad opera dell'occhiuta polizia borbonica per motivi politici e
dalla perdita della moglie.
E' il 1852
quando il medico cellinese ottiene dal principe Leopoldo Borbone il
permesso di fondare a Napoli una speciale Farmacia Omeopatica, la cui
sede – al numero 153 di Via Chiaia, nei pressi del Teatro Sannazaro –
verrà aperta a brevissima distanza dalla sua abitazione. Qui il Rubini
sperimenterà con successo l'utilizzo della Calcarea carbonica 200a
nella cura dell'epilessia, e riuscirà a conseguire risultati
apprezzabili in molti episodi di diarrea tabescente infantile con la
somministrazione della 1a centesimale di Arsenicum.
Probabilmente si inscrive in questa fase di ricerca l'iniziale utilizzo
della canfora – dal Rubini adoperata in una soluzione satura di alcool
che ancora oggi si chiama Canfora Rubini ed è in vendita come preparato
galenico – nel trattamento del colera, in quei tempi una delle patologie
più diffuse ed esiziali (55) e la cui virulenza tornerà a manifestarsi
il 27 luglio 1854, quando tra gli ospiti del Regio Albergo dei Poveri di
Napoli si registrano i primi casi di affezione.
Invitato a curare la
famiglia degli uomini in questo Real Albergo dei poveri –
ricorderà il Rubini nella sua Statistica dei Colerici
curati omeopaticamente in Napoli (56), forse l'unica,
tra le opere a stampa del medico abruzzese, salvatasi dalle
confische della sospettosa polizia borbonica (57) -, io
togliendo a sicura scorta le osservazioni dell'illustre
Maestro [scil. Hahnemann] sulla cura del morbo
ferale, comunicai sull'uso di questo rimedio [scil.
l'alcool canforato] le opportune istruzioni al Comandante
Signor Forni, ed al sergente Ventura Inutile, prescelto dai
Superiori del luogo a primo infermiere della sala clinica
de' colerici, affinché lo somministrasse nei primi momenti
d'invasione del malore, riserbando a me le indicazioni dei
rimedi posteriori. Avvenutane la invasione nel dì 27 luglio,
qual fedele esecutore metteva l'infermiere in opera le
istruzioni ricevute, e guarendo in poco d'ora i primi 14
infermieri, coraggio ed esperienza acquistò egli, al solo
mestiere delle armi uso sino a quel tempo. Allorquando nella
detta sala io arrivai per la ordinaria visita, trovai i
malati o nella incipiente, o nella già avanzata benefica
reazion della natura, che prossima annunziava la caduta del
male ed il riequilibrio delle dinamiche funzioni. |
L'utilizzo con esiti assolutamente positivi della
canfora nel trattamento del colera verrà peraltro confermato da una
missiva scritta il successivo 28 luglio dal maggiore Nicola Forni per il
suo diretto superiore, il Cavaliere Filippo Pucci, Generale Comandante
del Real Albergo dei Poveri.
Per delle cure di massimo
rilievo che ho avuto luogo sperimentare con favorevoli
risultati col metodo omiopatico – scrive dunque il Forni -,
sì pe me sì, che per quelli della mia particolare famiglia,
praticate dal Sig. D. Rocco Rubini, mi spinsi, intesi i casi
del Colera che serpeggiavano nella Capitale, domandargli
qual metodo curativo si poteva adottare nel caso che si
fosse attaccato dal morbo: lo stesso [scil. Rocco
Rubini] m'indicò come sperimentato, l'uso di poche gocce di
spirito di vino canforato, somministrato sopra un pezzetto
di zucchero, e replicato ad intervalli, da darsi alla
persona subito che manifestavansi i primi sintomi del morbo. |
Il successo
della terapia adottata dal Rubini in quella struttura e, poco più tardi,
presso il 3° Reggimento Svizzero (391 casi accertati di colera senza una
sola perdita, un risultato ancor più appezzabile se paragonato agli
esiti deludenti ottenuti dagli ‘allopatici' nell'altro R. Albergo,
quello di S. Maria della Vita), non solo darà modo al medico cellinese
di affermare – anche mediante una serie di inoppugnabili statistiche
comparative pubblicate sul periodico "Il Dinamico" – la superiorità
dell'Omeopatia nella cura del ‘cholera-morbus' rispetto ai trattamenti
tradizionali, ma costituirà il fattore decisivo per l'emanazione del
reale rescritto del 1855 attraverso il quale, per la prima volta,
venivano poste in essere le norme per regolamentare l'esercizio delle
farmacie omeopatiche in tutto il Regno di Napoli.
Secondo il
biografo Tommaso Cigliano,
non vi è stato angolo del mondo, afflitto dal
morbo asiatico, ove il nome di Rubini non sia stato ripetuto
di persona in persona con gratitudine e ammirazione. Con
esemplare liberalità egli divulgò il processo di cura mercé
apposito proclama al popolo – ripetuto in tutte le epidemie
di Napoli – esortandolo alla frugalità del vitto, alla
nettezza della persona e della casa, a fuggire i
disinfettanti che appestano,e a tenersi solo all'uso della
Canfora, incorando a curare i colpiti con affetto e con
amorevolezza senza tema di essere contagiato. […] Molti
medici e filantropi, italiani e stranieri, scrissero a lui
lettere lusinghiere. Una signora Inglese spese oltre 18000
franchi per divulgare l'uso della Canfora in un paese di
dodicimila abitanti, ove l'epidemia colerica faceva strage,
e in meno di otto giorni il male finì interamente. |
Mondato degli
intenti agiografici, il passo tuttavia realisticamente evidenzia il
successo dei trattamenti omeopatici praticati da Rocco Rubini nei
confronti del morbo, e se vogliamo giustifica la fama acquisita dal
medico abruzzese, diffusa ben oltre i limiti angusti della Campania e
del mezzogiorno come attestano il titolo di medico ad honorem
conferitogli dall'università statunitense di Filadelfia e l'altro di
socio onorario - l'unico - dell'Istituto omeopatico italiano. Non deve
quindi stupire se nel 1860 al medico cellinese l'amministrazione
dell'Albergo dei poveri affiderà l'ospedale della Cesaria, trasformato
sotto la sua direzione in ospedale omeopatico, probabilmente il primo
realizzato nel Mezzogiorno.
La montante
avversione nei confronti delle dottrine hahnemanniane insieme con
"l'invidia. L'amor proprio schernito, l'abitudine inveterata per secoli,
l'interesse crollante di molti e la poltronerìa", come non
esageratamente denunciava il silvarolo Pietro Spitilli in un suo
appassionato libro scritto nel 1847 per difendere la bontà
dell'Omeopatia dai virulenti attacchi di Michele Bucceroni (58),
prelusero di fatto – nonostante la effettiva diminuzione dei tassi di
mortalità – la prosecuzione di quell'esperienza avviata dal Rubini,
sostituito nel 1863 dall'allopata Ciccone al vertice della struttura
sanitaria della Cesaria.
Ci si avviava
oramai, senza troppa pigrizia, a quello che per gli studiosi Galluppi e
Guarino si configura come il periodo di decadenza della Omeopatia,
segnalato dalla caduta esponenziale del numero dei medici dediti alla
dottrina di Hahnemann, nel 1863 appena 184 contro i 500 operanti nel
1834 (59).
E difatti,
nell'epidemia napoletana del 1884, come racconta il biografo Cigliano,
pur offrendo la propria opera in maniera del tutto disinteressata e
gratuita per curare i colpiti dal ‘cholera-morbus', il Rubini
Non ebbe che risposte evasive e
inconcludenti, alle quali replicò da uomo libero e, senza
esitanza, chiamò le autorità colpevoli della morìa, che
afflisse la più incantevole città del mondo; l'agente delle
imposte, in ultimo, come premio a chi lavora per l'altrui
bene e per la verità, l'oppresse con imponibili e redditi
professionali favolosi, vagliando la grande popolarità del
medico, senza calcolare le spese ed i sacrifizii continui
per sostenere le idee nuove, rinnegate e contrastate dal
governo, costringendolo dapprima ad una vendita fittizia dei
proprii beni, che nella sua tarda età gli fu causa di gravi
dolori, e dopo – è crudele quanto vero – a chiedere
volontariamente la radiazione dai ruoli degli esercenti!...
(60) |
Amareggiato da tanta feroce quanto ingiustificabile
ostilità, il medico farà ritorno nella sua Cellino, dove pure sullo
scorcio del 1884 riceverà il celebre dottor Roland Housmann Russo,
venuto in questo piccolo paese teramano "per conoscere ed udire dal
labbro del vegliardo i trionfi delle cure omeopatiche". Il 22 ottobre
1888 il dottor Rocco Rubini moriva a Cellino Attanasio, lasciando la
moglie Rosa Ottaviano (sposata in seconde nozze nel 1869) e la figlia
Maria, nel frattempo divenuta moglie di Tommaso Cigliano. Di questo
illustre esponente dell'Omeopatia, come mestamente riferiva nel 1926 il
podestà di Cellino De Albentiis a Vincenzo Bindi che lo aveva contattato
pensando di redigere una biografia relativa al medico da tempo scomparso
(61), oltre a pochi ed essenziali dati anagrafici e ad una vaga memoria
non sarebbe sopravvissuto null'altro. |
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|
La farmacia Omeopatica Centrale a Napoli, fondata
dall'omeopata Rocco Rubini,
nato a Cellino Attanasio (olim
Cellino)1800 - ivi 1888. |
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_______________ |
(1) Saggio
sopra un nuovo principio per scoprire le virtù dei medicamenti con un
colpo d'occhio sui principi seguiti fino al giorno d'oggi.
(2) Sulla
genesi dell'Omeopatia in Italia si rimanda, oltre al classico lavoro di
Franco ZAMMARANO, Medicina Omeopatica dalle origini ad oggi,
Bologna, Cappelli, 1951, all'ancora fondamentale lavoro di Alberto
LADISPOTO, Storia dell'omeopatia in Italia, Roma, Edizioni
Mediterranee, 19872 (1a ediz. Roma, Università
degli studi – Istituto di Storia della Medicina, MCMLXI). Per altri
rilievi, oltre alla sintetica ‘voce' redatta da Gianni TOGNONI per l'Enciclopedia
Medica Italiana, Firenze, USES Edizioni Scientifiche, 19832,
coll.1641-1649, cfr. ancora Alberto LADISPOTO, Omeopatia, Roma,
Mondadori, 1979.
(3) Su
Francesco Romani, oltre al consueto Raffaele AURINI, Dizionario
bibliografico della Gente d'Abruzzo, vol. III, Teramo, Cooperativa
Tipografica "Ars et Labor", MCMLVIII, pp. 317-322, cfr. per tutti
Concezio ALICANDRI-CIUFELLI, Francesco Romani, Roma, Università
degli Studi – Istituto di Storia della Medicina [Tip. E. Cossidente],
1959, e da ultimo, Fernando GUARINO, Fernando GALLUPPI, Francesco
Romani. Medico omeopata nel Regno di Napoli, Chieti, Editrice
Vecchio Faggio, 1990.
(4) In questo
senso, tra gli altri, Vincenzo BUSACCHI, Il contributo degli
abruzzesi allo sviluppo delle scienze mediche, in Atti del
secondo convegno nazionale della cultura abruzzese, volume secondo,
in "Abruzzo", a. VI [1968], n. 2-3, p. 467.
(5)Pura
dottrina della medicina: primo volgarizzamento italiano dell'originale
tedesco di Samuel Hahnemann impresso in Dresda nel 1811 presso Arnoldo
per cura del Dott. Francesco Romani, Napoli, L. Nobile, 1825-1826.
(6) Quella
del De Horatiis, nato a Poggio Sannita (una volta Caccavone) il 25
settembre 1771, indubbiamente rappresenta una delle più significative
‘conversioni' alla nuova dottrina medica, avendo il medico molisano
(divenuto peraltro famoso per avere eseguito, primo in assoluto, la
legatura dell'arteria nell'aneurisma col metodo insegnato dallo Scarpa,
nonché la litotomia e l'operazione della cataratta col metodo della
depressione coll'ago curvo di Scarpa), avendo il medico molisano,
dicevamo, frequentato i corsi di medicina a Montpellier, sede di una
scuola ispirata a rigorosi precetti ippocratici. Cfr. in argomento i
rilievi di Aldo CARANO, Centenari: V. Cuoco, Petrone, A. Marone, M.
Gualtieri, S.Giovanni da Tufara, E. Spetrino, G. Volpe, Abate Paldo,
nell'Almanacco. Itinerari del Molise 1971, Campobasso, Nocera
Editore, 1970, pp. 29-30.
(7)
Malattie croniche loro vera origine e cura omeopatica di Samuele
Hahnemann. Traduzione dal tedesco fatta sull'edizione di Dresda e Lipsia
1828 da Giuseppe Bellomini dottore di medicina in Lucca, Teramo,
presso Giuseppe Marsilii, 1832-1837. E' appena il caso di rammentare che
di Hahnemann nel 1834 (sincronicamente con l'uscita a Parigi dei suoi
Études de médicine Homœopatique), presso la veneziana Lampato veniva
pubblicata l'Esposizione della dottrina omeopatica .
(8) Sul Comi
e sul "Commercio Scientifico" cfr. da ultimo Sandro GALANTINI,
Vincenzo Comi, in ISTITUTO NAZIONALE DI STUDI CROCIANI, L'Abruzzo
nel Settecento, Pescara, Ediars, 2000 (con bibliografia pertinente).
(9) [Samuel]
HAHNEMANN, Per scoprire nel vino i metalli nocivi alla salute, in
"Commercio Scientifico d'Europa col Regno delle Due Sicilie ecc." a. I
[1792], vol. I, riprodotto nelle Opere Complete di Vincenzo Comi
(176-1830), ristampa con uno studio bio-bibliografico di G.[iacinto]
Pannella, Teramo, Giovanni fabbri Editore, 1911, pp. 165-167. E' noto
come Hahnemann proprio a Lipsia, città nella quale aveva iniziato gli
studi medici (proseguiti poi a Vienna e quindi a Erlangen dove
conseguirà la laurea nel 1779 discutendo un'apprezzata tesi intitolata
Cospectus effectuum spasmodico rum oetiologicus et therapeuticus)
e dal 1790 luogo di dimora abituale, avrebbe esercitato la professione
medica per molti anni peraltro avviando le sue prime investigazioni
sulle proprietà reali dei medicamenti sperimentando su di sé il chinino
per studiarne l'azione senza trascurare le ricerche chimiche e
mineralogiche, discipline nelle quali non tarderà a farsi un nome.
(10) Sulla
perfetta preparazione del Mercurio solubile, in "Commercio
Scientifico d'Europa col regno delle Due Sicilie ecc.", a. I [1792],
vol. II (in Opere complete, cit., pp. 247-251). E' appena il caso
di rilevare che per un refuso tipografico il prenome dell'autore
dell'articolo è erroneamente indicato con la consonante D. anziché S.
(11)
Intorno al fiele, ed alle pietruzze che in esso si generano, in
"Commercio Scientifico d'Europa col Regno delle Due Sicilie ecc.", a. I
[1792], vol.VI (in Opere complete, cit., pp. 697-699).
(12) Cfr. in
proposito L.[eonardo] Al.[estra], Omeopatica, terapia, in
Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere ed Arti, vol. XXV
(rist. fotolitica dell'ediz. 1935), Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1949, p. 325.
(13) La
segnalazione di questi inediti, conservati presso la Biblioteca
Provinciale "M: Delfico" di Teramo, dobbiamo anzitutto a Raffaele AURINI,
Delfico Melchiorre, in Dizionario bibliografico della Gente
d'Abruzzo, vol III, Teramo, Cooperativa Tipografica "Ars et Labor",
MCMLVIII, p. 20 (46 e 47). Una nuova segnalazione si deve ora a Gabriele
CARLETTI, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica
di un moderato meridionale, Pisa, Edizioni ETS, 1996, pp. 40-42. Sul
"Fondo Delfico" conservato presso la Biblioteca provinciale di Teramo,
cfr. i rilievi di Marcello SGATTONI, Il "Fondo Delfico" della
Biblioteca provinciale di Teramo, in "Aprutium", a. XIII [1995], n. 1-2. p. 35
e ss.
(14) Ci
riferiamo ad un manoscritto del Delfico datato Teramo 5 ottobre 1829,
privo di destinatario e composto di 4 facciate, folto di plurimi
richiami alle premure giuntegli da Pasquale Borrelli e Francesco Romani
e di riferimenti rivolti "agli Omiopatici". Cfr. in argomento Aleardo
RUBINI, Testimonianze per Melchiorre Delfico, in "Notizie dalla
Delfico", 2/1994, p. 15 e ID., Documenti di/su Melchiorre Delfico,
in "Aprutium", a. XIII [1995], n. 1-2, pp. 33-34.
(15) Archivio
di Stato di Teramo, Fondo Delfico (d'ora in avanti A.S.Te, Fondo
Delfico) b.16, fasc.172, II/9.
(16)A.S.Te,
Fondo Delfico, b. 24, fascc. 459 e 471.
(17) Una
specifica indagine sull'attenzione riservata da Melchiorre Delfico alle
teorie hahnemanniane (con la riproduzione delle missive sopra indicate)
verrà pubblicata prossimamente dallo scrivente.
(18) Cfr.
A.S.Te, Fondo Delfico, b. 25, fasc.527, II/24. Si tratta di 8
lettere inviate dal Romani a Diomira Delfico.
(19) Scrive
difatti Luigi Ponziani che "l'impresa editoriale del Marsilii ebbe quasi
sicuramente una sponda locale rappresentata dal vecchio Melchiorre
Delfico (del quale non va escluso un intervento finalizzato alla stampa
dell'opera)", atteso che in più occasioni, e sicuramente ante la
pubblicazione della prima edizione delle Malattie croniche di
Hahnemann, l'interesse mostrato dall'illuminista teramano travalica in
misura apprezzabile la semplice curiosità. Cfr. Luigi PONZIANI,
Annali tipografici dell'Abruzzo teramano. Il XX secolo, Teramo,
Amministrazione Provinciale di Teramo-Biblioteca Provinciale "M. Delfico",
1997, p. 25 e nota 67.
(20) Su
questa caratterizzazione del "Giornale Abruzzese" cfr. da ultimo i
contributi di Teresa PARDI (La polemica classico-romantica nel
"Giornale Abruzzese") e di Nicola SCARPONE (Prosa e poesia nel
"Giornale Abruzzese di Scienze Lettere e Arti"), in Giornali e
riviste in Abruzzo tra Otto e Novecento, Atti del Convegno a cura di
Gianni Oliva, Roma, Bulzoni, 1999, rispettivamente pp. 45-67 e 69-126.
Cfr. anche il recentissimo Il "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere
ed Arti" (1836-1844), a cura di Mario Cimini, Teresa Pardi, Nicola
Scarpone, Roma, Bulzoni, 2000.
(21)
Società Omeopatica gallicana. Discorso del dottor Samuel Hahnemann.
Giornale della Medicina Omeopatica di Parigi. Novembre 1835, dal
francese, in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. I
[1836], n. 2,pp. 89-92. Il Discorso in parola seguiva a sua volta di un
anno il Traité de Matière Medicale di Hahnemann pubblicato nella
capitale francese.
(22) Giovanni
SANNICOLA, Medicina omeopatica – Omaggio a Samuele Hahnemann in
Parigi, in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. III
[1838], n. 18, pp. 178-180.
(23) A.[ugusto]
VECCHI, La verità dell'omeopatia – memoria del dottor Francesco
Talianini, Ascoli, Luigi cardi, 1837, in "Giornale Abruzzese di
Scienze, Lettere ed Arti", a. III[1838], vol.5, pp. 34-35.
(24) Cfr.
"Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. III[1838], vol. 7,
pp. 41-49. Interessante è la notizia, data dal Rocco nel suo intervento e
che l'Autore dichiara di voler approfondire "in altro apposito
articolo", della prima ‘proclamazione' dell'Omeopatia da parte di uno
studioso nativo di Cumigliano, ‘casale' di Capua, addirittura nel 1641.
(25) Cenno
biografico del Conte Sebastiano de' Guidi introduttore della omiopatia
in Francia, Napoli, dalla tipografia del Poliorama, 1837.
(26) Si
vedano oltre alla segnalazione apparsa nel volume 12 del 1839, le due
recensioni di Leopoldo DORRUCCI, in "Giornale Abruzzese di Scienze,
Lettere ed Arti", a. V[1840], vol. 15, pp. 97-102 e pp. 62-63.
(27)
Hahnemannus. L'Annemanno voltato in italiano per Rafaele D'Ortensio. Con
testo latino a piede, Napoli, Stamperie e Cartiere del Fibreno,
1844. Se ne veda la relativa recensione in "Giornale Abruzzese di
Scienze, Lettere ed Arti", nn. LXII-LXIII, febbraio-marzo 1843, cop. int.
(28) E' –
crediamo – sufficientemente noto come i rapporti tra il Borrelli ed il
delfico si basassero prevalentemente anche se non in maniera esclusiva
(come, a tacer d'altri, testimonia la pubblicazione nel 1810, da parte
di Borrelli e diero consiglio dell'amico Delfico, di un trattatello
Su la limitabilità di Ossian apparso prima nella "Biblioteca
analitica di scienze e belle arti", poi in volume presso la partenopea
Nobile) su comuni interessi filosofici, intorno ai quali si rimanda, per
una puntualizzazione bibliografica, a Guido OLDRINI, L'Ottocento
filosofico napoletano nella letteratura dell'ultimo decennio,
Napoli, Bibliopolis, 1986, p. 51.
(29) Cfr.
"Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. V[1840], pp.
106-112.
(30) Pasquale
BORRELLI, Principii di Zoognosia, tradotti e illustrati da Francesco
Romani, Napoli, Angelo Coda, 1808.
(31)
Principii di zoaritmia scoverti da Pasquale Borrelli e preceduti da un
ragionamento istorico su la moderna medicina matematica, Napoli,
Angelo Coda, 1807.
(32)
Pertinenti rilievi sul ruolo del Borrelli all'interno di n'interessante
tessitura di legami sono in Raffaele COLAPIETRA,Un contributo
provinciale al riformismo del decennio: l'Abruzzo Ultra, in "Bullettino
della Deputazione Abruzzese di Storia Patria", a. LXXXIV [1994], pp. 177-233
passim.
(33) Una
cursoria biografia del Sannicola è quella tracciata da Aldo CARANO,
Centenari: G. Tosti, A. de Lisio, A. Compensa, G. Sannicola, A.
Pistilli, nell'Almanacco. Itinerari del Molise 1969, Campobasso,
Nocera Editore, 1968, p. 113.
(34) Per u
sintetico profilo bio-bibliografico relativo al Caravelli cfr. Sandro
GALANTINI, Le "difficili conquiste". Cultura umanistica, arte e
storia a Giulianova tra Seicento e Ottocento, in Centri
dell'Abruzzo, Sulmona, VIII edizione del Premio "Filomena Carrara",
1996, pp. 38-39 (con bibliografia pertinente).
(35) Sulla
tipografia Scalpelli cfr. i due lavori di Lida BUCCELLA, L'editoria
abruzzese dell'Ottocento, in ISTITUTO NAZIONALE DI STUDI CROCIANI,
L'Abruzzo nell'Ottocento, Pescara, Ediars, 1996, pp. 564 ss., e
L'editoria abruzzese dell'Ottocento, Chieti-Villamagna, Tinari,
1999.
(36) Teramo,
Dalla Tipografia di Quintino Scalpelli,1838.
(37) G.[iovanni]
SANNICOLA, Annunzio tipografico, in "Giornale Abruzzese di
Scienze, Lettere ed Arti", a. III[1939], n. 15, p. 165.
(38)
Hahnemannus seu de Homoeopathia nova medica scientia. Libri octo,
Neapoli, Typis Guttemberg, 1840. Sul Guanciali cfr. oltre al solito
Raffaele AURINI, Dizionario bibliografico della Gente d'Abruzzo,
vol. II, Teramo, Cooperativa "Ars et Labor", MCMLV, pp. 298-304, Concezio
ALICANDRI-CIUFELLI, Quintino Guanciali, il poeta di Hahnemannus e una
storia della medicina in versi, estr., Bologna-Ravenna, S.T.E.B.,
1960; Mario Quinto LUPINETTI, Un dimenticato poeta latino: Quintino
Guanciali, in "Quaderni del Rotary", a. XIV [1992], p. 19 e Angelo
PACITTI, Voci della cultura italiana dell'Ottocento. Quintino
Guanciali – Poeta latino in terra d'Abruzzo, Torino, Tip.
Costa-Curtol, 1971.
(39) Sulle
‘ascendenze' moscianesi del Caravelli cfr. opportunamente Giovanna
MANETTA SABATINI, Mosciano Sant'Angelo nell'Abruzzo Teramano e nel
Regno di Napoli durante il secolo XVIII, S.Atto, Edigrafital, 1997,
p. 367 e note 1,2.
(40) Sul
rapporto intercorrente tra il Caravelli ed Angelo Antonio Cosimo De'
Bartolomei cfr. Sandro GALANTINI, Eusebio Caravelli "Dottor
omiopatico" e la cultura scientifica a Giulianova nell'Ottocento, in
"La Madonna dello Splendore", 16/1997, spec. P.35.
(41)
Relativamente alla quale si rimanda a Guido DE LUCIA, La società
patriottica della provincia di Abruzzo Ulteriore I (Teramo). 1788-1798,
in "Rivista di Storia dell'Agricoltura", a. V [1965], n. 3-4, pp.
308-332, 435-463, ora in Id., Abruzzo Borbonico. Cultura, società
economica tra Sette e Ottocento, Vasto, Cannarsa, 1984. Sempre del
De Lucia cfr. anche Dalla Società Patriottica alla Camera di
Commercio, in "Notizie dell'Economia Teramana", a. XLI [1989], n. 7-9,
pp. 7-17.
(42) Una
attenta disamina della genesi, del successivo sviluppo e dell'importanza
della Società economica teramana è in Guido DE LUCIA, La Società
economica del Primo Abruzzo Ultra e l'archivio del notaio Mario
Quartapelle, in "Rassegna degli Archivi di Stato", a. XXIX [1969],
n. 1,
p. 86 ss. (disponibile anche per estratto Roma, s.e., 1969).
(43) Sul
punto cfr. Colonia Aternina de' Velati (1816-1841), a cura di Francesco
Di Gregorio, Roma, Fratelli Palombi Editori, 1979, vol. I, p. XXXII in
nota.
(44) Cfr.
"Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. V [1840], vol. XLI,
p. 99.
(45) Sul
punto v. Guido DE LUCIA, Le Società Economiche abruzzesi (1798-1845),
in "Abruzzo", a. V [1967], n. 2-3, p. 376.
(46) Cfr. E.[rrico]
R.[UGGERI], Ravvedimento di un contadino abruzzese; del dott. Eusebio
Caravelli, in "Il Gran Sasso d'Italia", a. II [1839], vol. II, fasc.23,
pp. 362-364. In argomento v. anche Guido DE LUCIA, Una rivista agraria
abruzzese dell'Ottocento preunitario. Il Gran Sasso d'Italia di Ignazio
Rozzi, Teramo, Centro Abruzzese di Ricerche Storiche "Abruzzo
Teramano", 1970, p. 38 e nota 12.
(47)
Macchina armonica la di cui teoria porta quindi gradatamente alla teoria
dell'organizzazione umana e delle sue morbosità curate omeopaticamente
escogitata dal Dottor Fisico Eusebio Caravelli di Giulianova nel I
Abruzzo Napoletano, socio corrispondente delle rispettabili Società
Economiche del I e II Abruzzo. Edizione seconda totalmente rinnovata,
Chieti, Tipografia Vella, s.d. [1840?].
(48) Sul
Bucceroni (1780-1840), medico e scienziato di Guardiagrele, socio della
Reale Accademia di Napoli e membro, col nome arcadico di Alessandro
Aslepideo, della Colonia Aternina de' Velati di Aquila, autore di un
rinomatissimo lavoro intitolato Prime linee della Medicina del Signor
Le Roy basata sui tre assiomi di Newton, cui serve di appendice un
parallelo tra la Medicina Aforistica d'Ippocrate e la Curativa del
cennato Signor Le Roy, cfr., oltre al sintetico profilo biografico
di Francesco Paolo RANIERI, Guardiagrele. Memorie e monumenti paesani,
Lanciano, Tipografia di Francesco Masciangelo, MCMXXVII, pp. 184-187, la
monografia di Giuseppe IEZZI, Il poeta Cav. Dott. Michele Bucceroni
di Guardiagrele, Guardiagrele, Tip. A.G. Palmerio, 1934.
(49) In
morte del Prof. Rocco Rubini. Parole del Dottor Tommaso Cigliano,
Napoli, Stab. Tipografico Lanciano e D'Ordia, 1889. E' appena il caso di
rammentare che proprio a Tommaso Cigliano fu affidata la cattedra di
omeopatia, istituita nel 1895 presso l'Università partenopea e in
seguito soppressa.
(50) Cfr.
Fernando GUARINO, Fernando GALLUPPI, Francesco Romani, cit., p.
28 e spec. P.34; Giovanni BOSICA, Cellino Attanasio e la sua storia.
Notizie, fatti e personaggi, Selva Piana di Mosciano S.Angelo, Media
Edizioni, 1997, pp. 134-137.
(51) Cfr.
Giovanni BOSICA, Cellino Attanasio, cit., pp. 84-85 e nota 116 e
Luigi COPPA-ZUCCARI, L'invasione francese negli Abruzzi (1798-1815),
Roma, Tipografia Consorzio Nazionale, MCMXXXIX, pp. 171-172.
(52) Cfr. i
nominativi compresi in un elenco ufficiale di medici del 1837 riprodotto
in appendice nell'articolo di Alberto SCARSELLI, Medici e Scienziati
dell'Abruzzo Teramano (dopo il congresso medico), in "Teramo", a. III[1934],
novembre-dicembre, pp. 22-23.
(53) Livio DE
DOMINICIS, In occasione delle faustissime sponsali zie de' signori D.
Rocco Rubini di Teramo e D.na Doralice Rossi di Mosciano. L'amico
Riccardo Comi applaude col seguente poemetto epitalamio amore
ristabilito nella purità componimento dell'accademico…, Teramo, Tip.
Angeletti, 1832.
(54) Cfr.
opportunamente gli Atti della settima adunanza degli Scienziati
Italiani tenuta in Napoli dal 20 di settembre al 5 ottobre del MDCCCXLV,
Napoli, nalla Stamperia del Fibreno, 1846.
(55) Nel
biennio 1854-55 si verificò la terza ondata epidemica di colera, che
tuttavia toccò tutto sommato in modo meno grave il Regno di Napoli (7,7
morti ogni mille abitanti) rispetto alle province della Lombardia (12.3
morti ogni mille abitanti) e soprattutto allo Stato Pontificio (18,9
morti su mille abitanti). In argomento v. Anna Lucia FORTI MESSINA,
L'Italia dell'Ottocento di fronte al colera, in Storia d'Italia.
Annali 7.Malattia e Medicina, a cura di Franco Della Peruta, Torino,
Einaudi, 1984, p. 452 e ss. e tabella 6 (pp. 454-455).
(56)
Statistica dei Colerici curati omeopaticamente in Napoli nel Real
Albergo dei poveri nel 1854. E di quei in altri tempi omeopaticamente ed
allopaticamente curati qui ed altrove. Lucubrazione del D. Rocco Rubini
Socio Corrispondente dell'Accademia Omeopatica di Palermo, Napoli,
Stamperia dell'Iride, 1855.
(57) A detta
del biografo Tommaso Cigliano, il Rubini non solo "mano scrisse per uso
proprio più che dodici volumi, che comprendono la Materia Medica di
Hahnemann, le febbri intermittenti di Negri e l'Indice sintomatico dello
stesso Mauro, compilato su tutta la letteratura omeopatica dal 1800 al
1832", ma fu autore di numerosi lavori, editi (come l'opuscolo,
compilato probabilmente nel 1864-65, sul Cactus grandiflora) ed
inediti – tra i quali uno relativo al magnetismo animale – tutti
parimenti confiscati o dispersi. Cfr. In morte del Prof. Rocco
Rubini, cit., pp. 12-13.
(58)
Risposta apologetica del Dottor Pietro Spitilli da Silvi all'opuscolo
del Cosmopolita Nicatese, Napoli, Tipografia della Sibilla, 1847. Si
tratta di una risposta ad un pamphlet dato alle stampe appunto
dal Bucceroni (con lo pseudonimo di Cosmopolita Nicatese) in Firenze dal
titolo Le follie dell'Omiopatia.
(59) Fernando
GARINO, Fernando GALLUPPI, Francesco Romani, cit., p. 18.
(60) Tommaso
CIGLIANO, In morte del Prof. Rocco Rubini, cit., p. 16.
(61) Giovanni
BOSICA, Cellino Attanasio, cit., p. 135. |
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