De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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L’idea di storia in Delfico e Foscolo

di Umberto Russo

In "Aprutium", n. 3 / 1996, S. Atto di Teramo, Edigrafital, 1998

 

Nel 1808 gli editori Roveri e Casali di Forlì pubblicavano i Pensieri su l’istoria e sull’incertezza ed inutilità della medesima di Melchiorre Delfico, che avevano cominciato a stampare due anni prima (1).

Nella Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono Benedetto Croce parla di quest’opera come di un esempio tardivo di quella "conseguenza paradossale" cui era giunta nel secolo XVIII "l’indagine sulla natura e l’ufficio della storiografia", un’indagine che, partendo da un’imprecisa e controversa concezione di questa ‘forma dello spirito’, inevitabilmente era sboccata nel suo discredito e nella sua negazione, sicché in quel secolo, che considerava il passato come "un brutto sogno" e il presente e l’avvenire come il "regno iniziato e vittorioso della ragione", si era creduto che la storia, custode della memoria del passato, "fosse non solo inutile…ma addirittura perniciosa come serbatoio di cattivi esempi" (2).

Di questo ‘paradosso’ si era fatto paladino "ancora nel 1806" Melchiorre Delfico, "un superstite ‘intellettuale’ del secolo precedente", ottenendo tuttavia "nessuno o assai debole consenso", anzi suscitando "molte voci di contrasto" (3).

Alle posizioni negative della cultura illuministica aveva infatti reagito la nuova cultura che agli inizi dell’Ottocento tornava "a interrogare la storia e confidare in lei" (4). Tra i difensori dell’utilità della storia il Croce annovera anche il Foscolo.

In effetti, negli stessi anni dei Pensieri delficini si svolgeva il momento saliente della riflessione sulla storia del poeta di Zante: dalla composizione e pubblicazione del carme Dei Sepolcri (1806-07) all’orazione inaugurale del corso di lezioni all’Università di Pavia sul tema Dell’origine e dell’ufficio della letteratura.

Dopo una giovinezza travagliata da esperienze diverse – la perdita della patria, le delusioni politiche, gli amori fervidi, ma inappaganti, l’affannosa ricerca di un ubi consistam nell’Italia napoleonica – il Foscolo approdava, ormai trentenne alla cattedra universitari, illudendosi ancora una volta di avere raggiunto una meta soddisfacente. Le sue speranze, al contrario, erano destinate a svanire per la soppressione delle cattedre di eloquenza nel regno Italico, decretata ancor prima che egli desse inizio al corso. Volle ugualmente svolgere il suo insegnamento, che si ridusse all’orazione inaugurale ed a cinque lezioni, tenute tra il febbraio e il giugno del 1809 (5).

Nel discorso di apertura il Foscolo, dopo aver esposto la sua concezione della parola umana come stimolo allo sviluppo del pensiero e fondamento primo del contratto sociale, passava ad analizzare l’ufficio delle lettere, distinguendo coloro che si applicano ad esse in ‘poeti’, ‘oratori’ e ‘storici’. Entro questa partizione, che senza dubbio ricalca gli schemi della retorica tradizionale, s’inserisce la celebre esortazione alle storie, che pur collocata su un ampio sfondo di riferimenti culturali, quindi da intendere come un nobile invito a coltivare le lettere in modo consapevole e degno di esse, per alte finalità etiche e patriottiche, va certamente riportata ad una prospettiva contingente:

 

"Io vi esorto alle storie – diceva ai suoi giovani allievi

il Foscolo -, perché angusta è l’arena degli oratori; e chi ormai

può contendervi la poetica palma?" (6)

 

In altri termini, egli ricordava il primato italiano nel genere della poesia lirica ed etica, un primato che, a suo parere, avrebbe dovuto scoraggiare i giovani dall’insistere in un campo già troppo ingombro di glorie passate, e nello stesso tempo indicava i limiti obiettivi – con una velata allusione ai condizionamenti illiberali del regime napoleonico – per chi avesse voluto esercitare il proprio ingegno nell’oratoria.

La sua esortazione a coltivare le ‘storie’ sembra così risolversi in una sorta di indicazione di scelta pressoché obbligata per quei giovani, comunque ancorata ad una visione sostanzialmente tradizionale dell’attività letteraria.

Non per nulla il Croce quando ricorda la posizione foscoliana nel dibattito sull’utilità della storia, la riconduce a "vecchi argomenti sulla virtù oratoria della storia" (7). Ciò non gli impedisce di avviare la sua Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono proprio con la menzione di quella ‘esortazione alle storie’, riconoscendole una valenza ben più ampia del significato contingente (8).

Valutato entro questa dimensione, il pensiero del Foscolo appare antietico a quello del elfico. Del resto, è agevole segnalare tra i due scrittori una serie di divergenze ideologiche che li rendono espressioni di due momenti ben distinti, anche se cronologicamente contigui, della storia della cultura: quanto l’uno, partecipe e protagonista dell’età preromantica, è teso a superare la crisi del razionalismo settecentesco affidandosi alla forza delle illusioni, tanto l’altro resta sostanzialmente legato ai fondamenti concettuali dell’Illuminismo. Se Foscolo, già fermenta la rivalutazione romantica dello storicismo vichiano, il Delfico, pur non ignorando la lezione del Vico, ha i suoi riferimenti ideologici in Condillac, in Volney.

Vero è che entrambi avvertono la difficoltà di risolvere i problemi lasciati aperti dallo sgretolamento dell’ideologia dei lumi nel momento della transizione dei fervori rivoluzionari al ripristino dell’ordine, drappeggiato classicamente sotto lo scettro imperiale di Napoleone; ma gli esiti cui approdano divergono non solo per l’intrinseca differenza dei temperamenti e delle formazioni culturali, bensì anche e forse soprattutto per un divario generazionale, all’animo del Foscolo prestando ancora alimento non scarso le speranze di un trentenne, sul Delfico gravando ormai in modo irreparabile le molte esperienze, quasi tutte dure e dolorose, delle sue più che sessanta primavere.

Pertanto, la storia ha per Foscolo una valenza pedagogica assoluta, che nel momento specifico dell’Italia napoleonica assume un risvolto parenetico, si arricchisce di una potenzialità patriottica – presagio e prodromo di quanto avverrà concretamente nel periodo risorgimentale; la convinzione delficina dell’inutilità della storia, anzi della sua dannosità, appare come una logica conseguenza di certe premesse concettuali della Weltanschauung illuministica (9). Tuttavia il Delfico riconosce la possibilità, anzi la validità di una storia del progresso umano, delle conquiste della scienza (10): anche questa, d’altronde, è idea tipicamente settecentesca (11), sicché, a stringere i conti, non si può negare la giustezza di un’interpretazione in positivo delle sue idee, come quella di Armando Di Nardo, che definisce i Pensieri un saggio volto a mostrare "come la storia non deve essere" (12).

Lo stesso studioso mostra come il progetto delficino di una ‘nuova’ storia – "una storia della verità, quindi da imitare", in sostituzione dell’inveterata e deprecata "storia degli errori" – punti a valorizzare la "storia delle scienze", cioè una storia delle conquiste del pensiero umano in campo scientifico, che apra prospettive per ulteriori avanzamenti (13). "Così – afferma il Delfico – le scienze e la storia di esse sarebbero l’istessa cosa, e sarebbero combinati i metodi di apprendere e d’insegnare" (14).

Cade qui opportuno il richiamo al passo dell’orazione inaugurale foscoliana nel quale è dato riconoscimento alla letteratura di carattere scientifico dei secoli passati e sono ricordati con lode Machiavelli, Galilei, Beccaria, Ferdinando Galiani, scrittori che "onorano il materno idioma" promuovendo "i loro studi con eloquenza" (15) tra gli italiani. Anche se l’elogio pare vertere in modo peculiare sul ‘bello stile’ di questi scrittori ‘scientifici’ (tanto che subito dopo si deplorano gli scienziati del tempo che "non si valgono delle attrattive della loro lingua" per rendere i loro saggi "proprietà cara e comune agl’ingegni concittadini" (16)), il passo ha certamente un significato più ampio, caricandosi di un valore ideologico che si riflette sulla storia letteraria nel suo complesso.

Ma anche in altri punti si scoprono convergenze tra il Delfico e il Foscolo. Si mettano a raffronto gli esordi dei due testi: i Pensieri del primo si avviano con la considerazione che i caratteri naturali rendono l’uomo ‘parlante’ e ‘scrittore’, quindi capace di comunicazione e narrazione (17); anche per il Foscolo la parola è una "facoltà…ingenita" nell’uomo, mediante la parola si comunicano immagini e sentimenti, e ciò è detto nel paragrafo IV dell’orazione, che dopo i primi tre paragrafi di esordio convenzionale dà il vero e proprio avvio alla trattazione del tema (18).

Afferma il Delfico che nell’età primitiva il ricordo dei personaggi di maggiore spicco sociale era affidato ad una pietra o a mucchi di pietre e che da questo uso trassero origine i cippi, i monumenti, insomma tutti gli edifici destinati a tramandare la memoria degli uomini illustri (19). A sua volta, il  Foscolo parla dei tumuli eretti sui cadaveri dei vinti come tangibile ricordo delle vittorie (20).

Comune ad entrambi è il disprezzo per gli eruditi, per gli aridi raccoglitori di notizie, chiusi alla vita che ferve al di fuori dei loro studi, per i ‘claustrali’, secondo la tagliente definizione foscoliana, quindi è comune anche il ripudio della storia fatta di fredde nozioni raccogliticce (21).

A questo punto sembra lecito porre la questione se il Foscolo conoscesse o meno il saggio delficino. Parecchi elementi porterebbero a dare una risposta affermativa.

E’ bene ricordare che all’orazione inaugurale di Pavia furono mosse, nell’immediato, varie critiche e ne nacquero polemiche, più volte riferite dal Foscolo nelle lettere inviate in quel lasso di tempo a G. B. Giovio di Como e all’amica veneziana Isabella Teotochi Albrizzi (22). Anzi, proprio con l’obiettivo di rispondere alle censure egli preparò una lettera al Giovio da stampare col titolo In difesa dell’orazione inaugurale, ma varie vicende glielo impedirono. I frammenti di essa ricavati dagli autografi, sono stati pubblicati a cura di Emilio Santini nel VII volume dell’Edizione nazionale (23).

Un passo della lettera sembra riferibile proprio ai Pensieri di Melchiorre Delfico:

 

         "E quantunque il giornale dinanzi citato (24) presenti quasi fenomeno, e penda incerto tra tanta lite, che mentr’io esortava a scrivere degnamente le storie, altri nella stessa città pubblicasse che la storia è assolutamente perniciosa alla società, io, senza contrapporre che l’autore di quest’opinione pubblicò recentemente una storia, da che ciò poco convincerebbe chi non vorrebbe scrivere storie né leggerle, domanderò: gli uomini camminano nelle tenebre della vita per ispirazione o per esperienza? possono inventar mai o non piuttosto sempre imitare? devono più specolare che operare? e senza sentire potrebbero operare e senza fatti sentire? Ove ogni uomo nasca ispirato, prototipo e contemplatore, la storia sarà perniciosa, perché lo svierà dalla propria natura. Dimentichiamoci dunque tutto il passato, distruggiamo le nostre immaginazioni sull’avvenire, perché sono anch’esse fondate su la memoria. Ma la storia è inutile, incerta, fallace; e la sentenza dell’autore presa in tutta l’estension sua conduce a questo, che non esiste storia veruna. Anche della nostra vita ignoriamo il prima, il poi, il come, il perché; l’anima nostra, i ragionamenti, i nostri occhi, le nostre mani; il momento del nostro esisto, che oscilla fuggendo sempre le immense voragini del passato e lusingandosi nel futuro, è anch’esso incerto, tutto è incerto, è fallace tutto; né v’è dunque certezza perché non v’è cognizione di vita: non per questo non v’è vita veruna. Poiché tutto è illusione, la quale ci guida come ad un fine certo e determinato, a cui mira perpetuamente l’istinto ostinato della nostra conservazione, la storia, quand’anche fosse illusione, alimenterebbe più sempre la vita dell’uomo" (25). 

 

L’esame di questo brano porta ad evidenziare alcuni passi quali elementi probatori in positivo dell’ipotesi. Per esporre in sintesi il pensiero del suo antagonista scrive il Foscolo sottolineando (di qui la stampa in corsivo): "la storia è assolutamente perniciosa alla società". Basta leggere il titolo del terzo capitolo del saggio delficino (Dell’inutilità della Storia, e de’ pregiudizj e danni derivati dalla medesima) per imbattersi in un evidente riscontro testuale.

Un’altra frase del Foscolo, coniata pure per riferire il pensiero dell’avversario e perciò anch’essa sottolineata – "Ma la storia è inutile, incerta, fallace…"-, richiama quasi alla lettera il titolo dell’opera del Delfico (Pensieri su l’istoria e sull’incertezza ed inutilità della medesima); da notare inoltre che i termini "incertezza" ed "inutilità" tornano, rispettivamente, nei titoli del Capo secondo (Della storica incertezza) e del Capitolo terzo, già citato, sì da costituirsi quasi come mot-clefs del saggio.

Ovviamente, le definizioni del Foscolo trovano ampio riscontro nei contenuti dell’opera del Teramano: se ci si è soffermati sui soli titoli, è perché questi svolgono in genere una funzione mnemonica quando si voglia dare una rappresentazione sintetica di un testo, e proprio ciò sembra essere avvenuto nel caso specifico.

Osserva inoltre il Foscolo che "l’autore di quest’opinione pubblicò recentemente una storia…", perciò sarebbe caduto in contraddizione con la sua drastica critica alla storia. E’noto che Melchiorre Delfico aveva pubblicato nel 1804 le Memorie storiche della Repubblica di S. Marino, quindi l’osservazione foscoliana potrebbe calzare a pennello al suo caso.

In proposito, giova ricordare che lo scrittore teramano aveva, per così dire, respinto in anticipo l’accusa di incoerenza giustificando nella Prefazione la sua opera storica su San Marino (26). Qui non aveva esitato a dichiararsi in dissenso con quelli "che riguardano la storia come maestra della vita e dispensatrice della civile sapienza", dato che essa, "facendoci veder sempre scarsi gli annali della virtù in confronto dei voluminosi giornali del vizio e dell’errore", non contribuisce all’educazione morale dell’uomo; tuttavia l’esempio del "governo umano" di San Marino, rimasto immune dai travagli di fine Settecento che avevano sconvolto l’Europa e l’Italia, lo induceva ad una trattazione che, se non arrecava ai lettori "un’essenziale utilità", poteva per lo meno dare "qualche piacevolezza" (27).

Dal brano del Foscolo sopra riportato emerge anche qualche elemento che può invalidare l’ipotesi; il più rilevante concerne l’indicazione del luogo di pubblicazione dello scritto dell’antagonista ("altri nella stessa città pubblicasse…"): a quale città intendeva riferirsi il Foscolo? A Pavia, dove era stata pronunciata l’orazione inaugurale, o a Firenze, con riferimento al "giornale dinanzi citato" cui alludeva qualche rigo prima, cioè al "Giornale enciclopedico", pubblicato appunto a Firenze?

Certamente l’opera del Delfico non era stata edita né a Pavia né a Firenze, ma a Forlì. Per ovviare a questa difficoltà si può ipotizzare un lapsus memoriae del Foscolo o una sua contingente imprecisione; del resto, lo stato frammentario e confuso degli autografi, attestato in una lunga nota ad locum dal curatore dell’edizione (28), può ben giustificare nel testo sviste, approssimazioni ed aporie del genere.

Qualora fosse proprio il saggio del Delfico l’oggetto del riferimento foscoliano, si tratterebbe di una delle sue prime contestazioni, se non delle prima in assoluto (29).

In ogni caso, a prescindere dalla validità o meno dell’ipotesi avanzata, è significativa la convergenza dei due scrittori nella riflessione sulla storia al discrimine tra cultura illuministica e sensibilità romantica. Tuttavia, il divario, anzi l’opposizione tra le loro risposte al comune problema è soltanto apparente, poiché entrambi mirano ad una ‘nuova’ storia, ripudiando l’erudizione di mero accumulo ed auspicando l’indagine sulla realtà degli eventi; la loro aspirazione al ‘vero’ (30), in quanto scoperta dei motivi essenziali dei fatti storici e delle linee portanti delle vicende dell’umanità, si concretizza nel desiderio – dalle profonde radici etiche – di costruire una storia che sia davvero maestra di vita e stimolo all’azione nel presente e nell’avvenire. Ma la sua giustificazione nell’enfasi posta dall’antagonista sugli aspetti negativi della precedente storiografia, mentre ignora o trascura (come del resto, faranno altri critici del Delfico, non escludo lo stesso Croce) la sua proposta di un nuovo modo di fare storia.

In altri termini, l’impostazione prevalentemente negativa e demolitoria data dal Teramano al suo saggio ha nuociuto a lungo alla comprensione di una tesi che solo in tempi recenti è stata riscattata dal misconoscimento e dal sommario discredito.

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(1) La prima edizione dell’opera porta la data del 1806, ma l’anno della effettiva pubblicazione è il 1808, come risulta dalla nota apposta dall’autore alla seconda edizione (Napoli 1809). I Pensieri furono ripubblicati nelle Opere complete di MELCHIORRE DELFICO, a c. di G. Pannella e L. Savorini, G. Fabbri edit., Teramo 1901-1904, vol II, pp. 11-177.

(2) BENEDETTO CROCE, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, Laterza, bari 1964, I, pp. 16-17.

(3) Ivi, p. 17.

(4) Ivi, p. 16 Su posizioni analoghe a quelle del Croce si v. G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, Ed. della "Critica", Napoli 1903, pp. 46 e sgg.

(5) Ottenuta la nomina alla cattedra di eloquenza il 24 marzo 1808, il Foscolo se la vide soppressa con un decreto del 15 novembre successivo. Tuttavia tenne sia il discorso proemiale il 22 gennaio 1809, sia cinque lezioni, le prime due (Su la letteratura e la lingua) il 2 e il 5 febbraio, le altre tre (Della morale letteraria) il 18 maggio, 5 e 6 giugno dello stesso anno. Se ne vedano i testi in UGO FOSCOLO, Lezioni, articoli di critica e di polemica (1809-1811), ediz. critica a c. di Emilio Santini, vol. VII dell’Edizione nazionale delle Opere, Le Monnier, Firenze 1967.

(6) U. FOSCOLO, op. cit., p. 34.

(7) B. CROCE, op.cit., p. 17.

(8) Cfr. ivi, pp. 1-2.

(9) Non si possono escludere, nello specifico tema del valore attribuito alla storia, influenze, per così dire, locali, cioè della cultura settecentesca abruzzese, sul Delfico: penso alle affinità che emergono (e meriterebbero uno studio più approfondito) tra il suo pensiero e quello di Romualdo de Sterlich, che in varie lettere agli amici Giovanni Lami e Giovanni Bianchi esprime la sua disistima per le ricerche antiquarie e meramente erudite, convinto com’è che "meglio sarebbe che questo smoderato studio che si fa per le antichità, s’impiegasse per l’agricoltura e per il commercio, che sono le due scienze che potrebbero provvedere a tanti bisogni, che tuttavia rimangono mal soddisfatti" (cit. in U. RUSSO, Studi sul Settecento in Abruzzo, Solfanelli, Chieti 1990, p. 46). Di particolare interesse la lettera a G. Lami del 10 maggio 1753, nella quale tra l’altro si legge: "Io vorrei che gli uomini…studiassero la storia dello spirito umano, dalla quale s’impara come son vissuti coloro, che uomini come noi, sono stati di noi molto, e molto meno infelici" (R. DE STERLICH, Lettere a G. Lami (1750-1768), a c. di U. Russo e L. Cepparone, Jovene, Napoli 1994, pp. 300-301).

(10) Su questo aspetto peculiare del pensiero del Teramano fa ora chiarezza lo studio di Gabriele Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, Ediz. ETS, Pisa 1996 (si v. in particolare il cap. III, L’ "inutilità" della storia, pp. 147-175), nel quale ho trovato convalide, precisazioni e integrazioni a vari punti dell’intervento svolto da me nel Convegno di Montorio al Vomano dell’8 dicembre 1985. Nel libro di G. Carletti rifonde e amplia il suo saggio Concezione della storia e funzione della storiografia in Delfico, in "Trimestre" N.S., a. XVII (1984), nn. 1-2 (con ricca bibliografia). Molto utile ed interessante anche il saggio di Mario Agrimi, La vicenda rivoluzionaria e le riflessioni sulla storia: Melchiorre Delfico, in "Itinerari" N.S., A. XXIII (1984), n. 3. Agrimi sottolinea in particolare l’influenza del pensiero vichiano sul Delfico.

(11) G. CARLETTI ha puntualizzato le derivazioni del pensiero delficino sulla storia da Volney (cfr. Melchiorre Delfico…cit., pp. 157, 159, 161, 170), oltre che da genovesi (p. 162), Montesquieu (pp. 162-163), Bettinelli (p. 169), Bocalosi (p. 170).

(12) ARMANDO DI NARDO, Storia e scienza in Melchiorre Delfico, Facoltà di Lettere e Filosofia della Libera Università Abruzzese "G. D’Annunzio", Chieti 1978, p. 87.

(13) Cfr. ivi, p. 90. Conclusioni analoghe a quelle tratte da A. DI NARDO in M. AGRIMI, op. cit., pp. 103-104, e in G. CARLETTI, Melchiorre Delfico…cit., pp. 172-173.

(14) Pensieri su l’istoria e sull’incertezza ed inutilità della medesima del Cavaliere Melchiorre Delfico Cittadino della repubblica di san marino, Roveri e Casali, Forlì 1806, pp. 132-133.

(15) U. FOSCOLO, op. cit., p. 32.

(16) Ibidem.

(17) Cfr. Pensieri su l’istoria…cit., p. 13.

(18) Cfr. U. FOSCOLO, op.cit., pp. 6 e sgg.

(19) Cfr. Pensieri su l’istoria…cit., p. 19.

(20) Cfr. U. FOSCOLO, op.cit., p. 10.

(21) Si noti tuttavia che, mentre il Delfico non esitava ad utilizzare il discorso Sull’autorità de’ Storici contemporanei di Girolamo Tiraboschi, riportandolo in calce al Capo secondo dei suoi Pensieri, dal Foscolo questo scrittore era considerato un mero erudito nella lettera a G.B. Giovio In difesa dell’orazione inaugurale (cfr. op. cit., p. 49).

(22) Cfr. le lettere a G.B. Giovio del 17 febbraio e del 12 marzo 1809 ed a I. Teotechi Albrizzi del 19 marzo 1809, in U. FOSCOLO, Epistolario, vol. III (1809-1811), a cura di Plinio Carli, Le Monnier, Firenze 1953, pp. 55-56, 82-83 e 88-89.

(23) La lettera è alle pp. 45-52 di U. FOSCOLO, Lezioni, articoli di critica e di polemica cit.

(24) Si tratta del "Giornale enciclopedico" di Firenze (cfr. ivi, p. 48).

(25) Ivi, pp. 49-50.

(26) Cfr. M. Delfico, Opere complete cit., vol. I, p. 250.

(27) Ivi, p. 249.

(28) Cfr. U. FOSCOLO, Lezioni, articoli di critica e di polemica cit., p. 50.

(29) Sugli oppositori del Delfico cfr. B. CROCE, in "Critica", XIII, 16-18, e op. cit., pp. 17 e sgg.; G. CARLETTI, Melchiorre Delfico…cit., pp. 151-153.

(30) Per quanto concerne il Delfico, si v. in G. CARLETTI, Melchiorre Delfico…cit., pp. 162-164. L’orazione inaugurale del Foscolo contiene nel terzo paragrafo una vera e propria invocazione all’ "Amore del vero" (cfr. Lezioni, articoli di critica e di polemica cit., p. 5).