Le vicende della
famiglia Delfico a Montesilvano, un’illustre casata teramana
facente parte dei "Quarantotto"(1), hanno inizio alla fine del
XVI secolo.
In un "libro compre",
conservato nel Fondo Delfico dell’Archivio di Stato di Teramo,
sono menzionati gli acquisti effettuati da Giovan Berardino
Delfico dal 1585 al 1594 (2): un ampio numero di case e terreni
situati a Castagneto, Montesilvano, Moscufo e Pantaneto,
testimonianti la volontà di venire in possesso di un vasto
territorio collinare e pianeggiante.
È
solo nel XIX secolo che i rapporti con Montesilvano divennero
più assidui e significativi. La casata era divenuta De Filippis
Delfico grazie al matrimonio tra il conte di Longano Gregorio
De Filippis (3), originario di Napoli, e Marina Delfico (4),
ultima discendente ed unica erede dei beni dell’illustre
famiglia. Da tale unione, celebrata a Teramo il 16 ottobre 1820
(5), nacquero ben nove figli: Troiano (Teramo, 1821 -
Montesilvano, 1908), Giovan Berardino (Teramo, 1823-1870) (6),
Melchiorre (Teramo, 1825 - Portici, 1895) (7), Filippo (Teramo,
1827 - Montesilvano 1907), Aurora (Teramo, 1829 - Silvi, 1894)
(8), Lodovico (Teramo, 1833 - Montesilvano, 1866) (9),
Margherita (Teramo, 1835 - L'Aquila, 1910) (10), Michele
(Teramo, 1840 - Macerata, 1905) (11) e Rosa (Teramo, 1843 -
Montesilvano, 1930) (12). Tra essi Lodovico, Michele, Rosa, ma
soprattutto Troiano e Filippo, con la loro rispettiva
discendenza, segnarono profondamente la vita politica e
culturale di Montesilvano.
Gregorio De
Filippis Delfico
Gregorio De Filippis, unendo al suo il cognome Delfico, non solo
assicurò la discendenza, ma impostò il suo operato su una linea
di continuità con l’impegno civile e culturale che tanto aveva
caratterizzato le vicende della famiglia teramana. Come afferma
Ponziani, egli «prese progressivamente in mano le sorti della
nuova famiglia restaurandone beni e finanze duramente provate
dalle vicende rivoluzionarie degli ultimi decenni e nel contempo
recuperando a se stesso e ai suoi eredi un ruolo di guida civile
(se non politica) da giocare sia sul piano locale che su quello
nazionale» (13). Instancabile viaggiatore, intrecciò stretti
rapporti con i maggiori intellettuali dell’epoca - si pensi alla
corrispondenza epistolare con Giacomo Leopardi (14) - che
incisero sulla sua produzione letteraria (15).
Socio ordinario della Società Economica, alla quale aderì fin
dal 1829 e di cui fu Presidente tra il 1845 e il 1846, diede il
suo contributo a favore dello sviluppo agronomico della
provincia – sancito dal discorso Sulla patria agricoltura
– e contribuì ad istituire l’Orto botanico (trasformato, dopo il
1884, in Villa comunale). Come agronomo e imprenditore sagace
sperimentò nuove tecniche di coltivazione anche attraverso
l’istituzione di una serie di "poderi modello". Più volte
Presidente del Consiglio Provinciale, nel 1841 tenne la
relazione Poche idee di miglioramento per le contrade del
Primo Apruzzo Ultra, nella quale sostenne la necessità di un
intervento di arginazione dei fiumi e di regimentazione delle
acque; nel 1843 si fece promotore dell’istituzione di due Casse
di Risparmio, una a Teramo, l’altra a Città Sant’Angelo,
organizzate prendendo a modello quelle sorte nelle maggiori
città centro settentrionali. Nello stesso anno intervenne a
favore di un netto potenziamento delle comunicazioni stradali e
precisamente «nel dibattito in corso sul tracciato da darsi alla
costruenda strada di collegamento tra la costa e L’Aquila
sostenendo sia la direttrice Giulianova – Teramo - Montorio, sia
un secondo tracciato che avrebbe dovuto svilupparsi dalla
consolare adriatica attraverso la Vallata del Vomano per meglio
collegarsi con Pescara» (16).
Anche la lungimirante consapevolezza dell’importanza che avrebbe
rivestito la città di Pescara pone Gregorio in una forte linea
di continuità con lo zio acquisito Melchiorre (1744-1835),
filosofo, il più noto ed autorevole esponente della casata
Delfico. Alla sua morte Gregorio pubblicò su di lui un primo
saggio bio-bibliografico in due volumi e la Delficina,
una celebre raccolta di aforismi di Melchiorre, «punto di
riferimento obbligato per i successivi studi sul filosofo
teramano» (17).
La
morte di Gregorio De Filippis Delfico, avvenuta prematuramente a
Notaresco nel 1847, durante il viaggio di ritorno dal palazzo di
Montesilvano al palazzo di Teramo, venne a cadere in un periodo
denso di accadimenti che «segneranno profondamente gli
avvenimenti civili e culturali abruzzesi e meridionali» (18) e
che vedranno quali protagonisti tre dei figli di Gregorio e
Marina: Troiano, Filippo e Melchiorre. Se i primi due
«compiranno a Teramo il loro apprendistato politico legandosi a
uomini e a ambienti del liberalismo cittadino, il terzo si
affermò negli ambienti culturali di Napoli dove la sua penna
caricaturista ed il suo estro musicale divennero elementi
caratterizzanti della vita artistica della città capitaòe del
Regno già negli anni che precedono l’unificazione nazionale»
(19).
Marina Delfico
Con la morte di
Gregorio De Filippis è la moglie Marina Delfico a reggere le
sorti della famiglia, fortemente segnata dagli avvenimenti del
1848-49: nel 1848 il primogenito Troiano prese parte, come
volontario, alla prima guerra d’indipendenza e conobbe l’esilio
in Grecia; il secondo, Filippo, fu anch’egli tra gli animatori
della lotta risorgimentale, e fu costretto a riparare in
Francia. Tra le donne, anche Aurora condivise gli ideali
risorgimentali dei fratelli: si adoperò infatti per la raccolta
di fondi a favore dei garibaldini abruzzesi in partenza per
Mentana e tenne una corrispondenza epistolare con Giuseppe
Garibaldi.
Il
palazzo Delfico di Teramo, che era stato ampliato per volere di
Gregorio, divenne con lui e successivamente grazie a Marina, il
più importante cenacolo culturale della provincia, frequentato
da intellettuali, pittori e musicisti. Una vivida descrizione
della vita all’interno del palazzo e dei personaggi che lo
animavano, è data da Raffaele De Cesare nel suo La fine di un
regno: «In Teramo una nobile donna raccoglieva nel suo
palazzo […] ricco di opere d’arte e di un magnifico giardino
pensile, i cittadini notoriamente avversi al regime borbonico;
ed era la contessa Marina Delfico, ultima della sua stirpe,
vedova di Gregorio De Filippis, conte di Longano, e madre di
Trojano e di Filippo, esuli in Grecia e in Francia, e di quel
Melchiorre juniore, spirito di fine caricaturista […]. Nelle
sontuose sale del Palazzo Delfico, dove morì il grande
Melchiorre, e dove si accede per una scala addirittura regia,
convenivano Vincenzo Irelli, che fu il sindaco della
rivoluzione, e poi fra i primi senatori del regno d’Italia;
Berardo e Settimio Costantini, Francesco e Berardo Bonolis, […]
Giuseppe Antonio Crocetti[…][…], Stefano De Martinis protettore
della Milli, Nicola Forti, Giovanni de Benedictis, letterato e
poeta, e le famiglie Ginaldi, Pompetti, Valentini, Michitelli.
Prima del 1848 avevano frequentato l’ospitale casa dei Delfico
il Gammelli, i fratelli Bucciarelli […] e Michelangelo Forti,
prete liberale di gran cultura e carattere eroico, morto nella
galera di Nisida. Ricordo pure Pasquale della Monica, pittore
napoletano, andato a Teramo col conte di Longano, e padre
dell’insigne artista, che conobbi a Teramo nell’ottobre scorso,
quando vi fui ospite dei giovani conti Delfico, figli del
defunto senatore e degni discendenti dell’ultimo degli
Enciclopedisti» (20).
Marina Delfico non fu solo una nobile padrona, ma si occupò
fattivamente degli affari della famiglia riservando particolare
attenzione alle proprietà in Montesilvano, come testimoniato
dalla corrispondenza epistolare con i figli esiliati. In una
lettera dell’11 ottobre 1850, inviata da Montesilvano al figlio
Filippo, Marina afferma che si stavano realizzando "bonifiche in
campagna", "fortificazioni" lungo il fiume Salino, e che al suo
ritorno il giovane avrebbe trovato
ingrandita la nostra piantata e migliorata
(21).
Nel Palazzo di Teramo, inoltre, Marina fece realizzare lo
scalone nobile (22). Fu anche ben determinata a scendere in
campo legalmente per evitare che a Filippo fossero sequestrati –
come ordinato dalla Gran Corte Criminale nella sentenza di
condanna – i beni dell’eredità paterna, difendendo i diritti
della giovane nuora Cleomene Fallocco (sposata da Filippo a
Larino il 21 dicembre del 1849), giunta a Montesilvano nel 1849
(23).
L’impegno
civile dei fratelli Troiano e Filippo De Filippis Delfico
È
dunque «sulla scorta di una tradizione familiare assai solida
che i fratelli De Filippis Delfico maturano la loro adesione ai
principi liberali, la condanna al despotismo borbonico,
l’aspirazione all’unità nazionale. È il già maturo Trojano (era
nato nel 1821) a figurare tra i sottoscrittori del
Manifesto-invito dello "Spettatore dei destini italiani" (un
nome che era insieme un programma ideale e politico) che
invitava nella primavera del 1848 a combattere contro gli
austriaci; disegno che mise in pratica di lì a poco accorrendo
volontario in Lombardia nella prima guerra di indipendenza. È
ancora Trojano, col giovane fratello Filippo (era nato nel
1827), insieme a Valerio Forti e Antonio Tripoti ad organizzare
la manifestazione di Città Sant’Angelo: in occasione della festa
patronale che tradizionalmente si teneva nella piccola chiesa di
campagna che ancor oggi dal crinale del Pennino guarda Teramo, i
giovani patrioti lì convenuti il 2 ottobre 1848 manifestarono
apertamente il loro entusiasmo per la notizia della sollevazione
di Vienna, cantando inni patriottici e inneggiando alla Carta
Costituzionale che, sebbene ancora vigente, era stata già messa
in mora dall’atteggiamento normalizzatore e sempre più
reazionario assunto da Ferdinando II. Sono questi i fatti che
dovevano costare ai fratelli Delfico il processo, l’accusa di
aver costituito un improbabile governo provvisorio, dio aver
provocato manifestazioni sediziose e disordini per i quali
addebiti fu richiesta le pena di morte per essi e per altri
trenta cittadini […] ai quali fu poi inflitta la pena dei ferri
variante tra gli otto e i venti anni» (24).
È
solo nel 1860, ovvero dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia,
che i fratelli De Filippis Delfico poterono rientrare a Teramo,
dove parteciparono come protagonisti alle vicende rivoluzionarie
che portarono all’unificazione nazionale. In particolare Troiano
fu «tra i più autorevoli rappresentanti dello schieramento
democratico più avanzato per il quale la spedizione garibaldina
avrebbe dovuto naturalmente avere conclusione con la liberazione
di Roma e di Venezia» (25).
Il 10 settembre 1860
tenne un incontro nella sua villa di Montesilvano, insieme a
Clemente De Cesaris e Ariodante Mambelli, per adombrare un moto
insurrezionale volto alla formazione di un governo provvisorio
retto, nel nome di Vittorio Emanuele, dalla dittatura di
Garibaldi. Tale progetto venne interrotto dalla notizia
dell’entrata di Garibaldi a Napoli e dalla nomina di Troiano,
ricevuta dal Comitato di Azione di Napoli, a "prodittatore del
Primo Apruzzo Ultra" insieme a Pasquale De Virgilii e Clemente
De Caesaris.
Divenne poi
comandante della Guardia Nazionale di Teramo e con il grado di
maggiore prese parte all’assedio della fortezza di Civitella del
Tronto. Il primo giugno 1861 il Ministro della Guerra lo nominò
Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro e nel 1864 fu tra i
firmatari dell’Indirizzo a Giuseppe Garibaldi, inviato dalla
Democrazia Abruzzese. Nel 1867, insieme al fratello minore
Filippo e ad altri personaggi, organizzò i Garibaldini del
Teramano. Nel 1870 sposò a Loreto Bianca Casamarte Treccia di
Campotino, da cui ebbe tre figli: Marino (1871-1945), deputato
al parlamento e sindaco di Montesilvano tra il 1902 e il 1910;
Luciano (1873-1954), anch’egli sindaco di Montesilvano nel
decennio 1914-1924; Beatrice (1876-1957).
Nel 1880 Troiano De
Filippis Delfico, che ricoprì molteplici cariche (26) sia nella
natia città di Teramo che a Montesilvano – scelta come
residenza nel 1869, in occasione della spartizione dei beni del
padre Gregorio (27), e dal 1876 come definitiva sede dell’intera
famiglia – raggiunse il titolo più prestigioso: venne eletto
Senatore del Regno. Nello stesso anno venne eletto sindaco di
Montesilvano.
Ugualmente Filippo De
Filippis Delfico, massone e venerabile della loggia di Teramo
(28), almeno fino alla realizzazione dell’unità nazionale, «fu
nella provincia il referente autorevole dell’azionismo
garibaldino: ne dà conto un’indefessa attività di organizzazione
delle iniziative che localmente e nazionalmente si intrapresero
per la liberazione di Roma e Venezia e che trovarono il culmine
nel 1867 quando fu Filippo ad adoprarsi con l’aquilano Pietro
Marrelli a radunare denari, armi e uomini per la sfortunata
campagna dell’Agro Romano finita con la sconfitta di Mentana.
Più volte consigliere comunale e assessore a Teramo, prestò il
nome autorevole ad ogni iniziativa che ricordasse la storia
recente del Risorgimento nazionale e ai sodalizi che sul piano
civile e politico esprimessero il carattere laico dello stato
unitario, il progresso civile e sociale della nazione, la
crescita culturale del popolo italiano; cosicché l’antico
palazzo di famiglia e i giardini che lo circondavano divennero
in tante occasioni il luogo fisico ove manifestare il risveglio
civile della città e della provincia teramana» (29). Anche
Filippo rivestì numerosa cariche pubbliche: fu Presidente della
Fratellanza artigiana e tra i fondatori della Banca popolare di
Teramo.
Dall’unione tra Filippo De Filippis Delfico e Cleomene Fallocco
nacquero cinque figli: tra di essi è nota soprattutto Vinca, che
viene ricordata soprattutto per la bellezza, della quale furono
affascinati il poeta D’Annunzio (30) ed il pittore Michetti
(31).
I De Filippis
Delfico a Montesilvano e le proprietà della famiglia
Come precedentemente
affermato, la famiglia Delfico fu spesso presente a Montesilvano
già prima di trasferirvisi definitivamente (1871). Come
Melchiorre Delfico (1744-1835) era solito venire nel paese per
riposare «tra le mura del "Colle"» (32), così Gregorio De
Filippis Delfico preferì «alla sua città di Teramo la solitudine
di Montesilvano» (33). La scelta del piccolo paese come luogo
prima di villeggiatura e poi di residenza del nobile casato
segnò favorevolmente una cittadina culturalmente e socialmente
ben più arretrata della natia Teramo. Se Montesilvano aveva
rappresentato per la famiglia la località privilegiata per i
soggiorni estivi, nonché un territorio "fertile", dove ampliare
ed accumulare i beni fondiari, la necessità di curarli e volontà
di aumentarne il valore comportò delle scelte volte al generale
miglioramento del paese, che venne così coinvolto da un forte
impulso innovatore e modernizzatore.
Montesilvano negli anni cinquanta del XIX secolo è descritta
come un tristo villaggio (34), isolato dal paese
vero e proprio, Montesilvano Colle, a causa della mancanza di
strade rotabili; tra le "comodità pubbliche" (35) si
annoveravano soltanto «due farmacie, due mulini, tre taverne,
tredici trappeti, due forni, due macelli e quattro fontane»
(36).
Dei due mulini citati
almeno uno doveva essere di proprietà Delfico. Si trovava lungo
l’attuale via Danubio, dove attualmente c’è un ristorante, ed
era alimentato da un "formale", ovvero da una deviazione del
fiume Saline che permetteva all’acqua di raggiungere il mulino.
L’altro potrebbe essere identificato con il mulino, attestato
dalla fine del XVII secolo (37), posto dove attualmente c’è il
cavalcavia dell’autostrada, nei pressi di Terra Rossa di
Cappelle.
È
noto che per lo sviluppo dell’agricoltura di Montesilvano fu
fondamentale l’operato di Gregorio De Filippis Delfico, che
modernizzò le pratiche agricole che da cieche usanze si
tramutavano in fatti mossi e guidati da sane regole di ben
intesa rurale economica (38). In particolare al conte si
dovette la bonifica della zona paludosa intorno al fiume Saline,
fonte di gravi malattie per la popolazione: egli si metteva
con un coraggio che non è a dire all’opera del rasciugamento, e
per vario tempo lottò, con quella costanza che vuole veramente,
col fiume, il quale spesso e dilagando ed abbattendo e sterpando
e schiantando, portava via quant’era di fatighe dure nel
piantare e nell’arginare. Ma il conte voleva veramente, cosa non
facile quaggiù, né così quotidiano o spesso come si crede; e di
nuovo all’opera: e ne venne quel che quaggiù è immancabile, la
riuscita felicissima della volontà perdurante. Dove era marese,
o letto del fiume tutto pietra rena e melma, ora tramutato e
ridente di aspetto di campi, fa prode ogni specie di coltura, e
sono meglio di trecento tomoli di terreno. Sono scomparse le
idropisie, le perniciose, ed a que’ cittadini arride così
florida la sanità, che se ne togli le febbri gastriche e le
pleuritici, che più di tutte malattie affaticano, si vive colà
prosperosamente, e la vita tocca ne’ più la pienezza degli anni
(39).
Anche Marina Delfico, nel 1853, si era adoperata per far
realizzare una strada che collegasse Montesilvano Colle alla
zona della marina: la Marchesana Delfico permetteva che sopra
i suoi terreni passasse [una strada], e nulla chiedeva: altri
proprietarii, seguendo l’esempio longanime, davano pure alla
strada il passare sopra i fondi proprii, e nulla volevano
(40).
Il
conte Troiano, divenuto sindaco di Montesilvano nel 1880, vi
fonda la Società Nazionale Dante Alighieri (41), vi istituisce
la Cassa Prestiti (1881) e dal 1883 si adopera, senza successo,
per far trasferire la sede municipale da Montesilvano Colle alla
zona della marina (42).
Nonostante, a parere
del Galli, i provvedimenti amministrativi adottati dal conte «si
contano sulle punte di una mano» (43) e furono dettati da
esigenze personali (44), egli anticipò la tendenza allo sviluppo
della zona costiera del paese, pienamente in atto, a partire
dalla costruzione della stazione ferroviaria (1863), durante gli
anni dell’amministrazione del figlio di Troiano, Marino De
Filippis Delfico. L’attenzione della famiglia nei confronti
della zona costiera era già evidente nella scelta di dimorare
non più nel palazzo "storico" del casato, situato nella piazza
principale di Montesilvano Colle, ma di costruire le loro
residenze nelle proprietà alla marina. Nella seconda metà
dell’Ottocento, nella località detta Salino, lungo l’attuale
corso Umberto I, che corre parallelamente alla riviera, sorse la
ben nota villa di Troiano, andata distrutta per motivi ad oggi
sconosciuti (attualmente sul suo sito vi sorge l’Istituto di
Credito San Paolo). Probabilmente fu proprio in tale villa,
edificata forse intorno alla metà del secolo, che il conte
Troiano tenne, il 10 settembre 1860, la famosa riunione con
Clemente De Caesaris e Ariodante Mambelli. In essa, secondo
Galli, «fino almeno al 1960 si potevano ammirare i sereni
azzurri e oro delle decorazioni» (45): di queste ultime,
tuttavia, a differenza dell’edificio, non è rimasta alcuna
documentazione fotografica.
Sulla stessa strada,
ma nella contrada detta Cavato nuovo, sorgeva anche la villa del
fratello Filippo, oggetto del presente studio, e nella zona
della marina venne ad abitare anche la sorella Rosa, moglie di
Giovanni Madonna (che sarà sindaco di Montesilvano tra il 1899 e
il 1902), così come alcuni dei figli sia di Troiano che di
Filippo.
Certamente, anche grazie allo sviluppo della rete ferroviaria
(46) e alle attività in campo agricolo di Leopoldo Muzii (47),
volte a favore dello sviluppo della viticoltura, sorge negli
ultimi decenni del secolo Montesilvano Marina, che conoscerà un
rapido sviluppo anche economico, con il conseguente isolamento
dell’antico centro abitato della zona collinare. In Abruzzo ciò
accadde non solo a Montesilvano marina, ma anche a Silvi marina,
Castellamare Adriatico, Francavilla al Mare e Roseto: «tutti
questi centri dalle colline erano scivolati in basso per
raccogliersi in centri importanti gravitanti attorno alle
stazioni […] la ferrovia trasformò la mentalità, la cultura
economica, sociale, civile, e l’ambiente di tutte le aree della
costa» (48).
In
questo clima di crescita ed espansione di Montesilvano marina,
ma anche di scarsa tutela dei suoi valori paesaggistici ed
ambientali, si colloca l’amministrazione del sindaco Marino De
Filippis Delfico, figlio di Troiano e Bianca Casamarte, che
ereditò dal padre il titolo di conte. Marino, nato a Teramo nel
1871, studiò Legge all’Università di Roma, dandosi precocemente
alla politica. Sindaco di Montesilvano dal 1901 al 1910,
realizzò alcune importanti opere: fece installare le prime
lampadine elettriche, a filamento di carbone, per
l’illuminazione del paese e sistemò la rete idrica.
Probabilmente animato dalla stesso impulso alla modernità Marino
si rese responsabile di una grave perdita per la storia di
Montesilvano: nel 1902 decise di smantellare gli ultimi resti
del castello medievale che, in cattivo stato di conservazione,
ancora sorgeva nel centro storico della cittadina, nell’attuale
piazza Giardino. Si trattò di una vera e propria damnatio
memoriae per la realizzazione della quale si impegnarono due
anni di lavoro (1902-1904).
Saranno proprio i figli di Troiano, Marino e Luciano De Filippis
Delfico (che, come il padre e il fratello rivestì la carica di
sindaco tra il 1914 e il 1924) nel 1939, a recidere
definitivamente i legami con Teramo, donando al Comune «la loro
nuda proprietà del palazzo con tutti i diritti dagli stessi
rappresentati sulla biblioteca allogata nel palazzo medesimo»
(49), e vendendo allo stesso ente «l’usufrutto del palazzo in
Teramo e di cui col presente atto è stata donata la nuda
proprietà […]; la piena proprietà dei due giardini siti ad
oriente e a mezzogiorno del palazzo sopra descritto con tutte le
costruzioni ivi esistenti» (50).
Nella "divisione eredità in transazione" registrata il 3 gennaio
1908 (51), basata sul testamento olografo (52) di Filippo De
Filippis Delfico, morto a Montesilvano il 10 gennaio 1907, sono
elencate tutte le sue proprietà, sia a Montesilvano – quasi
esclusivamente nella zona della marina – che in località vicine
(quali Chieti e Pescara, nonché parte dello storico palazzo
Delfico di Teramo). Si tratta non solo di un numero davvero
elevato di abitazioni, ma anche di una rilevante quantità di
azioni in denaro che Filippo possedeva presso la Banca Mutua
Popolare di Teramo, il Sindacato Agricolo e Consorzio
Antifilosserico di Città S. Angelo ed in altre Banche di Città
S. Angelo. Se dunque Filippo assume cariche politiche meno
altisonanti rispetto a quelle assunte dal fratello Troiano,
dovette giocare un ruolo non meno importante dal punto di vista
della quantità di possedimenti a lui interstati. Per quel che
concerne Montesilvano, a Filippo De Filippis Delfico risultano
intestati, al momento della morte, un alto numero di poderi (tra
cui il "podere D’Annunzio"), casali, ville, casini di
villeggiatura, "case rustiche", "case a creta", case coloniche,
vigne, boschi, terreni messi a coltura e non, piantagioni, oltre
allo storico mulino Delfico. Tali proprietà si trovavano nella
contrade allora dette Alberacci, Cavata Nuova, Mazzocco, San
Francesco Mitricone, Salino, Fonte d’Olmo e Fosso Nuovo,
Fontemuro, Fosso Valocco, e Tesoro.
Notizie su
Villa Delfico a Montesilvano Marina
La divisione dei beni
citata non lascia dubbi sull’identificazione della villa
posseduta da Filippo De Filippis Delfico, e data in eredità alla
figlia primogenita Diomira, con l’attuale villa che, in cattivo
stato di conservazione, sorge nei pressi della strada Nazionale
di Montesilvano Marina. Essa, di pianta pressoché quadrata, si
imposta su due piani, ed ha alle spalle boschetto confinante con
l’attuale "strada parco".
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Villa Delfico
(Montesilvano Marina), lato anteriore con portone
d'ingresso |
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Villa Delfico
(Montesilvano Marina), lato posteriore |
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La coincidenza con la
villa è certa per il fatto che la "divisione" riporta per tutte
le proprietà, oltre ad una breve descrizione e all’indicazione
dei confini di allora, i riferimenti catastali dei comuni di
appartenenza.
Nel documento si legge: «Che Esso Signor Filippo De Filippis
Delfico con testamento olografo in data diciannove marzo
Millenovecentosei depositato presso il Notaio Signor Camillo De
Stephanis il 16 Febbraio Millenovecentosette, registrato in
Città S. Angelo il Venti detto mese ed anno al numero
Duecentoottantotto, lasciò al titolo di prelegato alla figlia
primogenita Signorina Diomira il casino di sua abitazione in
Montesilvano col terreno e fabbriche annessi, mobilia ed ogni
altra cosa che vi si trovava, e la vigna di Colle Casacco col
relativo fabbricato e bosco […] Riconoscono preliminarmente che
tutti i beni ed effetti mobili, la mobilia, le derrate, grano,
vino, olio, biancheria e quant’altro si trovava nel casino di
abitazione del defunto genitore in Montesilvano e nelle
fabbriche annesse debbano essere attribuite alla Signorina
Diomira De Filippis Delfico. […] alla Signorina Diomira De
Filippis Delfico per le sue spettanze che risultano come sopra
del valore di lire Sessantanovemila duecentocinquantadue e
centesimi novantuno si assegnano: a) la villa in Montesilvano
Spiaggia alla Contrada Alberacci e Cavata Nuova, composta di un
terreno con casino di abitazione e di altri fabbricati annessi,
compresi tutti i mobili e i mobilia nella villa esistenti
all’apertura della successione. Il terreno confina nel suo giro,
procedendo da est verso sud con Cilli Domenico e fratelli,
Castellani, De Filippis Delfico Rosina in Madonna, Strada
Provinciale Adriatica, Rapagnetta Raffaele e di nuovo Cilli
Domenico e fratelli. Il Casino e gli altri fabbricati restano
ubicati all’interno del predetto terreno. Questo è annotato nel
catasto rustico di Montesilvano all’articolo
ottocentocinquantasette in testa a De Filippis Delfico Filippo
fu Gregorio, Sezione B Contrada Alberacci numero
trecentocinquantadue, trecentocinquantadue bis, pel reddito
imponibile di lire francesi diciassette e centesimi
trentaquattro pari a lire italiane sedici e centesimi
settantatre. I fabbricati sono riportati nel catasto urbano di
detto Comune alla partita quattrocentotrentasei in testa alla
Ditta come sopra, Contrada Cavata Nuova, con le denominazioni
casino di villeggiatura piani due, vani diciannove per
l’imponibile di lire quattrocentododici e centesimi cinquanta;
rimessa e scuderia piano uno, vani due, per l’imponibile di lire
trenta» (53).
La datazione della
costruzione della villa è emersa grazie alla ricerca condotta
all’Archivio di Stato di Pescara. Il Catasto dei fabbricati,
Comune di Montesilvano, Registro delle partite, riporta alla
Partita n. 436 la Scheda di dichiarazione del bene, denominato
«Casino di villeggiatura» intestato a Filippo De Filippis
Delfico fu Gregorio, datata 15 giugno 1884. Tale bene, citato
come aventi 2 piani e 23 vani e «con annessi Rimessa e scuderia»
di un piano e due vani, si trovava nella zona di Montesilvano
chiamata "Cavato Nuovo" e, tra le annotazioni, è detto essere
una «nuova costruzione». Il 1884 è dunque, allo stato delle
ricerche, il terminus ante quem per la costruzione della
villa.
Nella revisione della
Scheda di dichiarazione, datata 1890, il "casino di
villeggiatura" è citato allo stesso modo, tranne che per il
numero dei vani: su due piani non si dispongono più 23 vani ma
19. Probabilmente nei 6 anni trascorsi tra il 1884 ed il 1890
vennero ampliate alcune stanze.
Un’altra interessante
informazione è data dalla partita n. 953, del 31 agosto 1907. La
villa, a seguito della morte di Filippo De Filippis Delfico è
intestata alla figlia, rimasta nubile, Diomira, e lasciata, ma
solo in usufrutto, anche a Virginia (sposata Guadagni). La
scheda di dichiarazione risulta intestata a tutti i figli di
Filippo fino al 1908, anno della definitiva divisione dei beni
paterni.
Nello stesso Catasto
la villa si ritrova, infine, in data 14 settembre 1929, alla
partita n. 1504. Dalla dichiarazione dell’intestazione del bene
si evince che esso passa dalle usufruttuarie Virginia De
Filippis Delfico maritata Guadagni, citata con la figlia Pia
Guadagni, all’Ospedale dell’Annunziata di Sulmona (si tratta
della Casa Santa dell’Annunziata, un ente morale con sede a
Sulmona), risultandone effettivo proprietario.
Diomira, essendo
molto malata, decide di lasciare, in occasione della sua morte,
avvenuta il 28 luglio 1928, il "casino di villeggiatura" in
usufrutto alla sorella Virginia, ma dispone che la proprietà
passi alle suore dell’Annunziata di Sulmona.
Il testamento, che
Diomira affida ad un tale Giuseppe Micca "impiegato di Sulmona",
è conservato all’Archivio Distrettuale Notarile di Teramo (vol.
2239, notaio Vincenzo Ranalli di Città S. Angelo, atto del 20
novembre 1928) e non lascia alcun dubbio circa l’individuazione
della proprietà, ancora composta del casino, disposto su due
vani e suddiviso in 19 ambienti, e di due barchesse, oggi
perdute, destinate a scuderia e rimessa.
Nel testamento si
legge: «notte dal 25 al 26 luglio malatissima di corpo ma
sanissima di mente aggiungo alle mie disposizioni consegnate a
don Gaetano Agostinone quanto segue: la mia Villa subito appena
dopo goduta in usufrutto da mia sorella Virginia e nipote
Guadagni passerà in possesso dello Spedale civile di Sulmona
perché fu l’unico Spizio che mi avrebbe accolta con vera carità
e disinteressatamente ciò nessuno allora ha fatto specie Teramo
volle fare!! Esso se accetta, istituendo in questa villa un
pronto soccorso od un asilo infantile. E le mie benedizioni per
la sua vera carità saranno le più ardenti Diomira De Filippis
Delfico da questa villa di Montesilvano spiaggia notte da 25 al
26 novecentoventotto".
Il testamento
medesimo è stato vidimato inoltre in calce dal richiedente [il
fiduciario Giuseppe Micca], dal sig. pretore, dai testimoni e da
me notaio ed è rimasto alligato al presente atto sotto lettera
B. sottoscritto alle ore 12».
La pianta più antica
reperita raffigurante la villa nel contesto urbano di
Montesilvano risale al 1937 (54): è interessante notare che
compaiono ancora i due corpi di fabbrica che costituivano le
barchesse, andate perduti.
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Archivio di Stato di Pescara,
Foglio di mappa, Comune di Montesilvano, n. 7, matrice 1937
(Autorizzazione Prot. n. 2529/28.34.07 del 17.09.2007,
per concessione del Ministero Beni e Attività
Culturali) |
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Archivio di Stato di Pescara,
Foglio di mappa, Comune di Montesilvano, n. 7, matrice 1937
(part.
particelle 218; 219; 220)
(Autorizzazione Prot. n. 2529/28.34.07 del 17.09.2007,
per concessione del Ministero Beni e Attività
Culturali) |
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La
storia più recente della villa e dei fabbricati annessi risulta
di difficile ricostruzione per la mancanza di documenti ad essa
relativi, ad eccezione di una scrittura privata, datata 1962,
reperita presso l’Archivio di Stato di Sulmona. Si tratta di un
contratto di affitto, stipulato tra la Casa Santa
dell’Annunziata di Sulmona e Pia Guadagni – nipote di Diomira De
Filippis Delfico e che, nubile, viveva ancora nella villa
lasciatale in usufrutto dalla zia – relativo a cinque stanze di
villa Delfico, da destinarsi «per il funzionamento della colonia
marina per le Orfanelle ricoverate nel dipendente Orfanotrofio
di S. Cosimo» (55). Il contratto prolungava di altri tre anni la
stessa destinazione d’uso avviatasi almeno sei anni prima e
stabiliva le condizioni cui si sarebbero dovute adeguare le
parti coinvolte: «a) l’atrio d’ingresso, le scale ed il vano a
primo piano che affaccia sulla strada nazionale tramite il
balcone centrale resteranno di uso comune e potranno, quindi
essere liberamente usati anche dalla Sig.na Pia Guadagni; b)
l’uso dei cinque vani ed accessori deve essere limitato al solo
periodo estivo (mesi di giugno, luglio, agosto e settembre)
mentre negli altri mesi rimarranno nella piena disponibilità
della Sig.na Pia Guadagni, che potrà liberamente utilizzarli; c)
è data la facoltà alla casa Santa dell’Annunziata di Sulmona di
lasciare, al termine della colonia, nella villa i mobili e tutti
gli oggetti di arredo, a condizione, però, che essi vengano
raccolti in una o al massimo due stanze in maniera da lasciare
libere le altre stanze; d) per l’uso dei locali, con le modalità
sopra stabilite, e per i periodi sopra precisati, la Casa Santa
dell’Annunziata dovrà corrispondere alla Sig.na Pia Guadagni la
somma annua anticipata di L. 60.000 (sessantamila) da versarsi
ciascun anno prima dell’inizio della colonia; e) il consumo di
luce e di acqua che verrà effettuato dall’Ente per la colonia
durante tutto il periodo estivo rimarrà a completo carico della
Casa Santa dell’Annunziata ed il relativo importo dovrà essere
versato entro dieci giorni del termine della colonia; f)
qualsiasi riparazione, accomodo od anche semplice opera di
manutenzione ordinaria occorrente per il migliore od anche
normale uso dei locali, dovrà essere eseguito a totale carico
della Casa Santa dell’Annunziata senza diritto alcuno di
rimborso o di ritenzione; g) l’uso dei locali dovrà essere tale
che non si arrechi disturbo alla Sig.na Guadagni ed ai suoi
parenti, per cui sarà compito delle suore e delle sorveglianti
evitare che le bambine siano lasciate senza controllo o facciano
eccessivo baccano; h) l’impiego circa l’uso dei locali è di tre
anni, a partire dall’anno millenovecentosessantadue, con
l’intesa che, ove il rapporto non sia disdetto da una delle
parti entro il mese di ottobre del terzo anno, esso si intenderà
rinnovato per un altro anno ed alle medesime condizioni» (56).
Evidentemente la Casa
Santa dell’Annunziata attese la morte dell’ultima discendente
diretta di Diomira De Filippis Delfico per disporre pienamente
della villa ed anche per la sua trasformazione in scuola, mentre
l’abbattimento delle due barchesse, forse già da tempo
abbandonate, potrebbe cadere tra gli anni sessanta e settanta,
quando un’ondata di "modernizzazione" invade anche il centro
storico di Montesilvano colle, costretto a scellerati
"restauri". |