"Da che vi furono gli uomini vi fu sicuramente la morale, e dal tempo
in cui le società ebbero degli individui capaci di meditare e di
scrivere, i rapporti da’ quali sorge la morale incominciarono ad essere
particolarmente studiati e considerati, e sotto varie forme e maniere ne
furono pubblicati i risultati. Così sotto l’aspetto di apologhi o di
favole, di proverbi, di parabole, di enimmi, di massime, e finalmente di
trattati, ed in scientifiche forme la morale si vide successivamente
comparire" (1).
"La famiglia è una piccola società e la società non consistendo tanto
nella riunione di più persone in un luogo, quanto nel riunire le azioni
di più individui ad uno stesso fine" che "deve essere la conservazione
ed il migliore essere di questa società, e perciò ciascuno deve dal
canto suo contribuire a questo fine" sia con le azioni sia con l’affezione
e l’amorevolezza, che si sviluppano in seno alla famiglia (2).
Questi pensieri contenuti in due frammenti manoscritti inediti di
Melchiorre Delfico indicano quale sia l’ambito nel quale inserire il suo
giovanile "Saggio filosofico sul Matrimonio", come del resto è
affermato esplicitamente in una breve introduzione senza titolo,
premessa all’opera stessa. Il tema della famiglia rientra nell’ambito
della filosofia morale e nello stesso tempo fa parte della "situazione
civile, alla quale in varia maniera tutti gli uomini partecipano".
Delfico affronta l’argomento con spirito libero da ogni chiusura
preconcetta, come si conviene ad un convinto illuminista, consapevole
però che il suo discorso andrà ad urtare contro pregiudizi talmente
radicati da essere "passati in assioma", diventati quasi delle verità
inconfutabili.
La sua analisi vuole essere oggettiva e spassionata, dettata non
dall’interesse personale, ma dal desiderio di verità e basata
sull’osservazione della realtà. Egli si propone di difendere la
famiglia, che considera "uno dei più preziosi doni della benefica mano
della natura" (3) e per farlo dice di non voler usare l’arte
dell’eloquenza con i suoi cavilli, ma unicamente la ragione.
Il punto di partenza dell’indagine riguarda la genesi della famiglia in
generale e su quali elementi si fonda. Nella famiglia si sviluppano
sentimenti quali l’amorevolezza e l’affezione, che ne sono
anche la base e rappresentano il presupposto del primo bene della
famiglia stessa, cioè la pace e la tranquillità. All’interno di essa
ciascun componente ha un ruolo e una pari dignità poiché "nell’unione
ciascuno concorre allo scopo comune ma non allo stesso modo" (4) .
Delfico si propone di dimostrare che la nascita della famiglia è dovuta
ai bisogni propri dell’uomo, collegando così il suo discorso alle
concezioni etiche di stampo utilitarista e materialista, professate da
molti intellettuali europei. In tale prospettiva i sentimenti vengono
distinti in piacevoli o dolorosi: gli uomini preferiscono i primi e
cercano di sfuggire ai secondi; ogni piacere è legato alla soddisfazione
di bisogni, che sono naturali, ma si ampliano, migliorati o peggiorati,
nella società (5). Inoltre i bisogni possono essere fisici o morali,
anche questi "dipendenti dalla natura , e non dall’umano capriccio", e
uno di questi è l’amore.
L’uomo ha bisogno d’amore così come ha bisogno di compagnia, perché i
suoi numerosi e differenziati bisogni solo così possono trovare "una
maggiore quantità di piacere per soddisfarli" (6). L’autore chiarisce
che la molteplicità dei bisogni ha generato anche la possibilità
dell’errore e del male. E’ importante questo chiarimento perché nel
discorso del Saggio vengono confrontati e contrapposti due diversi modi
di ricercare la felicità: quello del libertino, che ripudia ogni legame
ed impegno, e quello del matrimonio in cui si realizza la continuità e
la stabilità dei rapporti affettivi. Delfico vuole in via preliminare
scalzare le superstizioni radicate secondo le quali il matrimonio sia
un’istituzione negativa, che toglie all’uomo la libertà, mentre il
celibato costituisce "il più degno omaggio che si facesse alla feconda
natura" (7); per questo conduce una sottile analisi che, pur servendosi
dell’osservazione e del ragionamento, assume come nucleo centrale il
sentimento dell’amore.
Gli affetti che uniscono le persone nascono da bisogni e piaceri,
l’attaccamento si sviluppa fin dalla più tenera età in base alle
risposte che l’individuo riceve dall’ambiente: il bambino risponde con
il sorriso e le carezze a tutti coloro che soddisfano i suoi bisogni e
lo aiutano "nel suo stato di debolezza". Nell’età adulta sorgono poi
altri "sentimenti che accrescono la vita" anche se spesso non
accompagnati da un senso di malinconia o di dolore: è l’amore che genera
varie emozioni e sottomette il cuore umano "alla più dolce legislazione"
da cui questo non si potrà più liberare. Delfico usa l’espressione
"quando si ama, e si ama bene" (8) intendendo che il sentimento d’amore
può dar luogo a uno stato di piacere quando la forza della passione è
moderata da altri sentimenti e soprattutto dalla ragione, ma se la
passione è smodata (senza moderazione) può diventare nociva
all’individuo e alla società. La prima specie di amore è designata con
il termine di sentimento, che fugge i piaceri immediati e violenti, e
ricerca invece piaceri vari e temperati che assicurano la felicità;
insomma l’amore è visto come un sentimento reale e naturale: la natura
nel darci dei bisogni richiede che questi siano soddisfatti.
Il discorso prosegue facendo riferimento alla società settecentesca,
piuttosto libera e disinibita, che l’autore doveva conoscere bene: i
bisogni naturali generano piaceri naturali, che possono essere
soddisfatti anche senza contrarre legami duraturi, anzi per alcuni "il
vincolo stretto e innaturale del matrimonio" rappresenta un sacrificio;
e questo non lo dicono non solo gli uomini ma anche le donne.
Ma chi sostiene che il matrimonio priva l’individuo della libertà, cosa
intende con questa parola? Se la libertà è il potere di fare una cosa,
essa si risolve nell’agire, la possibilità si attua nell’azione
concreta; ma se l’uomo non si determinasse mai tramite l’azione, non
realizzerebbe la sua libertà; dunque "il miglior uso della libertà è di
poterla perdere per rendersi felice" (9). Infatti, come nella società
il passaggio dallo stato di natura a quello sociale comporta un limite
alla libertà originaria, al fine di mantenere la pace e la sicurezza;
allo stesso modo l’individuo che limita la propria libertà nel
matrimonio, si impone delle obbligazioni, ma a fin di bene: "perdere
questa libertà non significa altro, che il darsi gli ostacoli al male,
il moderare gli eccessi" (10) e perciò di renderci felici insieme ad
altri, in altre parole si perde una libertà per conquistarne una
migliore. Occorre poi distinguere il tipo di dipendenza che si instaura:
quella che deriva da cattive leggi è senz’altro negativa perché deriva
dal pregiudizio e dall’errore, quella che deriva dalla natura è buona e
utile, perché basata su rapporti comuni a tutto il genere umano in ogni
tempo e in ogni luogo..
Il discorso di Delfico si incardina intorno all’amore, inteso come
l’elemento che non solo non contrasta la ragione, anzi è il sentimento
che armonizza i piaceri rendendoli continui nel tempo e armonizzandoli;
in sostanza l’amore si identifica con "la sequela degli stessi
sentimenti che nascono da rapporti costanti" (11) Il filosofo constata
che spesso si vedono delle unioni che naufragano, ma ciò secondo lui non
dipende dalla natura del sentimento, ma da un falso disinganno delle
passioni o da una educazione corrotta. Il sentimento che nasce da una
continua ricerca di sfuggire alla noia e cambia oggetto continuamente
non è amore, ma qualcosa di diverso, quasi una degenerazione dell’amore,
come si evince dagli effetti: il vero amore è "un sentimento naturale
modificato dalla società", che genera piacere; mentre se ci si allontana
dallo stato naturale e si segue una libertà assoluta l’individuo affida
la sua felicità a vincoli superflui, derivanti dalle leggi, e
all’educazione "che guasta i cuori rendendoli finti e disabusati". I
libertini che decantano i piaceri dell’amore libero conducono una vita
priva di naturale affezione, in solitudine, inutili a se stessi e
agli altri, le loro sono vite che "da un falso brillante incorniciate
celano degli errori funesti per l’umanità" ; viceversa colui che cerca i
piaceri del matrimonio, colui che ha messo ordine nelle sue idee e nei
suoi sentimenti, prepara per sé un futuro in cui anche in età avanzata
potrà godere di "una feconda messe di utili e sensibili piaceri" e si
presenterà amabile e ricco "di tratti piacevoli e virtuosi". Tali
affermazioni richiamano la figura di don Giovanni: l’uomo estetico che
vive nell’istante, che vive una vita superficiale, dedito a numerose
avventure, passando dall’una all’altra senza mai trovare una durevole
soddisfazione (12). Il filosofo teramano ritiene che la natura impone
"leggi certe ed invariabili" sia sul piano fisico che sul piano morale,
perciò, dato che il fine dell’agire morale è la ricerca della felicità,
per capire come l’uomo può raggiungerla, bisogna studiare la natura
umana per individuare cosa spinge l’individuo a vivere in società.
Facendo proprie le concezioni classiche e giusnaturalistiche sulla
naturale socievolezza dell’uomo, egli sostiene che l’individuo è spinto
a vivere in società dalla natura; ciascuno adopera le proprie energie
per raggiungere il proprio benessere, ma non le spende tutte: il
surplus di sensibilità produce l’amore, l’amicizia, e ogni altra
forma di affetto e attaccamento. ".. E’ questo soprappiù che ci fa amare
noi stessi negli altri, e che estende in una certa maniera la sfera
della nostra esistenza …Questa è la base, e il fondamento del
matrimonio, e questo ne forma la sua continuazione e perpetuità" (13).
Nel sentimento d’amore le relazioni fra due persone si moltiplicano,
formando un insieme di sentimenti su cui si fonda la felicità. In tal
modo si modifica anche la sensibilità che è alla base del piacere e del
dolore. Perciò il segreto della felicità consiste non nel dispendio di
energie e di sensibilità del libertino, ma nella "giusta economia della
sensibilità", che non proietta all’esterno l’individuo, ma armonizza in
lui sentimenti gradevoli, piaceri e immaginazione. Al contrario coloro
che hanno "consumato la loro sensibilità, sono obbligati a prenderne la
maschera, e quindi si forma un traffico di finti sentimenti" che stanno
alla base della galanteria. Il libertino è qualcuno che non sa amare,
che non prende su di sé i vincoli e per questo non gli costa nulla
romperli.
Alcuni filosofi non riconoscono il valore del sentimento dell’amore e vi
sostituiscono l’amicizia, come una specie di surrogato, ma si tratta di
sentimenti completamente diversi e difficilmente l’amicizia produce
quello che Delfico definisce attaccamento stabile e vero.
L’uomo ha bisogno di amare ed essere amato, cioè di compagnia. L’amore è
un elemento morale necessario alla vita come l’aria; ora, l’amore può
essere di due specie, quello coniugale e l’amicizia. Ma sebbene
l’amicizia sia molto importante per l’individuo, non è però sufficiente
a renderlo felice; essa è difficile da contrarre e da mantenere perché
si basa solo sulla virtù.
Vi è una sorta di affezione che assomma i tratti dell’amore e
dell’amicizia, compendia la solidità e la delicatezza ed è alla base di
un insieme di sentimenti che costituiscono l’affezione coniugale.
Nell’amore non vi è solo l’elemento morale, ma anche quello fisico: la
virtù si accompagna al piacere, poiché in esso si trovano sensazioni e
sentimenti gradevoli, che nascono tra i coniugi. Ottimista, ma anche
realista, Delfico riconosce che la felicità assoluta non è raggiungibile
, ma afferma che non può esservi nessuna felicità al di fuori dello
stato matrimoniale e della famiglia, e la famiglia è una forma di
società, che nasce per sopperire ai bisogni della natura umana e si
realizza in una unione che non solo garantisce i vantaggi propri della
società, ma si arricchisce continuamente di piaceri e virtù, così che
"si deve … riputare il più nobile e il più sacro legame dei cuori,
legame nel quale i doveri e le obbligazioni si trasformano nella più
delicata voluttà, che non produce la noia e non diminuisce il piacere".
Ma se non vi è la disponibilità ad accettare anche i faticosi doveri che
ne conseguono, allora vi saranno padri snaturati e figli privi di ogni
sentimento. Invece quando i doveri si accordano con i sentimenti, i
piaceri convergono verso la virtù, gli ostacoli sono superati e si
ottengono la pace e la tranquillità.
Un aspetto molto dibattuto è il ruolo dei sessi nel matrimonio. Sulle
evidenti differenze si basano i diversi punti di vista a proposito della
superiorità o inferiorità dell’uno rispetto all’altro. Le dispute hanno
generato "tante contraddizioni" e "tanti pregiudizi che ci allontanano
dalla verità, dalla ragione e dalla felicità" (14).
Se riflettiamo sull’origine delle qualità morali dell’uomo troviamo che
esse nascono unicamente dalle leggi e dall’educazione, e di conseguenza
sono queste la causa delle idee, dei sentimenti e delle passioni.
Secondo l’autore la legge deve perseguire innanzi tutto l’eguaglianza
giuridica, la quale consiste nella possibilità di esercitare la libertà
e i diritti che spettano per natura a ciascun individuo. Questa
concezione dell’eguaglianza è diversa rispetto a quella di Rousseau,
anche se entrambi condividono la condanna delle disuguaglianze sociali.
Ma per Delfico le disuguaglianze sociali si evidenziano anche
all’interno della famiglia, dove sono legate all’appartenenza sessuale:
uomini e donne sono differenti sul piano fisico, ma ciò non implica
differenze naturali, bensì solo sociali. "La femmina in ciò che non
riguarda il sesso è come un uomo. Ha gli stessi .. bisogni, le stesse
facoltà … è cosciente nella stessa guisa .. la figura è simile ed in un
qualunque rapporto vogliasi considerare non differiscono tra loro che
del più e del meno" (15)
Le leggi sono fondamentali poiché in esse si fonda il costume delle
nazioni. Ora, chi ha il potere determina il comportamento di chi è
soggetto, ma poiché nella società gli uomini detengono il potere,
bisogna riconoscere che le donne hanno lo stato e il ruolo che è stato
loro attribuito dagli uomini. Perciò quelli che vengono considerati
difetti o manchevolezze delle donne non sono altro che effetti dei vizi
degli uomini, anzi sono frutto di quella male intesa superiorità che
rende dipendente il sesso femminile.
Si rimprovera alle donne la frivolezza e il desiderio di piacere, ma se
esse fingono per rendersi gradevoli e nascondono le loro qualità
naturali, gli uomini devono accusare solo se stessi; infatti se essi si
fanno beffe della sincerità e dell’ingenuità, se giudicano sciocca
l’espressione della naturale sensibilità femminile, se le donne si
abituano a cambiare se stesse seguendo le mode, ciò dipende da antichi
pregiudizi rafforzati dal comportamento degli uomini.
Per il legame coniugale sono negativi anche altri elementi, come il
lusso. Il discorso sul lusso riguarda sia la società sia la famiglia,
infatti se lo consideriamo sotto l’aspetto economico esso non è un
incentivo alla produzione e alla ricchezza, come ritengono alcuni
economisti, ma fonte di ozio, frivolezza e corruzione, e in sostanza la
causa di profonde differenze fra gli uomini. La ricerca del lusso
secondo l’autore distoglie energie dalla cura per l’utilità pubblica.
Ma il lusso, oltre ad essere alla base delle frivolezze di buona parte
della popolazione, facendo "nascere nei cuori degli individui quell’inquietudine,
che proviene dalla mancanza di occupazione", provoca il disastro
dell’unione matrimoniale (16)
Quanto all’educazione tradizionale, essa è del tutto negativa in quanto
assoggetta i fanciulli all’obbedienza, rendendoli dipendenti dalla
volontà altrui, caricandoli di doveri inutili e sottomettendoli ad
esempi di dispotismo che essi in seguito prenderanno a modello e guida
del loro comportamento. Ciò vale anche nei confronti delle donne: gli
uomini mentre si convincono della loro superiorità credono che la
bellezza delle donne non possa accordarsi né con ragione né con la
virtù; sicché impongono ad esse fin dall’infanzia inutili doveri,
mentre trascurano di coltivare le loro naturali qualità positive e
invece incoraggiano quelle contraddittorie e "disgustose" che le
spingono verso il falso piacere della moda e del capriccio.
Ma la natura femminile, nonostante tali condizionamenti, dà buone prove
di sé; Delfico afferma "in mezzo alla generale corruzione dei costumi
io trovo più di buone mogli, che di buoni mariti" (17), poiché alla
cattiva educazione in loro fanno da contrappeso le virtù domestiche.
Alla base di tali virtù vi sono dei sentimenti molto vivi nelle donne,
tanto che sembrano derivare loro dall’istinto, mentre dipendono solo
dall’educazione, che ha esercitato di più un certo tipo di impressioni e
ha sviluppato in loro una "delicata sensibilità".
Delfico dimostra di avere un’alta considerazione delle donne, delle
quali fa un elogio sentito e senza riserve; secondo lui se hanno
ricevuto una buona educazione possiedono talenti e meriti maggiori degli
uomini, anzi ciò che le distingue in positivo è che le loro qualità
sono accompagnate da un a grazia naturale. Molto interessante
l’espressione usata a proposito dell’educazione, quando afferma che
alcune donne hanno avuto per fortuna una buona educazione, ma in alcuni
casi "sono state sì felici per darsela da sé" (18): con ciò afferma non
solo che le donne possono ricevere e mettere a frutto l’educazione, ma
che sono capaci di autoeducarsi, il che è possibile solo se possiedono
l’intelligenza e la volontà in grado elevato.. Tuttavia le buone
qualità delle donne sono volte a loro danno da una cattiva educazione:
così la delicatezza diventa sfinimento, la sensibilità le rende succubi
degli ingannatori, l’immaginazione le fa diventare fantastiche e
capricciose, la vivacità delle passioni le rende eccessive. Ma Delfico
sostiene, ottimisticamente, che tali difetti si possono correggere nel
matrimonio, se c’è vero e profondo affetto tra i coniugi piano piano si
ristabilirà "l’integrità necessaria all’unione coniugale".
Il discorso di Delfico può sembrare troppo settoriale o particolaristico
se non si coglie lo stretto legame da lui stabilito fra la società e la
famiglia: questa è una costituente fondamentale della prima, la sede in
cui si formano i cittadini. "I costumi non nascono che nel seno della
famiglia, e le famiglie non si formano che per i matrimoni" . I
matrimoni, però, non sono dei contratti finalizzati all’interesse, né
possono reggersi sull’indifferenza o su un qualche "passeggero diletto",
ma hanno bisogno di fondarsi sui sentimenti, sugli affetti del cuore,
che possono poi estendersi "utilmente" alla vita privata e pubblica.
Vale a dire che se uno non è un buon figlio, non potrà essere buono
sposo e buon padre, perché i rapporti familiari formano come una catena
che, se fosse spezzata, non produrrebbe nessun vantaggio alla società.
Dunque se si vuole che nell’ambito della famiglia ciascuno adempia i
doveri legati al proprio ruolo occorre educare a ciò sia gli uomini che
le donne, altrimenti le unioni coniugali non potranno perseguire i fini
prescritti dalla natura e voluti dagli uomini "da bene".
È importante notare come sia messa in evidenza la necessità di
educare alla vita matrimoniale uomini e donne, e ancor più interessante
l’espressione che viene usata per indicare le donne: "la metà della
specie sensibile" (oggi diciamo: l’altra metà del cielo); ancora
possiamo sottolineare la modernità dell’affermazione che il matrimonio
può essere felice solo se si regge sui vincoli dell’amore (non sul
gusto, la fantasia, il capriccio)
Per comprendere tale concezione occorre rifarsi alla prospettiva
filosofica generale dell’autore, secondo cui le concezioni morali
nascono nella società e per la società e l’individuo impara a
distinguere ciò che è buono e ciò che non lo è in rapporto all’utile e
in vista del raggiungimento della felicità. La molla dell’azione è da
ricercare nell’intimo bisogno che agendo cerchiamo di soddisfare: essa
poi sarà buona o cattiva a seconda della sua conformità alla legge
razionale, che è poi la legge di natura. Il fondamento della virtù è da
ricercare nella capacità dell’uomo di frenare i propri istinti e
desideri e seguire le indicazioni della ragione che lo guida verso il
meglio. Non si tratta dell’ideale rigoristico della virtù come
mortificazione dei bisogni e dei desideri naturali, ma della ricerca di
un interesse personale che si accordi con quello generale in un
equilibrio di razionalità e sentimento. La felicità non può consistere
nel piacere smodato, perseguito dai libertini, ma in un piacere che
potremo definire "catastematico", capace di portare pace e serenità, che
permea la vita di tutti i giorni e conferisce una felicità duratura.
Ma la moderazione degli impulsi non si ottiene spontaneamente, anzi è
frutto di educazione e disciplina spirituale. I matrimoni che si basano
su altri presupposti risultano in genere poco riusciti e poco felici.
Ciò accade quando ci si sposa o attratti dalla bellezza esteriore, o per
il casato: in questi casi la "povera giovane" viene sacrificata al
capriccio di qualcuno che non l’ama e che lei non potrà amare. Se
dunque i matrimoni sono infelici non dipende dalle donne, ma dall’abuso
di potere dell’uomo e dalla sua mancanza di educazione.
La maggior parte degli uomini affronta il matrimonio con un senso di
disinganno e spregiudicatezza, vale a dire con pregiudizio, poiché la
loro sensibilità si è consumata nel libertinismo, che tentano di
camuffare assumendo un atteggiamento severo, ma le donne capiscono
subito qual è la loro natura. Altri assumono un atteggiamento
sdolcinato e galante, che disgusta le donne migliori (più dotate di buon
gusto). Alcuni poi mantengono un atteggiamento indifferente, al quale la
donna corrisponde con altrettanta indifferenza. Altri assumono un’aria
di arroganza, cercando umiliare le loro donne tanto da portarle a non
avere più stima di loro stesse.
Delfico ha molta fiducia nell’essere umano perché conclude questa
carrellata di mariti tipici affermando che pensa non vi siano più "i
brutali", forse perché secondo lui i lumi della ragione possono
trasformare gli uomini, togliendo loro tutte le tendenze aggressive
(animalesche).
Allora, a fronte degli elementi che rendono precario e infelice un
matrimonio vengono delineate le cause di un matrimonio duraturo e
felice. Un’unione è felice se il rapporto fra i coniugi è ispirato alla
"delicata tenerezza", alla stima reciproca che anima il loro affetto,
alla comprensione (amichevole compatimento) che non contrasta con
l’assolvimento dei doveri e costituisce il più saldo cemento
dell’unione, alla confidenza reciproca, che sta alla base della
familiarità "virtù tanto rara e tanto necessaria fra gli uomini", alle
cure reciproche.
Delfico non è "femminista" nel senso che intendiamo oggi, infatti
sostiene che la natura ha reso la donna dipendente dall’uomo sul piano
fisico, mentre ha reso questo dipendente moralmente dalla donna, e
proprio per questo riconosce che "la natura e l’educazione han dato agli
uomini una certa superiorità su l’altra metà della nostra specie", anche
se sostiene che l’autorità va sempre usata a vantaggio di coloro che vi
sono sottomessi. Si tratta di "illuminare le donne su la verità dei loro
interessi" e fare in modo che possano scorgere le conseguenze positive
delle diverse situazioni affinché si conformino a quelle azioni e
adempiano ai doveri che sono il bene della loro vita. Ma la sua
concezione dell’eguaglianza lo spinge a insistere sulla reciprocità; i
sentimenti devono essere reciproci così "l’amore e l’abitudine fanno
perdere il senso della dipendenza" mentre si mantiene l’uguaglianza di
diritti e doveri. Chi ritiene che una situazione del genere non si
possa realizzare è un debole e ha un cuore corrotto. Richiamandosi
alle premesse sensistiche della sua concezione morale, il filosofo
ammette il bisogno naturale dell’uomo alla compagnia, all’amicizia e
alla familiarità, ma ritiene che spesso egli fa di tutto per soddisfare
i suoi bisogni materiali senza curarsi di quelli durevoli; tali sono
quelli che si trovano nell’ambito della famiglia, che "si rinnovano ogni
giorno e che divengono più sensibili nella loro durata". Colui che non
apprezza tali piaceri e ha idee negative sul matrimonio, è vittima della
corruzione dei costumi, infatti la società civile con il progresso
sociale è tanto decaduta da non riuscire più a vedere il matrimonio come
un piacevole vincolo naturale, da non riuscire più ad apprezzare una
condizione tanto naturale quanto gradevole.
L’opera delficina è un vero inno ai piaceri della famiglia, che vanno al
di là del livello fisico, diventando dei veri piaceri morali. I piaceri
sono resi buoni dalla moralità, una moralità generata dagli affetti
molteplici (i rapporti del cuore) che uniscono due persone nelle più
svariate circostanze della vita; due persone che vivono insieme per
amarsi, per dare la vita ad altri esseri e rinnovarsi attraverso i loro
sentimenti. Tali piaceri generano poi dei doveri, proporzionati
all’utile da cui nascono. E se anche la vita coniugale comporta delle
responsabilità e delle fatiche, vale la pena accettare un qualche
sacrificio "per vivere in uno stato dove solo la felicità virtuosa, o
la felice virtù si può trovare" (19)
Secondo l’autore gli ostacoli che gli uomini incontrano nel matrimonio
sono di due specie: il sesso e le cattive leggi.
I difetti del "bel sesso", sono principalmente la vanità, il capriccio e
l’abuso dell’inclinazione al piacere; questi nascono dall’abuso delle
qualità positive femminili. La vanità è presente nella donna come
difetto e nell’uomo come vizio, e il difetto è "alimentato dalle
adulazioni dei galanti". Il capriccio dipende dal comportamento degli
uomini. L’inclinazione eccessiva al piacere, che porta all’infedeltà,
deriva dall’esempio del libertinaggio. Delfico ammette che potrebbero
esservi altri difetti oltre a questi, ma se l’uomo è capace di ascoltare
il proprio cuore, può facilmente rimediarvi, facendo emergere nelle
donne "le buone qualità originarie" (20). Allo stesso modo anche la
vanità può essere convertita in una virtù e in principio di saggezza.
Per quanto riguarda i capricci che rendono le donne sensibili e
irritabili, e consistono nella mancanza di ragione nei piccoli oggetti
della vita, essi sono dovuti all’educazione e si manifestano quando le
donne sono trattate con superiorità e disprezzo dagli uomini e non
vengono apprezzate per le loro riflessioni , cioè per le loro qualità
intellettuali; così dipendono dalla cattiva direzione delle qualità
femminili, mentre l’abuso del desiderio di piacere deriva dalla
corruzione dei costumi o dal fatto che i coniugi sono male assortiti. Ma
il libertinaggio e la dissoluzione sono propri degli uomini, non delle
donne, e comunque tutti i vizi dipendono dalla sregolatezza, e i
rapporti sregolati portano alla rovina delle unioni o al loro
decadimento.
Altra difficoltà è rappresentata dalla legge: quando la legge civile
ostacola le inclinazioni che nascono da rapporti veri e naturali e vi
sostituisce quelli dell’opinione, nascono il vizio e la corruzione. Ciò
capita nel matrimonio fra persone che non si amano, per esempio per la
differenza d’età; oppure nel caso in cui le leggi favoriscono il
celibato, in quanto sanciscono la disuguaglianza della proprietà e
aumentano i bisogni del lusso (cosa che scoraggia il matrimonio); o
ancora quando l’osservanza delle leggi è così difficile da incentivare
la trasgressione. La conclusione è che l’individuo è spinto alla
corruzione e alla dissolutezza dall’educazione e dalle circostanze in
cui vive, senza contare che di fronte alle stesse circostanze non tutti
reagiscono allo stesso modo; ma se la formazione morale fosse impostata
meglio, gli individui troverebbero di più la forza per reagire a una
cattiva educazione.
Quando avviene che i coniugi si stancano dei vincoli matrimoniali ciò
avviene o per disgusto dell’altra persona o per disgusto della vita che
un o di essi è costretto a condurre. Il disgusto per la persona avviene
in genere a causa di una precedente corruzione, e la corruzione, secondo
l’autore, è sempre degli uomini, poiché i loro piaceri amorosi e i loro
atteggiamenti superficiali impediscono la nascita di veri e profondi
affetti. In seguito dal disgusto per la persona si passa al disgusto per
lo stato matrimoniale. Eppure la condizione coniugale è più gravosa per
le donne che per gli uomini, e i loro doveri sono pesanti e difficili da
sopportare; perciò sarebbero necessari molti riguardi per far sì che
esse continuino nel tempo ad assolverli.
Le differenze fisiche dei sessi sono determinate dalla funzione della
maternità e dalla prima educazione della prole, affidata alle donne.
Tali funzioni rendono accettabili e amabili i loro doveri,
trasformandoli in piaceri; il marito "onesto" deve cercare di alleviare
e addolcire tali doveri.
In questa opera la figura dell’uomo è esaminata soprattutto in rapporto
alla vita coniugale e alla moglie non tanto con riferimento ai figli o
alla cerchia sociale, per cui l’uomo è visto essenzialmente come marito.
Vi è un breve passaggio dove Delfico considera il ruolo di padre e si
chiede: "Perché i padri amano i figli?". Il rapporto padre-figlio,
però, non viene analizzato a fondo; egli dice di non volerlo esplorare
fino in fondo né di voler ricercare perché a volte i padri non amino i
figli; ma si sofferma brevemente sul piacere che l’uomo prova di fronte
alla paternità, piacere che non diminuisce con il crescere della prole,
anzi si accresce nella virtù e nella consapevolezza di aver dato la vita
ad altri esseri. Ma per apprezzare questi grandi piaceri bisogna avere
"un cuore puro e lontano da ogni corruzione" (21)
Un elemento fondamentale della vita coniugale è la fedeltà. A questo
proposito l’autore afferma che l’infedeltà dell’uomo non autorizza
quella della donna; tuttavia quando tratta della fedeltà coniugale
ritiene che debba essere di entrambi poiché costituisce la base del
costume, mentre l’infedeltà "è l’infrazione del più sacro vincolo
sociale, è la causa principale di ogni corruzione, è fonte di delitti di
ogni sorta" (22). Ma se gli uomini sono la cagione di questi mali, essi,
che pretendono amore e fedeltà, debbono essere i custodi della fedeltà
delle donne, non alla maniera dei barbari (con la costrizione e la
violenza), ma con le cure e l’amore per le loro compagne; anzi la
condizione prima perché una donna pratichi la virtù è che abbia davanti
un esempio di vita e un modello di costume adeguato.
Certo una felicità fatta di piaceri semplici e naturali non risulta
gradita a quegli uomini che vivono nel vizio e nella scostumatezza, i
quali non sanno adattarsi alla moderazione e ai bisogni naturali, ma
sono sempre avidi di piaceri. D’altra parte una donna che sia lasciata
nella solitudine, come accade quando il marito è troppo impegnato nelle
attività esterne (economiche, politiche, culturali, ecc.), si abbandona
facilmente alla frivolezza e alle piccinerie e restringe la sfera delle
sue idee, oppure cercherà compenso nella compagnia di altri uomini. Per
questo è necessario considerare il problema dell’educazione delle donne
come parte della vita domestica. Le donne non devono essere lasciate
troppo sole perché la solitudine è causa di decadenza morale, ma in
alcuni casi può essere opportuno riservare loro alcuni momenti di
solitudine per lasciare spazio al raccoglimento, al chiarimento di sé,
per un progressivo miglioramento di sé.
Dal momento che sono suscettibili di miglioramento possono ricevere
anche un’istruzione nelle scienze; magari non nell’astronomia e nella
metafisica (non sono necessarie), ma di scienze applicate ai bisogni
della vita: il disegno, per affinare il gusto del bello; ma soprattutto
la morale che è la base di ogni educazione. Una donna così istruita può
vivere sia da sola che in compagnia e non si abbandonerà alla
maldicenza. Dare educazione alle donne non vuol dire corrompere i
costumi, come ritengono i conservatori, Anzi proprio l’educazione fa sì
che esse possano essere custodi della virtù senza essere costrette in
una "clausura domestica" (23); infatti nella libertà potranno sopportare
meglio i loro doveri e in tal modo sarebbe eliminato dalla moderna
società ogni residuo di barbarie. Certamente il ruolo di madre comporta
dei doveri, oltre ai rapporti affettivi, ma se le donne coltiveranno il
loro spirito, per loro sarà più facile e piacevole dedicarsi a tali
mansioni.
Le affermazioni di Delfico non sembrano ai nostri occhi molto
rivoluzionarie, anzi ci appaiono quasi conservatrici e sicuramente un
po’ paternalistiche: alla donna si riconosce la libertà, ma la sua
specificità rimane sempre quella legata alle sue caratteristiche e
funzioni fisiche: mettere al mondo i figli e allevarli, anche perché il
suo intento non è quello di operare un riscatto dell’universo femminile,
quanto piuttosto di vedere quali sono gli elementi costitutivi della
famiglia e come sia possibile al suo interno raggiungere il massimo
benessere per i suoi componenti, e tale fine è individuato nella
creazione di una famiglia basata sul matrimonio, ma intendendo questo
non come un contratto finalizzato alla convenienza bensì come un legame
unicamente affettivo. In questo ambito i ruoli sono distinti e definiti,
anche se viene messa in discussione la tradizionale immagine dell’uomo
come padrone e dominatore dei suoi familiari. D’altra parte un convinto
sostenitore dei lumi della ragione non può non mettere in discussione
tutti quei comportamenti che nascono dal pregiudizio e
dall’oscurantismo, anche psicologico.
Una concezione della parità assoluta non è presente né ipotizzabile. Del
resto lo stesso filosofo riconosce che non intende stravolgere i ruoli
e le funzioni nella famiglia, ma auspica piuttosto che le donne
acquistino le qualità intellettuali che possono accordarsi con le anime
sensibili e virtuose. Ciò perché "la bellezza delle nazioni non dipende
tanto dal fisico, che dal morale, ed è il morale che modifica il fisico"
(24). Insomma solo quando le donne avranno sviluppato le loro qualità
sarà raggiunta almeno la metà della felicità consentita al genere umano.
La vita domestica è fatta di sentimenti e di doveri, e nell’equilibrio
di essi consiste la felicità di questa condizione; perciò bisogna aver
cura che le difficoltà non distruggano i sentimenti dell’amore. Se le
donne si sovraccaricano di doveri e questi sono resi sempre più
pesanti, esse saranno portate a cedere ai difetti più negativi, perché
costrette a condurre una vita di pene senza nessun piacere. La morale
finora ha prescritto solo doveri, ma secondo Delfico "nel dizionario
della virtù" questo termine dovrà essere sostituito con quello di
sentimento. I sentimenti possono rendere gli uomini felici e giusti,
dunque se l’amore è un sentimento dà felicità mentre quando diventa un
dovere non è più amore. Inoltre l’amore che nasce dal cuore si conserva
facilmente, mentre quando è basato sull’esteriorità muore subito.
Spesso si critica l’abitudine, che nasce nel matrimonio, ma per Delfico
lungi dall’essere un elemento negativo è un aiuto per i doveri e per i
sentimenti; nella vita coniugale l’amore non può mantenersi sempre con
la stessa intensità iniziale e si attenua, ma l’indebolimento è
compensato dall’abitudine ad amarsi, dal piacere della compagnia
dell’altro, dalla comunione di gusti e sentimenti, che rendono i coniugi
parti della stessa realtà: in tale unione d’amore e d’idee risiede la
dolcezza della vita. Su famiglie di questo tipo si fonda la società in
cui si rispettano le leggi, anche se lo stesso autore riconosce che la
vita nel secolo XVIII sembra "troppo lontana da questa consolante
situazione". Egli sa bene che il suo discorso non riguarda la società
dei suoi tempi, in cui gli affetti domestici vengono respinti con grave
danno della famiglia e con l’effetto della trascuratezza dell’educazione
e quindi la scostumatezza , ma ribadisce che solo in seno alle mura
domestiche possono nascere felicità e virtù e che la famiglia è la culla
del costume e della ragione.
Delfico insiste molto sul sentimento dell’amore che indirizza i coniugi
verso un fine comune ed è la causa della felicità di entrambi, nella
sintesi di piacere e virtù, in quanto "il fisico serve d’appoggio e di
richiamo al morale" (25). Concezioni di questo tipo sono sicuramente
ispirate a un a morale di tipo sensistico, ma questo non significa che
l’autore propenda per un materialismo negatore dello spirito, anzi
proprio in seguito a critiche rivoltegli in tal senso sente il bisogno
di precisare la stretta connessione di corpo e spirito.
Nel matrimonio sentimenti gradevoli si succedono in modo da allontanare
la corruzione, e la vita si svolge nella tranquillità, lontana dalla
noia e dalla sazietà. Del resto anche in un frammento manoscritto il
filosofo afferma che il primo bene di una famiglia è la pace e la
tranquillità (26). Insomma la vita dei coniugi che vivono nella
concordia, cioè che sono guidati dall’amore, dalla ragione e dalla
virtù, non è paragonabile al celibato, del quale è infinitamente
migliore.
Nelle unioni non riuscite il difetto dipende dagli uomini che, avendo
ricevuto un’educazione, dovrebbero essere più ragionevoli e più virtuosi
delle donne; ma essi il più delle volte sono guidati dal capriccio e
dalla vanità. Non si può determinare se vi siano più donne o più uomini
virtuosi, ma sicuramente le donne manifestano maggiore disposizione alla
virtù.
Criticando la posizione di Rousseau, che considerava il matrimonio
adatto solo agli sciocchi o ai birbanti, Delfico sostiene che vi sono
unioni virtuose e felici in campagna e in città, e in tutte le diverse
città dell’Europa; non solo, ma la dimostrazione che il matrimonio
favorisce lo sviluppo delle inclinazioni virtuose è dato dall’evidente
cambiamento di molti individui dopo le nozze. Lo scenario che fa da
sfondo a questo discorso è la concezione che il matrimonio è un vincolo
naturale, nel quale i due coniugi, e in particolare la donna, quando
uniscono la ragione alla virtù e si servono della loro naturale
sensibilità, costituiscono un ristoro alla vita. La loro attività in
favore della famiglia e specialmente dei figli, manifesta un quadro di
bellezza assai superiore a quello delle dame ben curate, annoiate ed
insoddisfatte, dedite ad una "insipida toletta". Quando uomini e donne
si allontanano dalla ricerca dei piaceri naturali, distruggono le
originarie disposizioni al bene e conducono una vita "disgustosa" e
moralmente corrotta. Insomma la strada della natura è quella della virtù
che porta alla felicità, e questa si raggiunge prima di tutto nello
stato matrimoniale, uno stato che è principio dei beni per l’individuo e
per la società..
Purtroppo l’amore coniugale incontra un ostacolo molto grave , la
gelosia. La passione dell’amore, esclusiva e tumultuosa, di per
sé non genera durata, anche perché si basa sulla gelosia e sul
sospetto: l’amore come passione violenta non si accorda con "una lunga
durata", ma è mutevole e instabile, generando spesso disgrazie e
infelicità. Il matrimonio, viceversa, è un legame sacro che si nutre
"della ragione e della virtù"; ma ragione e virtù sebbene siano
necessarie non bastano per raggiungere la felicità nel matrimonio; la
felicità è una sorta di "sintesi a priori" tra sentimento e ragione: al
primo, mutevole e momentaneo, la ragione conferisce stabilità, mentre la
molteplicità della sensibilità "rompe la monotonia della ragione". In
tal modo si ottiene il massimo di felicità consentito agli uomini (27).
La gelosia è una corruzione dell’amore ed è una delle più gravi
disgrazie per i sentimenti: soffoca la tranquillità e la pace, i
sentimenti sociali e tutti i sentimenti che inducono all’unione,
trasformandoli in odio e dispetto; alimentata dal furore non sente più
la voce della ragione e può addirittura sfociare nel sangue.
Nelle orribili azioni dei gelosi si esprime la più crudele barbarie,
opposta alla delicatezza del sentimento d’amore, provocando in chi ne è
l’oggetto avvilimento, timore e indifferenza. La gelosia è tanto più
dannosa in quanto non vi è modo di estirparla una volta che si sia
impadronita del cuore di qualcuno. Essa si vede poco nelle unioni umili
perché queste sono più libere e si basano sull’amore, e inoltre perché
i coniugi sono più simili fra di loro, specialmente per quanto riguarda
l’età; mentre i matrimoni dei ceti superiori non essendo spesso motivati
dal sentimento ma da altri elementi uniscono spesso persone molto
diverse fra loro, in particolare vi sono grandi differenze d’età.
Delfico pensa che questo sia un grande difetto, perché non si deve mai
andare contro i dettami della natura e formare delle unioni scombinate,
dove "le colombe di Venere [sono] sacrificate ad un antico Saturno", ma
anzi l’età avanzata deve farsi rispettare per la giustezza delle sue
idee e sentimenti, senza cercare un’unione "ripugnante alla natura" e
destinata all’infelicità, perché difficilmente in queste unioni si può
trovare comunione di cuore e di educazione.
Comunque il dare regole alla morale rientra nella teoria
dell’educazione. Tutti gli uomini sentono, ma la sensibilità può essere
bene indirizzata o fuorviata dall’educazione. Un giovane bene educato
non sbaglierà nella scelta del cuore e cercherà quella che è conforme al
suo. "I cuori non si scelgono, ma s’incontrano", però non si possono
incontrare se vi sono differenze troppo grandi di educazione (28).
Un aspetto dello stato matrimoniale che è stato affrontato molto spesso
da filosofi, per negarne o affermarne la validità e l’utilità, è il
divorzio.
I sostenitori assumono come punto di partenza la difesa della libertà;
contro di essi Delfico afferma che abbandonare un sentimento che ha
portato ad affrontare il matrimonio, significa ammette di non averlo mai
provato veramente, dal momento che, secondo lui, l’amore è un
sentimento stabile e duraturo e amare temporaneamente è contrario ai
rapporti dai quali si genera l’amore stesso.
Il suo ragionamento cerca di ricondurre la concezione dell’amore
durevole alla dottrina utilitaristica, che sta alla base della sua
concezione del matrimonio, inteso come risposta a dei bisogni. Perciò
spiega che ogni sentimento ha delle leggi proprie, che lo distinguono da
ogni altro, così anche l’amore, e il codice dell’amore poggia sui
principi della natura. L’amore nasce da un bisogno e il bisogno non è
momentaneo; ora il bisogno che genera l’amore si presenta
frequentemente, per questo, e anche per la dolcezza che lo accompagna,
per poter durare a lungo si rinnova continuamente attraverso le
"piacevoli varietà" della vita domestica, all’interno della quale i
bisogni si moralizzano.
Sulla base di queste premesse Delfico sostiene che l’amore coniugale
legittimo sia piacevole e interessante tanto quanto la libertà,
rivendicata dai difensori del divorzio, poiché nel matrimonio avviene
una specie di equilibrio (conguaglio) fra i piaceri e i doveri, e
questo perché i piaceri morali, che accompagnano l’assolvimento dei
doveri, superano le pene. Ora, ciò che vale a favore del matrimonio,
vale di conseguenza contro il divorzio, dunque i vantaggi dello stato
matrimoniale giustificano ampiamente il rifiuto del divorzio, anche in
nome della famiglia come cellula fondamentale della società.
L’autore indica, poi, alcuni argomenti sostenuti dai fautori del
divorzio, per confutarli. Innanzi tutto c’è chi ne sostiene la validità
sulla base di esempi tratti dalla storia, ma questa difesa è senza
valore perché le leggi attuali sono molto diverse da quelle del passato;
del resto anche presso i romani questo istituto ha prodotto dei danni,
dal momento che nei tempi più antichi era un diritto solo di alcuni
patrizi, ma quando si è diffuso anche presso il popolo, la società si è
corrotta ed è caduta nella "scostumatezza" (decadenza dei costumi).
I sostenitori del divorzio dicono che serve per porre rimedio alle
difficoltà e ai sentimenti negativi che nascono durante il matrimonio, e
Delfico riconosce che a volte possono svilupparsi elementi di disunione,
ma obietta che innanzi tutto bisogna cercare di prevenire le difficoltà
fin dall’inizio e poi, se nascono ugualmente, cercare di risolverle
senza arrivare alla rottura. Secondo lui, infatti, i matrimoni basati
sull’amore resistono, anche attraverso momenti difficili, mentre vanno
in crisi quelli che vengono contratti per altre motivazioni.
Inoltre occorre tenere presente che le leggi su cui si regge il
matrimonio possono aiutare a "rimarginare le ferite dell’amore", cioè si
possono adeguare alla natura. Se fosse permesso il divorzio le leggi
distruggerebbero se stesse e invece di essere di sostegno alle famiglie
creerebbero frammentazione; senza contare che ogni piccola difficoltà
costituirebbe un pretesto per la separazione, cioè per la dissoluzione
della famiglia. Ciò per Delfico non è ammissibile, dal momento che la
famiglia è una componete essenziale della società e la sua
frammentazione porterebbe alla distruzione del tessuto sociale. Le leggi
che non ammettono il divorzio tendono a conservare lo "stato del cuore",
necessario alla vita familiare; in tale stato i piccoli allontanamenti e
difficoltà servono a riavvicinare i coniugi, che dopo un dissidio
ritrovano più gradevole la conciliazione.
Le leggi devono essere formate tenendo conto dell’eguaglianza, e se
ammettessero il divorzio, introdurrebbero la tirannia, in quanto
favorirebbero il forte contro il più debole; se infatti si accorda il
divorzio, lasciando la decisione all’uomo, la donna risulterebbe
ripudiata, essa "non sarebbe di nessuno", non avrebbe nessun appoggio:
non dal marito che non la vuole, né dal padre che "l’ha data in
moglie", ma cadrebbe in miseria.
Tale ragionamento non si può considerare dettato da un pensiero
egualitario verso le donne, ma si può spiegare alla luce delle leggi e
delle consuetudini dell’epoca in cui vive l’Autore, quando le donne non
avevano nessuna dignità al di fuori della famiglia, né potevano svolgere
un lavoro retribuito fuori casa. Il ruolo della donna era quello di
moglie e di madre, in alternativa quello di figlia e di sorella (la
donna non sposata era considerata al servizio dei genitori e poi dei
fratelli e nipoti). Al di là di questa condizione generale vi erano
delle situazioni privilegiate: le donne dell’aristocrazia e del livello
più elevato della borghesia potevano godere di privilegi e di molte più
libertà rispetto a quelle del ceto inferiore, erano l’anima di circoli e
salotti, si istruivano e scrivevano, ma si trattava comunque di una
minoranza.
Un altro argomento contro il divorzio viene proposto da Delfico, sempre
da ricondurre alla sua convinzione che la società viene prima della
famiglia e questa precede l’individuo. Gli uomini spesso vogliono
sciogliere il matrimonio per soddisfare un capriccio momentaneo, ma ciò
contrasta con i principi originari dell’umanità. La situazione della
famiglia dopo il divorzio è da lui considerata infelicissima sia per gli
individui che per l’onestà sociale; perché se i sentimenti si
sviluppano all’interno della famiglia, per opera dell’educazione,
laddove non può avvenire tale formazione i sentimenti risultano
manchevoli; ma se gli individui non sviluppano i sentimenti
fondamentali è compromessa la vita della società. Il divorzio contrasta
la pace domestica, cioè i rapporti basati sulle leggi naturali della
famiglia e della società, ma è particolarmente disastroso per i figli,
che verrebbero sacrificati (all’egoismo dei genitori).
Insomma, Delfico riene che l’idea del divorzio non nasce da una
riflessione matura sulla natura umana; l’errore sta nel fatto di non
riconoscere il valore dei sentimenti., che attengono alla parte
spirituale dell’uomo.Egli, infatti, pur facendo proprie le conquiste
ideali dell’illuminismo, non ne condivide il materialismo, come risulta
da un frammento manoscritto: Così si videro accusati di materialismo
e di ateismo i più grandi autori, sostenitori dell’immortalità
dell’anima e della religione, e le parole destinate a spiegare i
fenomeni intellettuali non potendo essere che espressioni di oggetti
materiali e di modi della materia furono confusi all’essenza spirituale,
incomprensibile. Così se i sensi e tutta la parte del sistema nervoso
senza cui non esistono le sensazioni furono detti gli organi del
pensiero e dell’animo medesimo, senza de’ quali la specie umana non può
esercitare le sue facoltà spirituali, si conchiude che tale asserzione
equivale a materialismo, cioè che la materia sia pensante. E’ il
privilegio della calunnia di negare ed offuscare l’evidenza.
E appare evidente
che l’uomo sia composto di corpo e di spirito, e che questo senza
l’altro non possa spiegare le sue qualità l’influenza dell’uno
sull’altra è un fatto, un effetto necessario delle leggi eterne della
creazione (29). |