La certezza
filosofica si distingue da quella storica proprio perché si basa
sull’evidenza e per quanto riguarda la massoneria ricorrere solo
all’investigazione storica risulta un limite. Non si tratta di
attribuire certezza e validità probatoria a ciò che è solo indiziario.
Questo sarebbe grave colpa in una investigazione penale, ma la ricerca
riguardo alla massoneria e ai suoi affiliati non è né una ricerca
criminale né una ricerca storica. Non è nemmeno una ricerca filosofica,
ma una investigazione che deve avvalersi di una molteplicità di metodi e
di criteri. A chi continua a dire che non c’è la prova che Mazzini sia
stato affiliato alla massoneria si può mostrare la lettera autografa in
cui il genovese, il 3 giugno 1868, scriveva ai "fratelli" della R.
Loggia Lincoln all'Oriente di Lodi per accettare la presidenza onoraria
della Loggia. (Archivio Storico Grande Oriente d'Italia, Collezione
Lattanzi). A chi continua a dire che non è certa l’appartenenza di
Melchiorre Delfico alla massoneria, in mancanza di una prova
documentaria altrettanto certa (ma ci sono testimonianze di quanti
parlano di una sua affiliazione alla Loggia Philantropia di Napoli,
favorita dal Filangieri) si può far notare che, se non lo fosse stato,
difficilmente il suo pronipote, Filippo De Filippis Delfico (di cui si
conserva nella Biblioteca Provinciale “Delfico” il diploma di
affiliazione massonica) avrebbe intestato proprio a lui la loggia
massonica teramana da lui fondata il 30 marzo 1870, la prima costituita
in Abruzzo dopo l’Unità d’Italia. Ma chi persiste nel negare anche
l’evidenza non si smuove nemmeno davanti alla considerazione che, se
Melchiorre Delfico non fosse stato massone, difficilmente ben due logge
teramane, di due diverse obbedienze, porterebbero ancora oggi il suo
nome.
Sulla base di
queste considerazioni, il colpo di teatro ideato per Bellante è stato
perfetto. L’antiquario (e artista) teramano Corrado Anelli mi aveva
parlato al telefono di un antico sigillo massonico della loggia teramana
intitolata a Melchiorre Delfico e lo avevo pregato di venire a Bellante
e mostrarlo all’uditorio sul finire della presentazione. Tutto è andato
come avevamo programmato. Quando Anelli ha mostrato il sigillo,
l’uditorio è entrato in agitazione. In fretta si è cercato un tampone
inchiostrato e ognuno ha voluto stamparsi il timbro, su permesso di
Anelli, su un foglio di carta o sulla copia del libro appena acquistata.
Non lo avevo mai visto prima quel timbro, l’ho osservato poi con
attenzione, guardato e riguardato, analizzandolo, nella fotografia che
ne è stata fatta. Alla fine qualche idea me la sono fatta e qualche
ipotesi l’ho formulata.
Usato con il
tampone inchiostrato, quello per timbri di gomma o di ferro,
l’impressione è risultata carente e la visibilità della scritta e dei
simboli scarsa. Infatti non si tratta di un timbro, ma di un sigillo, in
ottone, da usare con la ceralacca, dove dà il meglio di sé. I margini
sono sbocconcellati e questo ne dimostra l’inteso uso e l’antichità.
Insieme con l’impugnatura di legno, questi dettagli dimostrano che il
sigillo risale quanto meno all’Ottocento. Ma a quando, di preciso?
Questo è impossibile dirlo, ma certo è, o quanto meno evidente, che si
tratta del sigillo della R.L. Massonica Delfico 196 di Teramo. Il motto
che compare nel sigillo non è quello fatto proprio dalla Loggia attuale
e appartenente alla famiglia Delfico (“Eat in posteros delphica laurus”),
ma “Labor, Lux, Libertas” che conferma l’antichità e indica tre valori
tipici della massoneria di fine Ottocento. Una caratteristica peculiare
è che il sigillo riporta la scritta tradizionale: “O. di Teramo” (con i
tre puntini a triangolo che, come usa la massoneria, punteggia e
sostituisce la parola intera), ma invece di riportare la scritta “R.L.”
(sempre con i tre puntini al posto di un puntino solo della usuale
punteggiatura profana), riporta una R. seguita da un quadrato con un
punto al centro. Perché? Che cosa vuol dire quel quadrato? E’ evidente
che si tratta di un simbolo e nella massoneria il simbolo è essenza. La
mia ipotesi è che esso indichi ciò che indica nella tradizione
massonica, simboleggiando la Quintessenza insita nel numero 4, per mezzo
di un Quadrato con un punto al Centro. Il concetto e il simbolo della
quintessenza sono tipici della massoneria di tradizione alchemica, che,
guarda caso, è quella alla quale era assai vicino Melchiorre Delfico sia
nel suo periodo napoletano che in quello successivo, quando diede vita
alla cosiddetta “rinascenza” teramana. Ipotizzo che quel R. seguito da
un quadrato con un punto al centro voglia dire R(ispettabile) T(empio),
variante significativa rispetto alla dicitura R(ispettabile) L(oggia).
Ma qual è la provenienza del sigillo? A guardarlo bene, esso mostra
altre due caratteristiche: a sinistra e a destra della squadra e del
compasso e del circoscritto occhio onniveggente, si notano due macchie
che appaiono il risultato dell’abrasione di due altri simboli, di cui
rimane visibile solo una tenue traccia. La macchia di sinistra è più
riconoscibile e sembra quella (abrasa) di un cavallo con cavaliere,
assai simile a quello che compare sul sigillo della carboneria teramana
che ho messo sulla copertina del mio libro sulla massoneria teramana.
Ipotizzo che sul sigillo in questione la presenza di quel simbolo stesse
a testimoniare la tradizione carbonara della loggia teramana e che fosse
stato abraso per l’evidente contraddizione con la scritta “R(ispettabile)”.
Nel sigillo ricordato della carboneria teramana la R seguita da tre
punti non sta per “R(ispettabile)”, ma per “R(egione)”, seguita dalla
dicitura “Pretuziana” e la parola “Oriente” (sempre con la O seguita da
tre punti) è seguita dalla dicitura “Centrale”, facendo chiaramente
intuire l’ispirazione “unitaria” dei carbonari teramani, per i quali la
Regione Pretuziana sarebbe stata centrale nello stato unitario a cui
essa aspirava e non più quella più settentrionale del Regno di Napoli.
La macchia di destra è meno riconoscibile, ma sembra rappresentare un
cavallo senza cavaliere
La curiosità
dei più a Bellante (e anche dopo), era incentrata sulla domanda: ma qual
è la storia successiva di questo sigillo? Ho motivi (che ritengo validi)
di fare questa ipotesi. Usato per lunghi anni quale sigillo per
ceralacca della Loggia Delfico, esso doveva essere custodito dall’avv.
Francesco Di Girolamo nella sede della Loggia, sita al secondo piano di
uno stabile di sua proprietà, a Teramo in Via Muzi n. 5. E’ assai
probabile che esso sia stato sequestrato, insieme con tantissimi
documenti e varia oggettistica massonica, nel corso della perquisizione
disposta dal regime fascista nel novembre 1925 sia nella sede della
loggia che nelle abitazioni, di Teramo e di Montorio, del Venerabile Di
Girolamo. Tutto il materiale sequestrato fu affidato dal Prefetto
Albini, in deposito giudiziario, al gerarca fascista cav. Carlo Alberto
Cimato. Ricordo che quest’ultimo trascorse gli ultimi anni della sua
vita nella casa di riposo “De Benedictis” (dove ebbi molti colloqui con
lui), dopo aver disperso per mille rivoli tutto ciò che aveva in casa.
Molte delle sue carte sono finite nella Biblioteca “Delfico” (Fondo
Cimato), ma i mobili e gli arredi sono andati dispersi, in parte
venduti, in parte ceduti a rigattieri. E’ assai probabile che il sigillo
della Loggia Delfico sia finito a qualcuno di loro, arrivando poi in
possesso a Pietro Marcattili, appassionato collezionista e antiquario,
il quale lo ha poi ceduto a Corrado Anelli, che ne è l’attuale
depositario e proprietario. A Bellante il sigillo è tornato visibile a
tutti. Dà il peggio di sé se usato con l’inchiostro e il meglio di sé se
impresso sulla ceralacca. Dopo tanti anni indica ancora tre valori ai
quali dice di ispirarsi anche la massoneria di oggi: Labor, Lux,
Libertas. Peccato che oggi di lavoro ce ne sia sempre meno, che la luce
sia poca e l’ombra troppo. Quanto alla libertà, quella che dicono che
abbiamo mi sembra sempre più simile a quella di un pollo sul girarrosto. |