L’Aquila, un giorno di primavera
inoltrata, oggi come ieri.
Seguo tracce di vite passate, in
luoghi nascosti eppure così vicini. Tra case e
binari, cascate d’acqua giocano a rincorrersi,
incuranti degli orologi e della gente che le ha
dimenticate.
Vorrei vedere con la mente il tempo
che fu, perché sia ancora, perché in fondo, finché
qualcosa vive nei ricordi, non morirà mai.
Poi mi scopro sognante a gettare gli
occhi nel corso di un fiume.
E immagino, e vedo: Porta Napoli,
annerita e screpolata che chiude il viale
spalancando la campagna, e le carrozzelle che lente
risalgono la carrareccia dalle terre di Sant’Elia e
Civita di Bagno.
In quell’aria di certo odorosa dei
tigli rinverditi risuonano le grida dei ragazzini
che, bigiata la scuola, corrono e ruzzano a cercare
ristoro e nascondiglio tra le frasche umide delle
sponde dell’Aterno.
Non serve arrivare alla Chiesetta
della Madonna degli Angeli, si scende per sentieri e
scorciatoie erbose giù fino alle Fornaci Martini, ci
si insinua tra le siepi e l’erba mai tagliata , fino
alle 13 Colonnette che offriranno una piscina
naturale, e abbondanza di trote Ruelle e gamberi di
fiume.
L’acqua è copiosa e gorgoglia tra le
rive, tra i dislivelli delle dighe dei canali di
irrigazione, curva, scompare alla vista, accarezza
il Mulino e compie ancora un altro salto, là dove
incontra i giardini vasti della nobile Villa
Jacobucci, si ingentilisce in cascatelle quasi a
omaggiare i signorotti che la abitano e che posano
per una foto ricordo su un muretto: forse è
Berenice Rosa figlia di Michele
Jacobucci, alpinista cui è intitolata la
sezione aquilana del Cai, e Margherita De
Filippis-Delfico, che si attarda con il suo
sposo Francesco Signorini Corsi ad
ascoltare distrattamente la voce del fiume.
L’Aterno corre oltre, frettoloso.
Disinteressato. Come la gente che oggi non ha tempo
di ricordare quando si marinava la scuola e si
rideva felici per un niente, nient’altro che un
bagno nel fiume.
Oggi, le gentili cascatelle non ci
sono più, ma i ricordi sì. Fanno parte di noi,
resistono in ogni pietra e in ogni angolo
dell’Aquila, un po’ acciaccati forse, ma sempre
vivi.
I ricordi sono il respiro di una
città. C’era una volta L’Aquila e ci sarà ancora.