UNA
LETTERA DI MELCHIORRE DELFICO
Quando
periodicamente gli saliva la nostalgia della sua città e della sua
famiglia di origine, mio padre, Michele Paris, primogenito di Elisabetta
Delfico, chiamava me e mio fratello ancora bambini a "guardare"
la lettera di zi' Melchiorre.
Vivevamo
a Pisa e mio padre era professore in quella Università, dove insegnava
elettrotecnica, che aveva scelto più per spirito di pionierismo che per
passione profonda. I suoi interessi erano soprattutto rivolti alle "humanae
litterae" come testimoniavano i suoi libri, le sue collezioni, le
lunghe soste nel suo studio ornato di "fondi oro", le
frequentazioni dei luoghi di incontro di artisti e letterati, dei Musei e
degli antiquari più colti. Noi accorrevamo divertiti. La lettera era
molto vecchia, ma i colori e la vivezza del segno non si erano persi.
L'aveva scritta e illustrata Melchiorre Delfico per farsi perdonare il
ritardo con cui aveva annunciato la nascita del suo ultimo figlio e
risposto all'annuncio del matrimonio della nipote Elisabetta, per noi
nonna Bibì, con Luigi Paris, nonno Gigino, a Teramo. Continuava
illustrando un felice episodio della sua vita collegato alle sue notevoli
capacità di musicista, mostrando la soddisfazione dei parenti, primo fra
tutti il fratello Troiano con la moglie Bianca Casamarte dei baroni di
Campotino, descrivendo l'eccitazione per un benessere finalmente
raggiunto, e terminava con i saluti della sua famiglia debitamente
schierata. Lo spassoso "mi ripeto" del finale lasciava un pò
confusi noi bambini. Ci lascia ancora perplessi l'episodio con l'americano
che compra l'opera "I Coscritti" e con l'amico Chiola, definito
"angelo protettore", probabilmente il mediatore di questa
operazione, ma qui speriamo nell'"aiuto del pubblico" come in
una nota trasmissione televisiva. Noi non abbiamo individuato questi
personaggi. Era il 1888, e nello stesso anno Melchiorre inviava un'altra
lettera, ben più importante e lunga otto facciate, all'amico Giuseppe
Verdi, illustrando e commentando l'esecuzione a Napoli dell'Otello.
Scrive
Emidio Agostinone in un gustosissimo articolo dei primi anni del '900.
"Verdi lo conobbe per la musica, ma lo amò per le caricature"
(1). E le caricature verdiane furono molte e attraversarono dal 1858 tutta la
vita del Delfico, perchè le occasioni che il grande musicista gli
procurò furono tali da incitarlo senza sosta.
Melchiorre
De Filippis Delfico nacque a Teramo nel 1825, da Marina Delfico e Gregorio
De Filippis conte di Longano nel palazzo fatto costruire dal prozio
illuminista insieme con i fratelli. Questo palazzo da poco restaurato e
intelligentemente predisposto ed attrezzato, ospita oggi la ricca
Biblioteca Provinciale di Teramo. In questa città fece i primi studi e
frequentò la scuola di disegno di Pasquale della Monica, ma a soli sedici
anni si recò a Napoli dove, dopo una formazione letteraria alla scuola di
Monsignor Antonio Mirabelli, si dedicò allo studio della musica.
Compose
alcune opere che ebbero molto successo, anche se effimero e fu anche
librettista per restaurare le sue "sconquassate finanze", come
si esprime nella lettera a Michelina, ma fu sopratutto caricaturista di
alto livello artistico. Cominciò a Napoli nell'ambiente del teatro, forse
all'inizio un pò per gioco, poi più seriamente ma sempre, anche nelle
opere più curate, con quella vivezza di improvvisazione pittorica che gli
permise di fissare la freschezza delle emozioni e la velocità del
pensiero.
Le
sue satire sui personaggi del teatro, sui costumi dell'epoca, sugli
avvenimenti della politica, si caratterizzano per l'ironia benevola e il
grande senso della misura, uniti a una vivacissima fantasia che lo fece
passare da invenzione a invenzione, senza mai ripetersi. Il
"gioco" diventò subito lavoro; collaborò a diverse testate di
giornali a Napoli ma anche a Firenze, dove frequentò il Caffé
Michelangelo con i Macchiaioli e a Londra dove, secondo la tradizione,
avrebbe collaborato al "Punch".
Mio
padre raccontava che in famiglia aveva sentito parlare di questo soggiorno
a Londra, dove il suo prozio, abituato al clima partenopeo, e non solo in
senso meteorologico, si sentì molto a disagio e non riuscì a resistere,
malgrado le lusinghiere offerte economiche. Ma sul viaggio e sulla
collaborazione a giornali londinesi erano sorte incertezze perchè le
ricerche degli studiosi del Delfico, che insistevano sul noto giornale
"Punch", erano risultate infruttuose.
In
questi giorni, mio figlio Paolo, stanco di sentirmi brontolare per le
fallite ricerche, ha cercato ancora su Internet alla voce Delfico, e ha
scoperto alcune sue caricature sul "Vanity fair", confermando
l'"avventura" londinese del nostro antenato (2). A
lavorare al "Vanity fair" dopo il ritorno a Napoli del Delfico
rimase un nobile di Capua, Carlo Pellegrini che ebbe uno stile simile al
suo.
E'
noto che gli ultimi anni di zì Melchiorre furono caratterizzati da
una grave forma di ipocondria, ma che per questo non tralasciò il lavoro,
anche se nell'ultima opera sulla storia di Pompei, forse per il soggetto
non troppo stimolante per lui che amava il presente nel suo scorrere, la
sua verve si attenuò.
Mi
piace terminare con le parole del de Grada: "Melchiorre Delfico, un
personaggio da riscoprire, un gustoso interprete del mondo di passaggio
tra il vecchio e il nuovo, assai più alto del 'caricaturista'
dell'Ottocento così come, con la bonomia che fa male, lo abbiamo definito
fino ad oggi" (3).
Anna Maria Paris Semenzato
Ringrazio
mio fratello Luigi Paris, proprietario della lettera, che ne ha permesso
la pubblicazione
|