Melchiorre Delfico, filosofo, economista, sociologo, fece molto per la
sua città: si prodigò, con opere, corrispondenze e personali iniziative,
perché Teramo, città ai confini del regno, spesso ignorata dalla
capitale, non fosse completamente dimenticata. Innanzitutto, il Delfico
fu l’artefice principale per riottenere il Tribunale: "Lo ridomandarono
più volte – ricorda il Conte di Longano - e nol riebbero che per opera
di Melchiorre Delfico; generale fu l’esultanza cittadina e si faceva
proposito di statue da erigere, ma il Delfico persuase a far cosa di
utilità pubblica" (1). Si prodigò molto perché a Teramo nascesse
l’Accademia, il 12 dicembre 1788; "Fu la prima di tal genere, non solo
dell’allora Regno delle Due Sicilie, ma di molte altre regioni nazionali
ed estere (2).
È da ricordare, affinché si contestualizzi meglio il merito del Nostro
nell’elevare il tono culturale teramano, che comunque esisteva già
all’epoca un grande fermento cittadino mirante allo sviluppo delle arti
e delle scienze, mortificato però dal governo. Ad esempio, in una
lettera del 1808, indirizzata al Ministro dell’Interno,(quindi 10 anni
dopo il carteggio del Delfico con Re Ferdinando IV, che esamineremo
oltre), Gianluca Vezii scriveva: "In Teramo le scienze, la Filosofia e
le nobili arti hanno sempre fiorito pei sublimi talenti e rari ingegni
che vi sono stati prodotti …. e che oggi si andranno perdendo, se non si
accenderà nuovamente quella nobile emulazione ed entusiasmo tra i
cittadini, estintosi per l’atroce persecuzione fattasi dal passato
governo contro tutti i filosofi e buoni cittadini (3)".
È di grande interesse, a questo punto, rimarcare gli immani sforzi
compiuti dal Delfico per l’istituzione dell’Università a Teramo,
ritenuta importantissima per la rifioritura delle arti e delle scienze,
tanto che lo studioso "si fece interprete del loro desiderio - del
desiderio dei teramani -, ch’era anche suo, presso il trono. Ed egli -
continua il Conte di Longano - una delle volte in cui vedeva il Re,
profittando dello stato dell’animo di lui, gli chiese la grazia perché
si erigesse in Teramo una piccola Università di studi"… (4)
A testimonianza della "reale bramosia del Delfico per la sua immanente
costituzione" (5), si può consultare la sua corrispondenza con Ferdinando IV, che ebbe inizio nel mese di maggio del 1788 con la Memoria per
lo stabilimento di una Università a Teramo.
L’istanza del Delfico fu accolta favorevolmente dal Re, che chiese il
parere alla Real Camera, che a sua volta decise, sentito il Vescovo, di
interpellare il Tribunale di Teramo. Alla consulta negativa della Real
Camera - cui si conformò successivamente lo stesso Sovrano -, Delfico
replicò invano, come attestano le lettere del carteggio relativo. La
prima di queste è una supplica del Nostro affinché l’insegnamento fosse
affidato a cultori teramani.
Dopo il parere negativo giunto da Napoli sul progetto dell’istituzione
dell’ateneo teramano, se ne parlerà in seguito solo nel 1808 quando,
soppressi i conventi della città, sarà proposto di fondare il "Real
Collegio" nel monastero di S. Matteo e un’Accademia di Scienze nel
convento dei Cappuccini, inaugurata il 23 gennaio del 1814. Vi verrà
istituita solo più tardi, nel 1817, una cattedra di Giurisprudenza (6)
per l’università si sarebbe dovuto attendere ancora più di un secolo e
mezzo.
Nella prima missiva spedita al Re, il Delfico ribadì il concetto che la
città di Teramo "per una fortunata combinazione si trova in grado di
avere individui sufficienti a poter soddisfare le cinque Cattedre
stabilite" (7), senza l’intervento di "forestieri". E il teramano suggerì
anche i titolari: "Tre ne abbiamo in città e due in Napoli. Abbiamo qui
Giovanni Thaulero (consigliere d’Intendenza e segretario della Società
economica (8), distinto gentiluomo, che, oltre di una costante
morigeratezza, si è esercitato da molti anni ad istruire la gioventù
nella Filosofia speculativa e nella Morale. Per la storia e la geografia
già ci sarebbe Biaggio Michitelli (filosofo e letterato, giureconsulto,
assessore militare di Teramo, nel 1789 assessore in Toscana, e
consigliere di Stato nel 1821 (9); Berardo Carlucci (tipografo, propose
l’apertura di una scuola di grammatica e umanità (10) sarebbe eccellente;
in Napoli poi ci sarebbero Vincenzo Comi per le scienze mediche
(chimico, studioso di scienze naturali, eletto nel 1920 deputato per la
provincia di Teramo (11); Carlo Forti (ingegnere, fu assistente nelle
opere del porto di Brindisi (12) poi sarebbe molto a proposito per la
matematica; per soprintendente non potremmo meglio che indicare Gianfilippo Delfico (fratello di Melchiorre, studioso di scienza ed
economia, presidente della Società economica e di giurisprudenza (13)
sia per la pubblica stima che riscuote, che per le tante cognizioni che
possiede".
Nella seconda missiva, il Delfico illustrò al Re "il dispendio enorme
che porta il mantenimento di giovani a studio a Napoli - soprattutto in
virtù della lontananza -, ed i pericoli di lasciar costoro esposti alle
irreparabili licenze della Capitale, sono altrettanti ostacoli allo
sviluppo di talenti originali, ed alla civilizzazione". Oltretutto -
proseguì il Delfico - per l’istituzione dell’Università si può ovviare
coi fondi comuni della Beneficenza Ecclesiastica vacanti nello Stato di
Atri, "che altro non servono a persone oziose" - qui l’anticurialismo di
cui già abbiamo fatto cenno sopra viene a galla in tutto il suo ardore -
che ammontano a mille ducati. Pertanto, la somma da destinare al futuro
ateneo teramano era già disponibile, ma, purtroppo, una volta consultata
la Real Camera, fece difetto ancora la volontà reale.
Nella terza lettera, il Delfico pose l’accento su "come tutte le altre
città capitali delle provincie avessero ottenuto le proprie università",
e sulla pregiudiziale di Napoli che si era abbattuta su Teramo, dal
momento "che i 1300 ducati (questa volta non più mille) sarebbero
sufficienti per tale stabilimento. Se la giustizia e la ragione -
continuò il Delfico -, Signore, devono presiedere in tutte le pubbliche
disposizioni, e se più belle sono accompagnate dall’umanità e dalla
beneficenza, V.M. può considerare quanto era in tal modo gratificata la
domanda di questa città, e quanto sia stata differente la contraria
disposizione della Real camera. Sarebbe poco degno, non diciamo di ogni
buon cittadino, ma di ogni uomo ragionevole il trattar problematicamente
- se l’educazione, e l’istruzione pubblica nelle Scienze e nella Morale
siano utili e necessarie all’uomo -". "Quindi - si chiedeva grosso modo
il Delfico -: quali sono i motivi che hanno indotto la Real Camera a
bocciare l’istanza?" "Non certo per ragioni di economia", insisté,
ribadendo il concetto di come nulla si sottraesse a nessuno, "né dai
fondi impiegati già alla pubblica utilità o bisogni, né occorre ripetere
che questo sarebbe il miglior uso da potersi fare di tali beni".
Frattanto, nella quarta ed ultima lettera a Re Ferdinando IV, i ducati
dei "beneficj religiosi sarebbero potuti arrivare a 7.000… convertibili
in un uso davvero santo, tendenti al miglioramento della Morale e della
vera Religione". E solo a questo punto il Delfico cominciò a manifestare
chiari segni di scoramento, tirando in ballo l’ingiustificata ritrosia
della Camera Reale: "Il Supremo Consesso -sostenne, infatti, - invece di
ricevere ordini Vostri Supremi, derivanti da sentimenti benigni verso la
costituzione dell’Università, ha sempre mostrato una certa contrarietà".
Tutto ciò fece infuriare il Delfico, per quanto era possibile a quel
tempo farlo trasparire in una lettera spedita ad un regnante: "Invece di
riferire immediatamente a Maestà Vostra - continuò - e confermare
ampliamente col suo parere quelle idee che la M.V. aveva troppo
chiaramente indicate, con una lettera la Camera Reale rimise l’affare al
Tribunale di Teramo per l’informo, quasi si trattasse di un affare
contenzioso… Ma d’informo bisogno non vi era, perché ogni trasformazione
non poteva che cadere su due articoli: il primo è che in questa città
non vi erano scuole, il secondo era rappresentato dalla necessità o
utilità dello stabilimento, giacché - continua sferzante il Delfico,
quasi presagisse il triste finale - per il primo bastava aprire il
Notiziario, e per il secondo era sufficiente ogni piccola dose di buon
senso ". Mentre Teramo era in festa per la nascita dell’erede al trono
(anche nella terza lettera tale sentimento di giubilo popolare fu
avanzato al Re), nell’animo degli stessi cittadini covava la più
profonda mestizia per il diniego dei reali verso l’istituzione
dell’Università. D’altronde, fece capire il Delfico, le altre province
del reame erano già dotate di tali "stabilimenti", (le università);
"eccetto Lucera - continuò - che come questa città non ebbe Collegio di
Espulsi"; e in una Capitale di mezzo milione di abitanti (Napoli), il
mancato arrivo di poche unità di studenti non avrebbe sicuramente
danneggiato l’economia locale, suggerì a Re Ferdinando, in un ultimo
disperato sforzo di convinzione. A questo punto, lo studioso teramano,
ormai pieno d’irritazione per la brutta piega che stava prendendo la
corrispondenza, avanzò una tesi abbastanza ardita e nondimeno maligna:
"Dobbiamo dunque credere - incalza - che altri motivi di più riposta
sapienza abbino mosso quel Tribunale Supremo a consultare V.M. di non
essere né liberale né clemente in questa occasione: giacché non dobbiamo
senza ribrezzo udire le ciarle de’ maligni, che, credendo un principio
naturale l’avidità senile, suppongono che la Camera Reale avendo
guardati come sua preda i benefizi vacati e vacanti, o per le proprie
famiglie, o per amici ed attinenti, o per altro modo di che vantano
ancora particolari notizie, non abbia voluto che si dasse l’esempio di
erogarsi il piccolo fondo domandato su detti benefici". Terminò così la
sua quarta ed ultima lettera indirizzata al Re, con una formula di
chiusura consona a quei tempi: "Dal Padre, dunque, e dal Sovrano che pur
è Padre nostro, noi attendiamo la grazia, che tutti i Padri desiderano,
cioè della fondazione de’ studj, che V.M. già conobbe decorosa al
Soglio, ed utile alla nazione, e come tale implorandola ci lusinghiamo
di ottenerla sempre per grazia singolare.
Alla fine, il tanto vagheggiato "stabilimento" dell’università non venne
concesso dal Re, e il rammarico del Delfico fu grande. |