Melchiorre Delfico e Giuseppe Maria Giovene
(Lettere inedite di Melchiorre Delfico) |
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di Antonino Tripepi
In Rivista Abruzzese di Scienze Lettere ed Arti, a. XIX, 1904, pag. 57 |
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Due amici, due figure altissime.
«Volere le stesse cose, non volere le stesse cose, questa in
fondo è la vera amicizia», ci insegnò Sallustio: e veri amici
furono Melchiorre Delfico, l’illustre figlio della terra
d’Abruzzo, e Giuseppe M.a Giovene, amici avvinti da
reciprocanza di affetti e di nobili sensi, irradiati dal chiaro
lume intellettuale di amore intenso al bello nelle arti e nelle
lettere, di profondo culto alle scienze.
Fra i manoscritti della biblioteca Sagarriga-Visconti in Bari, è
una preziosa serie, non breve, di lettere del conte Delfico
all’arciprete Giovene.
Ne pubblico alcune, che certo non andranno per neglette vie:
sono lo specchio di una grande anima, sono nuovi documenti di
qualche interesse. Se ragioni del mio ufficio non mi avessero
costretto a sospendere il modesto lavoro di indagini nella
biblioteca barese, e se altre difficoltà non mi avessero reso
impossibile il completamento della raccolta delle lettere, qui
in Potenza, avrei pubblicato intero il voluminoso carteggio,
ignorato forse sin’adesso da altri, che ora molto meglio di me
potrà fecondarlo e dargli vita.
Ai lettori di questa Rivista non dirò io chi sia stato
Melchiorre Delfico; sarebbe vana presunzione, ed anche ridicola,
la mia. Ma dell’arciprete Giovene tanti potranno domandare: Chi
era costui? Non è male quindi che se ne faccia una solenne
presentazione, con le norme di reverente etichetta che l’uomo
richiede.
Nato in Molfetta il 23 gennaio 1793, Giuseppe M.a
Giovene fu un dotto, nel più ampio significato della parola.
Giusperito, sì che notai, cittadini, deputati di capitoli e di
comunità religiose non mancavano di consultarlo nelle più
astruse quistioni giuridiche; maestro di discipline
ecclesiastiche, teologo ed oratore sacro eloquentissimo,
archeologo e filologo, coltivò specialmente le scienze naturali.
Negli «opuscoli scelti» di Milano, nel «Giornale letterario» di
Napoli e negli «Atti della Società italiana delle scienze» -
dove il Giovene occupò, fra quaranta socî, il posto tenuto dallo
Spanlanzani [sic ma Spallanzani], - videro la luce dieci
discorsi meteorico-campestri, ricchi di osservazioni e di
precetti, e molte dissertazioni scientifiche ed economiche. Una
sua memoria sulla nitrosità generale delle Puglie fu
riprodotta in francese dallo Zimmermann, e la sua opera
Kalendaria Vetera MSS. destò l’ammirazione dei dotti e di
papa Gregorio XVI. Gli «Annali civili del Regno di Napoli» così
scrivevano di questo lavoro: «…se si ponga mente a quanta
suppellettile di cognizioni «ecclesiastiche, di scrittori, di
svariate opinioni, di sottili ragionari aveva d’uopo l’autore;
quanta «oscuratezza di Storia doveva chiarire, come doveva
immergersi nelle tenebre del medio evo e colla «guida di
finissimo giudizio e di maravigliosa erudizione uscirne con
felice successo, sembrerà, «com’è di certo, lavoro di archeologo
allevato alla vecchia scuola di profonda meditazione e di
«accurata incessante fatica. Il Mazzocchi fece lo stesso per i
calendari della chiesa napoletana e di «simil genere è quello
delle tavole eraclesi, per il quale fu salutato a nome
dell’Accademia reale «delle Scienze di Parigi dal segretario
Carlo Le-bean col titolo di miracolo della letteraria Europa.
«Solamente avvertiremo che pregevolissime sono le notizie
storiche e liturgiche ricavate dal codice «di S. Sepolcro:
quelle intorno alla discesa del fuoco sacro nella chiesa di
Gerusalemme: la «discettazione intorno all’autore della Guerra
sacra: le annotazioni sui luoghi attraversati da «S.Niccolò
Pellegrino nel suo viaggio di Otranto in Trani: commentarî
storici intorno a S. Corrado «Bavaro patrono di Molfetta,
all’apparizione di S. Michele Arcangelo, alla edificazione di S.
Maria «de’ Martiri: i capitoli intorno ai vescovi, all’origine
ed al nome della città di Molfetta; e «conchiuderemo esser
quest’opera ubertosissimo campo a chi raccoglier volesse esatte
notizie «intorno alla storia ed alla liturgia ecclesiastica di
que’ tempi».
Dall’arciprete Giovene il seminario di Molfetta ebbe dono di una
ricca biblioteca, con un assegno al
sopraintendente-bibliotecario, di un museo di storia naturale,
di una raccolta numismatica e di vasi italo-greci.
Sulla sua tomba, nella chiesa di S. Corrado, si legge la
seguente epigrafe, che egli stesso aveva dettato:
ARCHIPRESBYTER IOSEPHUS MARIA GIOVENE
QUI IN FIDE FILIJ DEI VIXIT
IPSUM SALVATOREM
QUI REFORMABIT CORPUS HUMILITATIS NOSTRAE
HIC EXPECTAT
Questi fu l’amico al quale Melchiorre Delfico scriveva le sue
lettere: |
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Lett.a I |
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Napoli 8 del [gennaio] 1791
Carissimo e stimatissimo amico,
Doveva credere senza fallo che Fortis (1), cui non ho mancato mai di
scrivere o far scrivere, vi avesse notiziato dello stato di mia salute,
ma forse è stato meglio così. Non sono ancora fuori di casa, perché la
ferita non è del tutto rimarginata, il tempo è sempre piovoso e sto
facendo una piccola cura di salsa e di latte per corrigere, per quanto
la stagione permette, i fluidi depravati.
Potrebbe essere che in questa settimana venisse la licenza per Fortis,
ma in qualunque modo io lo spero almeno per la ventura, come scriverò
più distintamente.
Sento la curiosa nuova delle conchiglie (2), e ci vuol
pazienza in tanta poca buona fede e corruzione generale: ma mi dispiace
del vostro incomodo e disturbo.
Con D. Ciro (3), che mi ha favorito qualche volta in questo
mio ritiro, avendo parlato di voi e di Molfetta, siamo ricaduti sul
discorso della feudalità, per la quale mi ha dato conto dei passi da lui
avanzati e delle varie circostanze, dalle quali ho potuto rilevare che
se faceste la risoluzione d’inviare qui un deputato con tutte le facoltà
e con mezzi l’affare si potrebbe ravviare felicemente. Oh se questo
deputato fosse chi ha l’anima libera ed il cuore virtuoso! (4).
I nostri sovrani ci faranno sospirare ancora per un pezzo il loro
ritorno, poiché dopo la ratifica della cessione della Toscana, per la
quale vi era stato qualche disturbo, si sono determinati a non partire
da Vienna che a marzo.
Pazienza se i miei desiderj numismatici restano inariditi, e mi
rifido in tutto su la vostra amichevole diligenza.
Prendete mille saluti etc.
Devotissimo ed obbl.mo
MELCHIORRE DELFICO |
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Lett.a II |
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Napoli 12 Marzo 1791
Mio amatissimo amico,
Eccovi finalmente nuove proprie del Fortis. La Dalmazia lo tenne 18
giorni; ma Venezia gli aveva fatto già dimenticare – La noia e ‘l mal
della passata via. – Sia felice e contento, che è quello che importa.
Siccome dalla vostra della passata pensai che chiedevate notizie dei
luoghi saliferi in generale, così mi promisi di far delle ricerche fra
alcuni viaggiatori che mi trovo; ma avendo poi veduto dalla lettera di
questa settimana, che le notizie le desiderate del Regno, ho sospeso di
far quel notamento, che sarà del resto sempre a vostra disposizione, se
volete. Intanto per la Calabria troverete tutto nel Barrio (5), il quale
fu diligentissimo; ma per gli altri luoghi del regno le notizie che si
hanno sono molto superficiali. Se avete avuto il quarto tomo del sig.
Galante (6), vi troverete: pag. 267, che parla di una miniera di sale
nelle vicinanze di Montefuscoli, la quale fu chiusa quarant’anni
addietro; pag. 282, che nella campagna di Avellino vi sono molti pozzi
di sale; e pag. 287, che nelle vicinanze di Rocca S. Felice, nel luogo
detto Palombara, vi è una sorgente che dà molto sale. Per le provincie
di Apruzzo, pregherò il padre Cermelli (7)
acciò dal viaggio fatto per quelle
provincie, e che stamperà, m’indichi i luoghi saliferi che ha veduti ed
osservati,se non avrà difficoltà di far tal favore che non sarebbe poi
grande.
I quesiti sono molti, ma
alcuni mi sono parsi anche superflui, ed altri che possono meritare
delle risposte generali. La ricerca nella sua generalità può diventare
però interessantissima, e sarà curioso il trovare perché la natura ha
salati esorbitantemente alcuni luoghi, mentre ha lasciati alcuni altri
nella totale insipidezza. La Siberia p. e. è la regione la più salifera,
e nell’Irlanda poi non si trova vestigio di sale. Si trova, credo, in
tutte le specie di terre o pietre, ed in diverse maniere.
Per la Sicilia non ho libri, ma mi ricordo
benissimo che nel viaggio del sig. Swinburne (8)
vi sono diverse indicazioni.
Queste ricerche uscendo dalla vostra penna e dal vostro sagacissimo
ingegno, saranno della massima importanza.
Le conchiglie, meritata che avran la vostra approvazione, potrete
indirizzarle all’Ill.mo sig. Paolo Tonati, Venezia, contrada di S.
Vidal, che io avviserò contemporaneamente, ma dovete indicarmi la barca
e ‘l padrone.
Mio nipote (9) non potè eseguir nulla a proposito per mancanza di
numero necessario di crogiuoli dei quali si doveva servire. La Chimica è
poco esercitabile senza comodi e danari.
Mi lusingo che per le medaglie siate stato favorito e che io possa
godere di qualche bello acquisto per mezzo della vostra amicizia.
La voce che si alzò dal Concordato sembra ora verificata. Si è ceduto
finanche alla Ghinea, colla sola restrizione di prestarsi ad ogni nuovo
papato, ciocchè la rende anche più clamorosa.
I Sovrani scrivono confermando la parola di volersi trovare qui per
martedì di Pasqua.
Fa gran freddo, ma finisco caldamente abbracciandovi etc.
Vostro dev.mo ed aff.mo
MELCHIORRE DELFICO |
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Lett.a III |
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Napoli 16 aprile 1791
Carissimo, - Le lettere dell’amico (10) sono sempre consolanti per
nuove della sua buona salute e disposizione degli affari; ma questi, e
le riflessioni, sempre migliori ad animo tranquillo, l’ànno ritenuto
d’andare a Venezia nel tempo delle feste: (11) ciocchè, a parer mio, è
stato lodevole.
Se poi si sia presentato ai Sovrani al loro passaggio per Padova, lo
sentirò dalle lettere venture.
L’altro ieri arrivò il corriere spedito da Firenze, col quale viene
confermato il rimpatriamento dei padroni pel giorno stabilito della
terza festa di Pasqua, se non vi sarà altra remora in Roma.
Vi acchiudo il cartellino datomi dal P. Cirmelli (12) con molti
saluti, ma non parmi che vi possa essere di molto profitto.
L’opera del sig. de la Metherie (13) non l’ho qui, ma in Teramo, e
scriverò perché siate servito.
Conservatevi etc.
V. div.mo ed aff.
MELCHIORRE DELFICO |
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Lett.a IV |
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Napoli 30 Aprile 1791
Dilettissimo amico, - Eccovi una lettera riboccante dell’amico nostro
(14), il quale, appena partita la Corte da Padova, si era ritirato ai
suoi monti.
Avendo finalmente veduto il cav. Gioeni (15), e propostigli i vostri
desideri, mi disse che essendo questo un oggetto sul quale egli aveva
travagliato, e pel quale pensava lavorare e pubblicare qualche cosa, si
rimetteva alla mia delicatezza, se doveva eseguire i vostri comandi.
Potete immaginare, che io non insistei ulteriormente.
Avendo riveduto il nostro signor Casella, non mancai di sollecitarlo,
a pubblicare almeno un piccolo piano per la Società Meteorologica, che
possa servire nel tempo stesso d’eccitamento e d’istruzione; ma la di
lui lentezza ha bisogno di più solleciti sproni. Mi disse però che ne
aveva parlato al sig. Generale (16), il quale non è mai lontano
dalle buone cose. Ma se voi venite, potrete essere più efficace, come
sicuramente siete più attivo.
Ho letto con infinito piacere la vostra preziosa Memoria, favoritami
da D. Ciro (17), modesta, sobria, istruttivissima, e senza lasciar
alcuna vista su gli agenti i più importanti di sanità e di riproduzione.
Chi sa che un giorno, con più lunghe osservazioni non si troverà anche
una decisa influenza meteorologica su i rapporti morali.
Questo parmi sicuro, ma il difficile sarà determinarli. E’ ben
curiosa veramente la venuta costì dell’utile Padrona e forse avrà
trasentito qualche cosa.
Qui dietro troverete trascritto il luogo di M. de la Metherie
rimessomi da mio nipote.
Conservatevi etc.
Dev.mo servo ed amico obbl.mo
MELCHIORRE DELFICO |
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Lett.a V |
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Napoli 14 Maggio 1791
Carissimo. – Questa viene col ritardo di una settimana, ma non per
mia colpa.
Mi stimerei molto onorato con una deputazione per la causa pubblica
di codesta città; ma se l’accettassi sarei un ladroncello di onori, che
non potrei effettivamente meritare. Credo avervi scritto
antecedentemente, che io a tutto Giugno conto essere fuori di Napoli,
senza alcuna fissa determinazione di ritorno, avendo anche rimandato in
Teramo i miei libri. Sicchè non potrei accettare una deputazione per
lasciarla subito vacante. Crederei poi, che eleggendo i vostri due bravi
concittadini, si dovesse lasciare loro la scelta di un altro compagno,
se lo stimeranno opportuno. Se anche poi si desse il caso, che io
restassi, ciocchè non sarà, vorrei che rifletteste, se non sarebbe
troppo m’afficher, comparendo per un tal affare, ciocchè in questo paese
potrebbe far male alla cosa stessa (18).
Non è che io tema per me, perché i miei sentimenti ha sempre piacere
che sieno conosciuti, e mi lusingo, che se non mi produrranno del bene,
neppure mi potranno far male.
Sto anzi ora stampando il mio biglietto di congedo dalla capitale, e
come un poco lungo e più lunghi ed impuntuali sono gli stampatori, così
non so se potrà essere finito per la metà di Giugno.
Qui nulla di nuovo. Mille voci per i vescovadi, ma tutto in mistero
ciocchè m’indispettisce al punto di togliermi ogni curiosità.
Conservatevi etc.
Vostro div.mo ed obbl.mo
MELCHIORRE DELFICO |
Quanta semplicità in queste lettere e che dolce riflesso di modestia e
di grandi virtù civili!
La salda amicizia inter pares di Melchiorre Delfico e di Giuseppe
Ma Giovene non mutò mai.
Potenza, Ottobre 1903
A. TRIPEPI
Archivista di Stato |
(1)
L’abate Alberto Fortis di Padova (1741-1805), illustre
scienziato che il Denina chiama "il primo naturalista d’Italia
ed uno dei primi d’Europa", fu tra’ compilatori del Giornale
Enciclopedico di Vicenza; viaggiò, nel 1771, per la Dalmazia,
con l’insigne Symonds e con Cirillo, fu bibliotecario
dell’Istituto delle scienze in Bologna e membro dell’Istituto
nazionale italiano, Scr.: Saggio di osservazioni sulle isole
di Cherso ed Osero; Viaggio in Dalmazia; Sui pesci
impietriti del monte Bolca, nel Veronese; Sulla cava di
nitro al Pulo di Molfetta. In un viaggio nell’Italia
settentrionale, per condurre il nipote agli studi di Pavia il
Delfico aveva conosciuto in Toscana, in Lombardia, in Piemonte,
l’abate Valperga di Caluso, Ippolito Pindemonte, Cesare
Beccaria, Alessandro e Carlo Verri, Melchiorre Cesarotti,
l’abate Frisi, il Toaldo, il marchese G. Giacomo Trivulzio e
l’abate Fortis. Con tutti serbò salda, ininterrotta amicizia e
con molti di essi il carteggio fu frequentissimo.
(2) V. lettera del 12 marzo.
(3) Ciro Saverio Minervini di Molfetta
(1734-1805). Cultore insigne di lettere, di scienze naturali e
di giurisprudenza. Segretario di ruota di monsignor Arpurù, a
Roma; vice direttore e professore di storia e geografia, nel
collegio della Nunziatella, a Napoli, socio della Reale
Accademia di scienze e lettere, di Napoli, e di molte altre
d’Italia. Nel 1768, il marchese Du Gillot, lo invitava ad
occupare la cattedra di dritto pubblico nell’Università di
Parma. Scrisse: Dell’etimologia del
Monte Volture; Dell’origine e corso del fiume Meandro; Memorie
pel voto dei secolari della città di Molfetta; Sulla natura
laicale di alcuni benefici di Molfetta; saggio sulla religione
dei Pagani; Memorie degli scrittori di storia naturale del regno
di Napoli etc. etc.
(4) Cfr. anche lettera V- L’augurio del conte
Delfico pare che si fosse avverato. Nel 1797, il Giovene venne
in Napoli, deputato dalla università di Molfetta, affinché,
unitamente a un Tommaso Filioli, avesse fatto ogni opera per
riscattar la città dal conte Scotti di Milano, erede degli
Spinola di Genova, che s’intitolava principe di Molfetta,
quantunque negli archivi non si trovassero documenti di
investitura con tale titolo.
(5) Barrio. De Antiquitate et situ Calabriae.
(6) Il quarto volume della Descrizione storica
e geografica dell’Italia fu pubblicato appunto ne’ primi
mesi del 1791.
(7) Di questo P. Cermelli non mi è riuscito di
trovar cenno in alcun dizionario biografico. Ho forte dubbio che
si tratti del P. Ludovico Gemelli, invece, calabrese, il quale,
- dopo il tremuoto delle Calabrie, nel 1783 – fu dato compagno
al Pignatari "per fare investigazioni intorno a quel lagrimevol
fenomeno, onde risolvere il problema proposto dall’Accademia di
Napoli, se l’elettricità atmosferica potesse essere considerata
come una delle ragioni del tremuoto". Cfr. Dizionario biografico
universale. Firenze, 1832. – Soppressi i cappuccini in Calabria,
il Gemelli passò come professore in Castellamare.
(8) Viaggio nelle due Sicilie, tradotto in
francese da G. B. de La Borde.
(9) Il marchese Orazio Delfico.
(10) Fortis. Cfr. lettere precedenti.
(11) Dopo il matrimonio del Principe imperiale
d’Austria e del Gran Duca di Toscana con le due principesse
reali di Napoli, la corte rimase lungo tempo a Vienna. Al suo
ritorno ed al passaggio per Venezia non mancarono naturalmente
le luminarie ed i festeggiamenti.
(12) V. lettera precedente.
(13) Anche nel 1791 vide la luce La teoria
della terra.
(14) Sempre Fortis.
(15) Il cav. Giuseppe Gioeni scrisse un "Saggio
di litologia vesuviana. Napoli 1790".
(16) Forse il generale Francesco Pignatelli.
(17) Ciro Minervini. Cfr. lettera I.
(18) Cfr. lettera I. |
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