De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Epistolario

Orazio Delfico al padre Giambernardino e allo zio Gianfilippo

Lettera datata Verona, 27 Agosto 1789

Orazio Delfico scrive al padre Giambernardino e allo zio Gianfilippo, dando notizie dei colli di Verona, descrivendoli composti di ammassi di conchiglie e pietrificazioni ed auspicando la ripresa degli studi della composizione delle montagne abruzzesi.

Ubicazione del manoscritto: Archivio di Stato di Teramo, Fondo Delfico, b. 24, f. 453/b, n. 3

A cura di Luciana D'Annunzio

Trascrizione

Verona 27 Agosto 1789

 

Sig. Padre e Zio Carissimi = dalla vostra carissima in data dei 11 apprendiamo con nostro sommo piacere il vostro buono stato di salute; come posso anche dirvi di me. Senza che zio Gianfilippo ritornando dall’Acqua-Santa abbia veduto alquanto le nostre  montagne, ed abbia veduto che da per tutto non sono calcarie come si diceva. Non so nella parte che voi avete veduta che è d’indole arenaria vi sia mai trovata qualche petrificazione, ma dalla parte calcare potrebbe facilmente succedere se si andasse rompendo in qualche sito. I colli di Verona che non sono altro che ammassi di conchiglie, e petrificazioni, come sapete sono coperti per lo più anzi quasi per tutto da una crosta calcare dove poco o nulla compariscono corpi marini ma rotta questa se ne trovano a dovizia, ed il corpo, ossia terra che serve a queste di glutine, o di mezzo per tenerle unite non è che arena di quarzo, ma povera di mica, e terra calcare che io credo che sia prodotta dalle conchiglie medesime stritolate, queste conchiglie sono la maggior parte, in vece di una petrificazione una calcinazione, o vero una perdita di acido aereo, ma fra mezzo ve ne sono delle nere petrificate, e meno dissolubili delle altre nell’acido. Per mancanza di qualche riattivo l’altro giorno mi misi un piccolo pezzo, che non passava un quarto d’oncia, nell’aceto. Ne ebbi un mezzo bicchiere di aria che non potei saggiare per mancanza di comodo, ma che la credo aria fissa, ed i materiali impiegati non si erano totalmente scomposti quando finì l’effervescenza. La debolezza dell’acido impiegato non permise che si scomponesse altro che la terra calcare, onde mi rimasero i frantumi di conchiglie, e la mica ed una porzione dell’arena del quarzo. Onde dico che le nostre montagne (tornando al prosito onde partimmo) avrebbero bisogno di essere un poco rotte (…) D. Fulgenzio da un pezzo si è armato di maglio e di scalpello onde potrebbe ricominciare a metterli in uso.

Il caldo forte vi è da noi partito, e la stagione è la più bella che si possa sperare. La prego de miei saluti a tutti gli amici, e resto baciandovi la mano.

 

[Indirizzo]

A Sua Eccellenza

Il Sig. D. Gian Bernardino Delfico

Macerata per Ascoli