Svolgendo i preziosi manoscritti lasciati in retaggio ai lancianesi
dall’infaticabile storiografo Uomobono Bocache, e raccolti in
quattordici grossi volumi a cura di questo Municipio, nel volume nono mi
venne fatto di leggere una memoria riguardante assai davvicino la
benemerita ed illustre famiglia Delfico. In essa vengono
precisamente esposte le drammatiche vicende nelle quali i Delfico ebbero
tanta parte durante il difficile anno 1798, all’entrata dei Francesi nel
Regno. – Sembrandomi cosa di molto interesse, tanto più perché si
riverbera, relativamente a quell’anno, sulla storia generale della
patriottica città cui l’Italia va debitrice, fra tanti altri valent’uomini,
di uno de’ suoi più grandi economisti, di uno de’ più saldi e specchiati
caratteri della sua vecchia nobiltà, quale fu Melchiorre Delfico,
ho creduto fare opera non inutile trascriverla ed inviarla alla
Rivista.
La memoria è scritta dall’altro distinto Abruzzese Antonio Madonna
di Lanciano, il quale, amico intimo e carissimo del candido Melchiorre,
doveva assai bene essere addentro nelle cose concernenti il cospicuo
casato, almeno quelle di carattere politico, come non ignorava tante
altre particolarità della vita teramana, per averne partecipato dal 1812
al 1821, col grado di Presidente del Tribunale Civile. – Mi auguro che
la bella ed affettuosa ricordanza da lui lasciata in Teramo non si oggi
spenta del tutto.
Egli comunicò la memoria al Bocache, il quale aveva in animo di tessere
e forse pubblicare una storia di quello che accadde in Abruzzo dal 1798
al 1820, come mi è dato arguire dagli appunti e dai documenti raccolti.
Fermandomi poi alle parole - «Passato Governo» - e a qualche altra frase
liberamente dettata, io penso che il Madonna ebbe compilato lo scritto
nel periodo interceduto tra il 1806 e il 1814, volgendo i regni di
Giuseppe Bonaparte e dell’infelice Murat.
Ma ecco intanto la memoria:
- « La Famiglia Delfico è antica originaria Teramana. Ella ha goduto
sempre dei primi onori sia per la sua nobile condizione, sia per la sue
doviziose finanze, siasi per i lumi e talenti dei quali essa è stata
adorna, sapendosi che anche nel passato Governo era controdistinta per
le ripruove date nei rincontri più difficili.
« Da questa distinzione accordata al merito nacquero le più vive
gelosie o tra le famiglie ad esse eguali, o tra quelle che se ne
vedevano inferiori per tutti i titoli. Come dunque suole accadere ai
buoni, ebbe suscitata la persecuzione per la Setta che colà (a Teramo)
si diceva esistere sotto i di lei auspicii; e non essendosi pervenuto
allo scopo, fu ella involta nella processura dell’uscita delle Monache
di S. Matteo, la quale ebbe un termine egualmente onorato.
« L’anno 1798 fu poi il segnale della di lei rovina. L’aver casato
l’unico figlio D. Orazio nella città di Ascoli con una Ereditiera del
Conte Mucciarelli, l’essere in quell’epoca lo Stato Romano passato dalle
mani papali sotto la protezione Francese, e dichiarata già la Repubblica
Romana, fece a ciascuno tenere di sicuro che avesse mano con i
Repubblicani, e che per i tanti rapporti, trattasse di rovesciare il
trono di Napoli.
« L’esecuzione del progetto fu facile, dappoiché i nemici di lei
avevano tirato al proprio partito il Duca della Salandra ch’era allora
al comando dell’ala dritta dell’armata Napoletana, e che era alle
delizie di Teramo nel suo Stato Maggiore. A questa lega era ancora il
degno Monsignore Vescovo Pirelli, già manifestatosi nemico di quella
Famiglia: la quale, avendo congedato dal suo servizio una cameriera, e
questa dovendo rientrare nello Stato, s’impetrarono gli ordini del
Generale, che li accordò, onde le truppe al confine non le dessero
molestia: si giunse pure a tale politezza, che venne la medesima
assicurata a portare qualunque carta, mentre non sarebbe stata veduta.
Partita perciò, e giunta in S. Egidio, luogo dal confine, l’ufficiale
colà accantonato del Reggimento real Napoli, D. Pietro Duran, la fece
fermare, e la sottopose ad una minuta perquisizione; e come le vennero
indosso trovate varie lettere, che si cedettero incendiarie, e che si
amavano trovare dai complottanti, così quelle suggellate dopo la
ricognizione, coll’assistenza degli Amministratori e Paroco, vennero
rimesse colla donna al nominato Generale Salandra, il quale credendo di
essere giunto al porto, ne diede conto al Re, e si ebbero subito gli
ordini per l’assicurazione de’rei.
« L’arresto della donna, le voci confuse che correvano per Teramo,
misero in guardia il Barone D. Alesio Tullj, D. Eugenio Michitelli, il
Medico D. Vincenzo Comi, e il Medico D. Medoro Mazza, del partito di
Delfico, che si posero ben presto in salvo emigrando nella Repubblica
Romana. I Signori Delfico vivevano tranquilli nella loro Famiglia,
perché erano sicuri di non avere scritto ad alcuno, di avere bensì
consegnato lettere per i loro parenti, dissuggellate, e che non
contenevano cose che attentassero alla Sovranità, né temevano di alcuna
violenza: s’ingannavano però, poiché di notte tempo, ad ora molto
avanzata, si videro arrestare da un Battaglione intero del Reggimento
Real Napoli assieme a tutti i domestici; e si giunse tant’oltre, che
siccome alloggiava in casa il Tenente Winspeare, così, nullostante la di
lui seria indisposizione, venne di casa al momento cacciato. I Signori
Delfico, colla sposa già gravida, furono lasciati in casa per luogo di
carcere, ed i domestici tutti furono tradotti nel Convento dei PP.
Cappuccini, e tutti colle guardie a vista.
« Nella mattina seguente furono nelle finestre del palazzo di loro
abitazione situate delle forti cancellate di ferro, e si videro ancora
perforate le bussole dorate con dei catenacci e piastrine di ferro da
servire di divisione ai detenuti che restarono con delle numerose
guardie.
« Infrattanto da Napoli venne spedito l’ottimo Fiscale Colace, che
poi fu vittima del furore di Carolina, a prendere le indagini le più
sicure sull’imputazione calunniosa. Si fermò sulle prime in Bellante,
luogo distante sette miglia da Teramo, quindi si portò nella medesima
Città ad alloggiare in casa del Vescovo. Posto mano all’affare, non
esitò con persone di vaglia a dire che era venuto a scrivere la vita e i
miracoli della Famiglia Delfico a torto calunniata, come lo contestò
collo stesso Vescovo, e coll’impegnato Salandra, che andava a partire
per essere stato destinato in di lui luogo il Generale de Michereoux.
Difatti, questi arrivato, ed informato da persone disappassionate
dell’oppressione che si andava esercitando coi Detenuti, alleggerì le
loro pene, e permise ai parenti di questa Famiglia di poterla assistere
e visitare; ed in questo frattempo l’infelice sposa partorì nel carcere
una bambina.
« Giunto l’ordine della partenza delle Truppe a formare il Campo nel
fiume Vibrata, restarono i detenuti nella custodia di poca guardia
militare; ed avvenuta la dispersione della medesima, e la vilissima fuga
innanzi a picciola Truppa Francese, nella entrata che questa fece in
dicembre, ebbero la libertà dal Generale Rusca; nell’avvertenza che i
domestici erano stati già inviati nella Capitale, non ostante i tempi
che ricorrevano rovinosissimi.
« A’ 19 dello stesso dicembre i Signori Delfico tornarono nei ferri
dietro la rivoluzione suscitata in Teramo, in cui rimasero saccheggiate
le case del Barone Tullj, Michitelli, Thaulero, Nardi, ed il Laboratorio
Chimico del Medico Comi, conforme avvenne della casa di Mazza in
Magnanella; e le rovine si fecero in una maniera la più villana ed
ingiuriosa. La casa Delfico venne però rispettata; anzi il popolaccio
sfrenato volle eletto il Presidente D. Gio: Bernardino in Preside
interino, tanta era la fiducia che aveva in quella Famiglia, che
nonostante le malignazioni dei cattivi, sosteneva non aver mancato di
fedeltà, e che tutto ciò si era esposto conteneva la più vile calunnia.
E difatti, nella ripresa di Teramo, colle armi alla mano, avvenuta ai 24
dicembre sulle ore tre, il Delfico salvò la Patria ed i suoi medesimi
nemici dal sacco, dal ferro e dal disonore. » -
Ed ora, poiché mi è stato concesso il favore di pubblicare nella
Rivista uno scritto inedito di uno dei più benemeriti cittadini
lancianesi, mi avvalgo della occasione per farne conoscere altri brevi
cenni biografici, che forse non torneranno indifferenti ai lettori,
specialmente a quelli di Teramo. E mi permetto di farlo anche perché il
Madonna, oltre all’avere partecipato per nove lunghi anni alla vita
intellettuale, politica ed aristocratica di cotesta città, ove ebbe
tante amicizie e tanta stima, egli, nel 1813, le diede un figlio non
indegno nel testè morto pittore Vincenzo, autore di molti egregi
quadri premiati in diverse esposizioni; nella stessa guisa che diede
alla mia Lanciano il venerando patriotta e poeta Carlo, onore
della regione abruzzese (1).
Il Madonna adunque, fervente Massone e Carbonaro, prese parte
attivissima a tutte le politiche vicende del Regno, e per le sue
manifestazioni puramente liberali, ispirategli dai profondi studi sui
volumi dell’Enciclopedia e dal contatto cogli eminenti patriotti
napoletani, dovette emigrare al cadere del ’99, per non incorrere nella
persecuzione e nelle rappresaglie de’ reazionarii. Era già stato
lodevolmente al posto di Membro del Supremo Tribunale Straordinario pei
tre Abruzzi, stabilito dai Francesi a Pescara, con a capo il Delfico,
Presidente, e coll’altro Giudice Carlo Filippo De Berardinis,
dotto giureconsulto, lancianese egli pure (2).
Da Pescara fuggì a Milano, aiutato dall’amico Luigi Gouthard,
generale Comandante dell’Alto e Basso Abruzzo, che mercé sua risparmiò
Lanciano dal saccheggio e dal fuoco; ed all’Accademia di Brera, per
varii mesi, occupò la carica di Bibliotecario in secondo, col
valente Luigi Lamberti, che gli sposò un’amicizia fraterna. Passò
a Genova, Commissario in primo della Marina, e nel famoso blocco
dell’aprile 1800 vi contrasse la durevole amicizia di Massena, la
cui preziosa corrispondenza venne distrutta nel Giugno 1848 in una delle
tante visite domiciliari praticate dalla sospettosa polizia borbonica a
casa Madonna, dopo la spietata carneficina del 15 Maggio.
Rimpatriato nel 1802 il Madonna si ebbe la nomina di Governatore in
Lanciano e più tardi in Ortona, d’onde passò a Lucera Giudice di quel
Tribunale. Nominato Vice Presidente ad Aquila, non vi andò per ragioni
di salute, e poco dopo preferì essere traslocato a Teramo, dove, come
dissi, fu alla presidenza del Tribunale Civile, e ne acquistò fama di
magistrato integerrimo, erudito, d’una onestà proverbiale; ciò che lo
mantenne in carica alla restaurazione del 1815. – Ma l’occhio vigile del
Borbone gli era addosso di continuo, e per toglierlo di mezzo fu colta
la circostanza dei moti del ‘20 e ’21, nei quali egli non ismentì il suo
caldo patriottismo: e fu esonerato, non già destituito
dallo impiego. Tanto è vero che anche sotto il giogo del dispotismo le
virtù ed il carattere degli uomini veracemente degni s’impongono e
risplendono inesorabilmente!
L’onorando cittadino si ridusse modestamente in Lanciano, e nelle
strettezze che sopravvennero trovò alquanto conforto ne’ suoi cari
studi. Morì quasi novantenne ai Gennaio 1848, poco oltre un mese avanti
la concessione della giurata e poi spergiurata larva di costituzione
borbonica; di quella costituzione che, massime negli ultimi anni, fu tra
le supreme delle sue patriottiche aspirazioni.
Lanciano, Agosto 1887
LUIGI RENZETTI |