A pochi mesi dalla conclusione del bicentenario della nascita di
Giuseppe Garibaldi la nostra associazione propone una ristampa di
caricature di Melchiorre De Filippis Delfico dedicate all'Eroe dei due
Mondi e pubblicate sull' "Arlecchino – giornale caos di tutti i colori"
tra il 1860 e il 1864; una sorta di continuazione delle celebrazioni di
Garibaldi attraverso la bellezza grafica di piccoli capolavori
irriverenti di uno dei disegnatori satirici più graffianti dell'800
italiano.
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Le caricature riprodotte sono tratte dalla seconda serie de l'
"Arlecchino", uno dei più importanti giornali satirici dell'Ottocento
italiano, che vide due edizioni. La prima, pubblicata a Napoli dl 18
marzo del 1848 fino alla metà del 1849, dal titolo "Arlecchino, giornale
comico politico di tutti i colori" per iniziativa di Achille de Lauzière,
aveva nelle pagine centrali caricature che riuscirono a rappresentare
fedelmente l'arte, la vita, i costumi e, in modo particolare, la
politica d'allora. Al termine del suo breve periodo di vita era riuscito
a dare un quadro completo della Rivoluzione del 1848 e a rappresentare
una sorta di storia del costume di allora, avendo unito l'eleganza,
l'arte, l'arguzia e l'ironia delle caricature di Enrico Mattei
all'estrema cura nella riproduzione dei particolari degli abiti e delle
situazioni ambientali. La seconda serie riprese le pubblicazioni, dopo
un periodo di interruzione, il 4 novembre del 1860 dalle ceneri della
prima e dalla breve esperienza della "Torre di Babele", giornale del
quale erano apparsi due soli numeri (il 28 ottobre e il 1°
novembre del 1860), anche questo chiuso dalla censura napoletana. Le
motivazioni della chiusura della "Torre di Babele" saranno riportate sul
primo numero del nuovo "Arlecchino", pubblicato dopo pochi giorni dalla
chiusura della "Torre di Babele": "BABILONIA 4 NOVEMBRE 1860. Ieri
sera ad un'ora di notte, sui muri di Napoli si leggeva: Ministero di
Polizia: Considerando che il giornale intitolato la Torre di Babele
offende il senso morale del paese con caricature le quali si riferiscono
a persone inviolabili: in virtù dei poteri straordinari conferitici
dalla Dittatura: il giornale la Torre di Babele è soppresso." E la
redazione così rispondeva: "MINISTERO DI BABILONIA. Articolo I.
Considerando che la soppressione della Torre di Babele offende il senso
comune del paese con caricatura di un'ordinanza la quale va contro i
dritti inviolabili della stampa. In virtù de' poteri ordinari
conferitici da Guttemberg. Il già soppresso giornale Arlecchino ritorna
alla luce". Sfidando la censura l' "Arlecchino" riprendeva le
pubblicazioni, grazie alla volontà di Gennaro De Luca, gerente
responsabile e Angelo Mirelli, amministratore, libraio in strada Toledo
166, stampato per un lungo periodo presso la Tipografia Belle Arti.
Aveva tre pubblicazioni settimanali, martedì, giovedì e domenica.
In questa seconda serie, il giornale assunse come sottotitolo la
definizione di "giornale caos di tutti i colori" e, dopo meno di due
mesi di pubblicazioni, dal 1° gennaio 1861, per ancor meglio
evidenziare la continuità con la "Torre di Babele" cambierà l'immagine
d'apertura; la maschera di Arlecchino, inizialmente identica a quella
del 1848, viene spostata sulla destra nell'atto di "fotografare" la
scena e al centro viene posta una torre con la frase "giornale caos di
tutti i colori" scolpita in alto sotto una merlatura parzialmente
distrutta e ai piedi della stessa una folla di gente vociante, arringata
da una specie di garibaldino. Comunque sia, il personaggio dominante è
sempre Arlecchino dal quale il giornale vuole prendere la capacità
burlesca, le acrobazie verbali, il senso di affrancatura dal potere, la
capacità di districarsi dalle situazioni difficili sia mentre illustra
il giornale, come nella prima serie, sia mentre fotografa la scena, come
nella seconda serie, capace di riportare sempre con ironia gli
avvenimenti di cui è testimone.
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Nella sua pur breve vita il giornale riuscì a evidenziare il proprio
carattere democratico, di opposizione alla dittatura, di sentimento
anticlericale, capace di interpretare quella nascente coscienza nazional
popolare che si andava diffondendo dal 1848 e di lasciare una traccia
indelebile nella storia della stampa satirica dell'Ottocento. Questa,
pur non avendo una larga tiratura e una diffusione capillare, ebbe il
merito di riuscire a smuovere le coscienze di una classe dirigente
distratta e di allargare il consenso anche alle classi sociali
analfabete tramite la sintesi dei contenuti degli articoli in una scena,
una vignetta, una rappresentazione.
Ripubblicare tali pagine può sembrare anacronistico, poiché le immagini
caricaturali dopo un lungo periodo dalla pubblicazione possono essere
difficili da percepire nei loro significati, sottintesi e allusioni,
avendo il tempo attenuato la conoscenza delle circostanze storiche che
le hanno stimolate, ma resta comunque sempre la valenza artistica del
disegno, lo humor, restano le caratterizzazioni dei personaggi, le
ironiche sintesi linguistiche che le coronano e le sottolineano e vi si
apprezza una attualità che supera il tempo, la lotta contro i pericoli
della sopraffazione e il desiderio di poter esprimere serenamente e
pubblicamente le proprie opinioni, senza i lacci di una censura, ora
come allora in agguato sotto le più varie forme. Quando poi le si riesce
a ricollocare nei periodi storici, quando si riesce a cogliere i fatti e
le simbologie che le hanno stimolate, allora si captano appieno tutte le
caratteristiche di quelle che possono essere definite "satire
illustrate".
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Anche Delfico, come è consuetudine nella storia della caricatura,
caratterizza i propri personaggi con elementi e attributi che ripete nel
corso del tempo.
Napoleone III è visto come il gran "tessitore" dell'Europa.
Paradigmatica è la caricatura del 20 gennaio 1861, dal titolo "Gran
tela di ragno europea" dove un imperturbabile Napoleone III, con gli
usuali baffi e pizzetto, è rappresentato nelle sembianze di un ragno con
otto zampe che dal centro della tela manipola i personaggi europei a
proprio vantaggio. Una composizione particolarmente efficace nella
propria sintesi. Qualche personaggio viene stritolato dalle zampe, come
l'aquila bicefala simbolo dell'impero d'Austria o Francesco II Re di
Napoli, qualche altro è imbrigliato dalle maglie della tela, come Cavour
e lo stesso Papa.
L'Inghilterra viene rappresentata come un liocorno, o con un personaggio
con il corno in fronte, dall'araldica dello stemma della nazione, dove è
presente un unicorno incatenato, simbolo dell'ardore, della forza e
delle vittorie del popolo. Ne è esempio la caricatura qui riprodotta, "Fluido
e Magnetismo", dove l'Inghilterra dall'angolo in basso a destra,
soffiando sospinge Garibaldi, che con la sola sua presenza, con il solo
suo carisma e magnetismo, riesce a infondere il senso di libertà nei
popoli oppressi, in questo caso l'Ungheria. Ma, sembra di percepire
dalla matita di Delfico un senso di velata critica al "suo" Garibaldi
che sembra quasi diventare un paravento, strumento apparentemente
inconsapevole della nascosta potenza inglese.
Cavour, il tessitore dell'Unità d'Italia, è inconfondibile dietro gli
occhialini tondi e la barbetta mandibolare. Delfico non nasconde la sua
antipatia per il grande statista e non perde occasione per sminuirne la
statura. In "D. Camillo Soldato, e D. Peppe paglietta. Così tutti son
contenti", Garibaldi statuario, in cattedra, senza tentennamenti, indica
la strada da seguire a una platea affascinata, mentre il soldato Cavour
a mò di marionetta marcia al ritmo delle parole del Generale.
L'Italia è rappresentata come nella più classica iconografia come una
donna statuaria, dalla vesti fluenti e con la corona turrita, mentre
maggiore attenzione ve posta nella distinzione fra l'austriaco e il
croato. Il primo rappresentato con il naso rincagnato e con un berretto
militare con visiera, tanto da dargli un'aria da stolto beone, mentre il
secondo è rappresentato con due baffoni, rigidi di sego, all'insù.
A conclusione di queste brevi note, che vogliono essere solo
un'occasione per ammirare alcune opere del nostro illustre concittadino,
sperando siano di stimolo per più approfondite ricerche da parte degli
studiosi del settore, mi è gradito ringraziare Pietro Marcattili per la
disponibilità a trarre fuori dalla sua miniera di belle, curiose e
antiche cose le tavole dell' "Arlecchino" che grazie alla sua passione e
lungimiranza è riuscito a collezionare nel corso del tempo e Maria Paola
Fabiocchi per la straordinaria passione iniziata per studio e portata
avanti con dedizione tanto da farla diventare un punto di riferimento
nelle conoscenze su de Filippis Delfico. Un ringraziamento a parte a
coloro che con la loro sottoscrizione e fiducia permettono tale
iniziativa culturale.
A mò di addenda, una riflessione su di una pagina controversa della
biografia del Delfico, riguarda una sua eventuale collaborazione con un
rivista inglese o la sua presenza nella capitale londinese. Per anni si
sono cercate le tracce di ciò tra le pagine del giornale satirico
inglese "Punch", per giungere alla conclusione di scartare
categoricamente tale ipotesi, non essendone stata trovata alcuna. Solo
ultimamente si è affacciata l'ipotesi di una sua collaborazione con il
giornale inglese "Vanity Fair".
Nel mio peregrinare fra mercati, mercatini, antiquari e rigattieri, ho
acquisito il volume di Roy T. Matthews e Peter Mellini, dal titolo "In
Vanity fair", edito in prima edizione nel 1982, dove Melchiorre De
Filippis Delfico non solo è citato come maestro napoletano dell'arte
della caricatura, capace di influenzare i più importanti caricaturisti
della rivista, come Carlo Pellegrini (1839-1889) meglio conosciuto con
lo pseudonimo di Ape e Adriano Cecioni (1838-1886) scultore oltre che
caricaturista, ma fornisce anche l'elenco di sette caricature a lui
attribuite (anche queste rintracciate dal mercato antiquario) e
pubblicate sulla rivista nel seguente ordine, la prima il 14.12.1872 dal
titolo Baron Paul Jiulius Reuter, Telegrams; la seconda il
21.12.1872 dal titolo Henry Fawcett MP, A Radical Leader;
la terza il 28.12.1872 dal titolo Gabriel Goldney MP,
Practical; la quarta il 04.01.1873 dal titolo William Amelius,
Duke of St Albans, Hereditary Grand Falconer; la quinta il
11.01.1873 dal titolo Robert Wigram Crawford MP, A Man of
Weight; la sesta il 18.01.1873 dal titolo Charles Gilpin MP,
Capital Punishment; la settima il 01.02.1873 dal titolo Earl
of Galloway, Army Reorganization. Caricature che penso
possano riaprire il discorso della collaborazione di Delfico con una
rivista londinese, in questo caso il "Vanity Fair", o direttamente
tramite un breve soggiorno a Londra visto il breve lasso di tempo in cui
le caricature furono pubblicate o indirettamente tramite l'invio di
bozze, poi trasformate in litografie di stampa da qualche altro
collaboratore della rivista. Questa seconda ipotesi potrebbe essere la
più attinente, viste le caratteristiche stilistiche delle caricature che
perdono un po' di quella straordinaria freschezza e godibilità tipiche
del nostro e che si ritrovano ancora una volta in un'altra strenna di
caricature poco nota dal titolo "Il ritorno da Parigi – Album di Delfico
– da distribuirsi in una sol volta – ventiquattro tavole colorate con
legatura analoga", la cui immagine introduttiva è riprodotta qui a
fianco.
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Ad altri gli studi, a noi la soddisfazione di poter ammirare l'arte di
Melchiorre De Filippis Delfico.
In Teramo
lunedì cinque maggio duemilaotto |