De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

biblioteca - archivio virtuale

Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

family web site

Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

Homa page 

Note storiche sulla famiglia Rossi

di Luciana D'Annunzio

Da alcuni documenti di proprietà privata e da ricerche d'archivio si apprende che la famiglia Rossi si insedia effettivamente in Mosciano (oggi Mosciano S. Angelo), con il notaio Alessandro Rossi che, nato intorno al 1698, inizia in questo luogo la sua lunga ed ininterrotta attività notarile che va dal 1722 al 1787. In prime nozze sposa Rosa, figlia di Biagio De Bartolomeis, prestigiosa famiglia di Giulia (oggi Giulianova) e di Caterina Pistilli di Teramo, ma rimasto presto vedovo e senza figli, passa ad un nuovo matrimonio, presumibilmente intorno al 1724, con Maria Faustina, figlia del notaio Nicola Somma di Tortoreto. Da questa unione nascono Quintilia, Francescantonio che prenderà la via del sacerdozio, Ambrogio, Pasquale e Maria.

Ambrogio, laureatosi Dottor Fisico, sposa a Giulia il 5 novembre 1749 Elisabetta, figlia del quondam Giuseppe Mezzoprete, notaio e di Francesca Santarelli. A questo punto è curioso evidenziare che nello stesso giorno del matrimonio di Ambrogio ed Elisabetta, il padre Alessandro, di nuovo vedovo, sposa Francesca Santarelli, come già detto, madre di Elisabetta. Da Ambrogio ed Elisabetta nascono Gianpasquale, Luigi, Marcantonio, Maria Vittoria, che sposerà Giuseppe Procedi di Teramo e Giuseppe che diverrà sacerdote. Dall'unione di Gianpasquale con Anna Maria De Panicis nasce, nel 1787, solamente Francescantonio, almeno così si deduce dalle fonti. Francescantonio, nei primi anni del 1800 si unisce in matrimonio con Anna Candida Ajelli e da loro nascono due figlie di nome Elisabetta, che muoiono da piccole, Doralice che sposerà il famoso medico omeopata Rocco Rubini di Cellino, Maria Eloisa, Maria Giuseppa che sposerà il notaio Caio Tito Macozzi di Mosciano ed Ambrogio che il 20 giugno 1849 sposerà Aurora De Filippis Delfico, figlia di Gregorio De Filippis Delfico Conte di Longano e di Marina Delfico (1).

Aurora De Filippis Delfico e Ambrogio Rossi

Aurora De Filippis Delfico e Ambrogio Rossi

Il nome di Francescantonio, acceso patriota e tenace nemico dell'assolutismo borbonico, è citato in alcuni atti della Polizia Borbonica del 1828, in quanto accusato assieme ad altre persone indagato e processato per "cospirazione ad oggetto di cambiare l'attuale forma di Governo, con riunione armata in campagna". Tali riunioni avvennero di notte tra il 6 e il 21 febbraio del predetto anno nella taverna dei Mezzopreti, sita nella marina di Montepagano (2). Francescantonio riuscì, però, a fuggire nelle vicine Marche, in Ascoli o in Offida ma, tornato dal temporaneo asilo, fu arrestato. Mentre era detenuto, chiese la restituzione di alcuni documenti che gli erano stati sequestrati nella perquisizione della sua casa di Mosciano, ma la polizia ne trattenne alcuni, tra i quali copie di deposizioni per cause politiche ed una lettera "amichevole", proveniente da Napoli, datata 8 luglio 1820 e firmata "Paolo", in cui questi gli annunciava con sommo entusiasmo la così detta "Costituzione proclamata" con espressioni "temerarie e contrarie" al Ministro di Grazia e Giustizia ed a quello delle Finanze. Tra le carte trattenute dalla polizia, vi era la corrispondenza tenuta dal Rossi, nella sua qualità di Capitano dei Militi, carica ricoperta durante il nonimestre costituzionale (luglio 1820 - marzo 1821), missive varie ed una canzone in lingua francese.

Ritratto di Francescantonio Rossi (G. Arnaud, Livorno, 1859)

Ritratto di Francescantonio Rossi (G. Arnaud, Livorno, 1859)

(per concessione del Comune di Mosciano S. Angelo)

Francescantonio Rossi (Archivio privato)

Francescantonio Rossi (Archivio privato, verso della foto)

Francescantonio Rossi (Archivio privato)

(La data indicata sul verso della foto risulta errata, Francescantonio Rossi muore a Livorno nel 1853)

Sempre nelle carte della Polizia Borbonica è conservata una sua lettera riservata trasmessa all'Intendente di Teramo Nicola Lucenti datata "Mosciano li 8 del 5° mese, anno I Era Costituzionale [ 8 dicembre 1820]" nella quale, informandolo delle lamentele della popolazione per il pagamento della contribuzione a favore della Cassa Generale e delle preoccupazioni avanzate dai deputati al Parlamento di Napoli che "…fremono e sono ormai impazienti di non vedersi alcun vantaggio dalla tanto sospirata Costituzione…", gli scrive tra l'altro che si provvederà alla "vestizione dei Legionarj" coll'acquistare a Chieti il panno necessario per le uniformi ed aggiunge che "l'armamento è quasi al completo tra focili di munizione e paesani (3)". Scarcerato e tornato in Mosciano fu sottoposto alla più stretta e rigorosa sorveglianza "… ma questa essendogli di enorme peso in un piccolo comune qual è la sua patria, [scrive il giudice regio di Giulia] pensò sottrarsene, facendo spesso dimora in cotesta Capitale [Giulia], in dove, a crearsi de' riguardi, si rese appaltatore delle somministrazioni alle prigioni, pel che rimeritò la benevolenza de' Procuratori Generali costà destinati, e rimase sorvegliato fino al 1843, quando con Ufficio… sottoscritto dal Segretario d'Intendenza D'Onofri, ne fu escluso…(4)".

Il Rossi partecipò attivamente ai moti di Napoli del 1848 accanto al compatriota Aurelio Saliceti, decaduto Ministro di Grazia e Giustizia e poi triumviro della Repubblica Romana, vantandosi pubblicamente di "…essere stato attivo nelle barricate in Napoli, ed essere stato l'ultimo ad uscire dall'azione (5)". Per quella occasione egli fece confezionare una bandiera tricolore, con stemma sabaudo al centro e con ricamato l'anno 1848 in ciascuna delle due cocche del nastro azzurro, bandiera che, sfidando le rigorose perquisizioni della polizia borbonica, riuscì a portare a casa. Quel drappo, venne offerto dal nipote Francesco Rossi, figlio di Ambrogio, al municipio di Mosciano quando dal 1895 al 1905 ricoprì, ininterrottamente, la carica di sindaco (6). Attualmente è esposta nella Sala della Giunta comunale (7).

Bandiera di Francescantonio Rossi del 1848

Bandiera di Francescantonio Rossi del 1848

(per concessione del Comune di Mosciano S. Angelo)

Bandiera di Francescantonio Rossi del 1848 (particolare)

Bandiera di Francescantonio Rossi del 1848 (particolare)

(per concessione del Comune di Mosciano S. Angelo)

Didascalia posta sotto la bandiera

Didascalia posta sotto la bandiera

(per concessione del Comune di Mosciano S. Angelo)

In seguito ai predetti eventi, il nostro trovò riparo nel limitrofo Stato Pontificio dove, nel gennaio del 1849 era stata proclamata la Repubblica Romana, ed in S. Benedetto, secondo quanto scrive nel rapporto l' Ispettore di Polizia Raffaele Orsini, "… fu a capo dei Repubblicani…né in quel comune vi era chi lo primeggiava, egli per l'impegno, e per l'attaccamento a quell'ordine di cose non la cedeva ad alcuno…Portava una lunga barba bianca ed una penna nera sul cappello che gli venne donata chi dice dal Garibaldi istesso chi da un uffiziale del Garibaldi. Ne' caffè giocava e conversava con i più riscaldati ed è vero che zelante ed attivo vegliava al servizio nel corso della notte…Cadeva in mille improperie contro del Re Nostro Signore, ed il suo intercalare era il Macellaio Borbone Bombardatore… Spesso percorreva per tutte le strade in S. Benedetto su di un legno con la bandiera tricolore, gridando viva la Repubblica, morte ai tiranni e ai preti…adunava gente… e la catechizzava sforzandosi a mostrare i vantaggi del governo repubblicano e …l'infamia dei tiranni…(8)".

Francescantonio Rossi morì nel 1858 a Livorno dove aveva vissuto, in esilio, gli ultimi suoi anni.

Tra i figli di quest'ultimo Ambrogio, nato il 26 marzo 1819, fu quello che seguì le orme paterne, operando attivamente contro il governo borbonico e per la causa dell'unità d'Italia con il sostegno e la piena condivisione della moglie Aurora De Filippis Delfico. Subì un primo procedimento assieme a Nicola Pompizi e Flaminio Saliceti, con l'imputazione di "adunanza illecita nel marzo 1848, con organizzazione di un Comitato popolare in Mosciano, il cui oggetto era non solo di occuparsi degli affari pubblici senza permesso dell'autorità pubblica, ma di demoralizzare pur anche lo spirito pubblico nonché usurpare una parte dei poteri governativi." Ma da tale accusa fu prosciolto dalla Gran Corte Speciale per non aver commesso il fatto con sentenza del 3 settembre 1850, quando si celebrò anche il processo per i fatti di Teramo dell'ottobre 1848 che lo avevano visto di nuovo imputato (9).

Questa volta l'accusa per Ambrogio Rossi fu quella di "provocazione diretta a cambiare la forma di Governo, eccitando gli abitanti del Regno ad armarsi contro l'Autorità Reale" in unione, questa volta, di nobili figure di patrioti quali Troiano De Filippis Delfico, fratello della sua futura moglie Aurora, Francesco Marozzi, Antonio Leognani, Francesco Martegiani, Emanuele Cancrini, Raffaele Menei, Giovanni De Panicis, Nicola Pigliacelli ed altri.

Negli atti processuali si legge: " Dopo che la truppa del Re N. S. comandata dal gen. Landi, occupò Teramo per il trambusto avvenuto il 15 ottobre 1848 (10), i principali compromessi, per tema di cadere nei lacci della giustizia, sloggiarono da questa città e si condussero in Tossicia armati di schioppo, accolti in casa di D. Giuseppe Fasciani, di cui avevano maggior fiducia, onde provocare quel Circondario alla rivolta… Il Fasciani armò anche la sua gente, la quale unitasi ai tre soggetti sopraggiunti D. Francesco Marozzi, D. Ambrogio Rossi, D. Troiano De Filippis Delfico, si avviarono per Fano Adriano…" Da questo luogo, i predetti, si portarono in luoghi montuosi, tutti armati di schioppo e, simulando di andare a caccia, in realtà concertavano nelle boscaglie i loro piani di rivolta. Dopo aver cacciato per qualche tempo, la comitiva si divise in due gruppi: il Delfico, il Marozzi ed il Rossi tornarono a Fano in casa del "famigerato repubblicano" Leognani, gli altri girovagarono ancora per la montagna.

Usciti poi in piazza e vista la Guardia di Pubblica Sicurezza tal Giuseppe De Luca e il soldato Iezzi, cominciarono ad inveire contro le truppe del Real Governo, cantando versi della "Marsigliese" e "maledetto quel soldato ch'è avverso al liberalismo", ed eccitandosi ancora impresero a gridare "Viva la Repubblica! Morte al Governo". Le invettive continuarono per tutta la notte al grido di " Andiamo fratelli, andiamo fratelli, col sangue del Re bagneremo la terra". I più accesi erano Troiano Delfico ed il Leognani il quale, tra l'altro ci tenne a mostrare un busto di gesso del Re Ferdinando II, esistente nella Cancelleria comunale, col capo sfregiato.

Ma dai verbali di pubblica discussione non emerge che, in questi eventi, il Rossi, difeso dall'avvocato Camillo Giosia, avesse avuto un ruolo di primo piano. Negli interrogatori dichiarò esser reale l'aver preso parte alla battuta di caccia dopo il casuale incontro con i compagni e che poi, durante la cena in casa Leognani, invitato aveva cantato la canzone della così detta "papuscia" e della "Guardia Nazionale" e di non aver proferito parole contro il Re ed il Governo, affermazioni tutte confermate dalle testimonianze (11). Difatti, la sentenza emessa dalla Gran Corte Speciale il 3 settembre 1850 mentre condannò i cospiratori Antonio Leognani a 25 anni di ferri, Francesco Martegiani, Emanuele Cancrini, Raffaele Menei, Giovanni De Panicis a 19 anni di ferri ciascuno, Nicola Pigliacelli a 5 anni di prigione, inflisse ad Ambrogio Rossi solo 25 mesi di confino da scontarsi in Montesilvano (12). La pena abbastanza mite, si ebbe anche per il benefico effetto dei "certificati di condotta irreprensibile" richiesti dallo stesso Rossi e inviati dalle autorità militari che lo avevano avuto alle loro dipendenze quando era Guardia d'Onore (13) e propriamente da Reggio il Generale Comandante le Armi Nicolò Flugi, da Napoli il Maresciallo di Campo Giuseppe Ruffo ed il Capo Plotone il Duca d'Atri. Il Rossi era stato proposto dal predetto Ruffo alla Real segreteria di Stato della Guerra e Marina, approvato e nominato Guardia d'Onore dello Squadrone della provincia di Abruzzo Ultra Primo con nota del Comando superiore di Napoli del 16 novembre 1840 e successivamente promosso Caporale, con risoluzione sovrana da Palermo, il 29 ottobre 1845 (14).

L'atteggiamento patriottico del Rossi, da quanto detto, sembrerebbe contraddittorio, ma per vivere forse qualche compromesso era necessario! Sicuramente non manifestò il carattere acceso del padre Francescantonio che, per motivi politici non potè essere a Teramo il 20 giugno del 1849, affidando il suo consenso al matrimonio di Ambrogio con Aurora De Filippis Delfico ad un atto del notaio Antonio Barnabei di Colonnella.

Aurora, educata e cresciuta in quella famiglia che, da anni e in diverse circostanze, aveva tenacemente dato ampie prove di patriottismo e di notevole impegno civile e che, proprio in quel periodo, aveva visto l'esilio dei fratelli Troiano e Filippo, era dotata di forte temperamento e di grande fede nell'unità nazionale, ereditati dalla madre Marina che, sebbene precocemente vedova, continuando una avita tradizione, fece della sua casa il luogo di incontro delle maggiori personalità della vita culturale e politica teramana.

Intanto stavano maturando i tempi per la sospirata Italia unita. Ambrogio, nel luglio del 1860, dopo essere stato proposto in una terna con Nicola Pompizi e Fulgenzio Lucci dal Decurionato di Mosciano a Capo di compagnia della Guardia Nazionale con la quale aveva partecipato, nel marzo del 1861, alla resa della fortezza di Civitella del Tronto, ultimo baluardo borbonico, venne nominato Capitano della stessa nella elezione tenutasi il successivo 30 maggio (15).

Anche Aurora, dal canto suo, non rimase inattiva. Infatti, poiché il Partito d'Azione, nel quale operava attivamente il fratello Troiano De Filippis Delfico, aveva promosso delle collette, due delle quali sotto gli auspici di una Società Patriottica Femminile per la raccolta di denaro o dono di un anello a favore di Garibaldi, con l'intento di procurare i mezzi necessari per effettuare la liberazione di Roma e di Venezia (16), essa vi aderì divenendo presidente di un Comitato femminile abruzzese. La sua opera fu molto apprezzata tanto che lo stesso Garibaldi, da Salò il 5 agosto 1866 le inviò una lettera per manifestare la propria riconoscenza, che iniziava con la seguente espressione "Gentile Signora, Del dono e dell'Eroico ricordo io vi son grato, o fortissime donne dell'Abruzzo…(17)".

Anche Ambrogio ebbe un riconoscimento onorifico per il suo impegno patriottico. Infatti, una nota del Ministero dell’Interno, datata Torino 5 giugno 1863, accompagna l’invio al Prefetto di Teramo del diploma col quale venne insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (18).

Concludo, infine, con una nota singolare relativa ad Ambrogio il quale, alle sue molteplici attività ordinarie, familiari, militari e di impegno politico, unì l'amore per il canto. Precedentemente citato quale interprete di inni patriottici negli eventi del 1848, si era fatto già apprezzare con successo, in qualità di basso, con un contralto ed un tenore della Marca anconetana nell'esecuzione di un sacro Oratorio La Giuditta, su versi di Stefano De Martinis posti in musica da Camillo Bruschelli, composto in occasione della festa della Madonna della Consolazione e Soccorso celebrata a Teramo dalla Arciconfraternita dei Cinturati dal 22 al 25 settembre 1843 (19). Fece poi parte tra il 1855 e il 1856 della Deputazione per la Musica quando si celebrò la grandiosa festa in onore della Madonna delle Grazie e di S. Berardo con la rappresentazione, dell'oratorio Barac, musicato da Melchiorre De Filippis Delfico, fratello di Aurora, su libretto di Domenico Bolognese. Alcune lettere interlocutorie tra lui e il cognato Melchiorre che risiedeva a Napoli, testimoniano gli accordi per la messa a punto dell'orchestra e del coro necessari all'esecuzione dell'azione sacra (20).

Da Ambrogio ed Aurora discenderanno ben dodici figli.

Stemma famiglia Rossi

Stemma famiglia Rossi

_______________

(1) La genealogia riportata, compresa tra gli anni 1698-1894 e verosimilmente incompleta, è stata ricostruita attraverso gli Atti dei notai Angelo Antonio Macozzi, Marcello Guerrucci, Vincenzo Maria Crocetti e Francescantonio De Florentiis tutti di Mosciano e di Giuseppe Boffa di Giulianova conservati presso l'Archivio di Stato di Teramo, Libri dei Matrimoni e dei Morti conservati nella parrocchia di S. Flaviano di Giulianova, Libri dei Nati e dei Morti di Mosciano conservati nell'Archivio Vescovile di Teramo ed infine gli atti dello Stato Civile di Teramo e di Mosciano conservati presso l'Archivio di Stato di Teramo. Per la consultazione di questi ultimi ringrazio sentitamente le colleghe dei Servizi Globali Giuliana Di Egidio, Lilia Marcelli, Adua Marziani, Maria Zanni.

(2) A.S. Te, Polizia Borbonica, b. 194, f. 1 e Gran Corte Criminale, b. 819/ 1-2. Assieme a Francescantonio Rossi sono accusati Giuseppe del Cucco e Nicola Massei di Teramo, Vincenzo Sperandii di Castellalto, Nicola Orsoni di Chieti, Nicola D'Antonio, Gennaro D'Annunzio e Pasquale Ippoliti di Ripattoni, Lucidoro Puliti di Bellante ed altri due "non liquidati".

(3) A.S. Te, Polizia Borbonica, b. 119, f. 7.

(4) A.S. Te, Polizia Borbonica, b. 76, f. 14.

(5) A.S. Te, Ibidem.

(6) A.S. Te, Prefettura II 13, serie II - Mosciano S. Angelo, b. 188, ff. 4 – 5.

(7) Le informazioni sono state gentilmente fornite dagli eredi Monica Beltrametti e Valerio Rossi che ringrazio. La bandiera nel 1961, in occasione della ricorrenza del centenario dell'unità d'Italia fu esposta a Teramo, nella mostra celebrativa dell'evento e successivamente restituita al comune di Mosciano. Attualmente si conserva nella Sala della Giunta del Comune di Mosciano S. Angelo. Si ringrazia il Sindaco per averne autorizzata la riproduzione fotografica e la pubblicazione.

(8) A.S. Te, Polizia Borbonica, b. 76, f. 14. Il rapporto è stilato durante le indagini condotte a seguito dell'arresto del Rossi nella città di Fermo per mancanza di regolari recapiti.

(9) A.S. Te, Gran Corte Criminale, b. 825/2, vol. 12. Nei verbali di pubblica discussione e decisione della Corte così è narrato il fatto: " Nel 1848 diversi individui di Teramo e di Giulia si portarono in Mosciano, ed erano D. Riccardo Comi, D. Flaviano Bucci, D. Daniele Cavarocchi, un tale impiegato de Oltero, D. Berardo Bonolis, D. Giuseppe Montorj Patrocinatore – Dopo la loro comparsa in Mosciano si vide installato un circolo nel quale era D. Nicola Pompizi il Presidente, D. Flamminio Saliceti il Segretario, l'accusato Rossi un tal De Panicis e Lucci membri dello stesso. Questo circolo si riunì due in tre volte (sic); la prima in casa del Presidente, la seconda nella Cancelleria comunale, l'ultima a porte aperte nella Chiesa di S. Antonio, ove intervenne ogni specie di persone e segnatamente la classe de' contadini. Gli oggetti che furono ivi discussi furono di mettersi di concerto per salvare la pace del paese e garantirlo da qualche insorgenza popolare; di progettare dei lavori pubblici per dare da vivere al basso popolo, ed in effetti fu progettata e fatta a spese de' particolari di quel Comune la via della fontana, per la quale il Sig. Rossi fu pure uno de' primi contribuenti. Il Sig. Rossi nell'interrogatorio non ha negato di essersi riunito due o tre volte nella sua patria con molti cittadini per l'oggetto di sopra espresso… Considerato che questa specie di riunione quando manca ogni vincolo di segreto e, solo il dovuto permesso della polizia per eseguirsi, non sono dalla legge punite in corpo ma presi di mira soltanto i capi e direttori di essa. E' la legge che lo esprime… perché non vuol punita la moltitudine in cui un assembramento, nel quale mancando il segreto vi ha la possibilità dell'accesso a chicchessia e quindi la presunzione di oggetti non criminosi. Nel caso in esame, le riunioni… furon pubbliche, l'oggetto mirava al vantaggio della universalità …qualunque potesse essere poi quello che ruminavano nelle loro menti coloro che si portarono in Mosciano a progettarle ed il Sig. Rossi non fu né capo né direttore di essa, ma solo uno de' componenti che la legge non guarda e da cui la sua patria riceveva pure un soccorso colla contribuzione da lui largita… così niun dubbio rimane sul conto suo…"

(10) A.S. Te, Polizia Borbonica, b. 477, f. 2 La sera del 15 ottobre 1848 in Teramo, Trojano e Filippo De Filippis Delfico, Antonio Tripoti, il sacerdote Raimondo Massei, Donato Del Cucco e Rocco Cancrini avevano costretto a mano armata con il concorso della violenza pubblica Nicolò Flugi, Generale Comandante le Armi della Provincia, a non fare un atto dipendente dal suo ufficio. Il generale Flugi fu poi sostituito dal Landi.

(11) A.S. Te, Gran Corte Criminale, b. 825/1, vol. 10. Nel volume della requisitoria del Pubblico Ministero - Discarico per Ambrogio Rossi – si legge " 1. Ambrogio Rossi partì da Teramo il giorno 16 8bre 1848 alfine di recarsi in Morelli ad assistere, come in tutti gli anni alla vendemmia. 2. Trattenutosi in detta villa alla vendemmia, ivi riseppe da D. Leonardo Madonna gli avvenimenti della sera del 16 8bre in Teramo, fatti che destarono la sua indignazione. 3. Il ponente recossi in Isola per pagare il contributo fondiario, e trattare alcuni affari col Sig. Madonna; di ritorno attraversando Tossicia s'imbattè per azzardo con D. Trojano de Filippis Delfico, Marozzi e Fasciani, che lo invitarono ad una partita di caccia. 4. In Fano Adriano nessun detto, nessuna parola fu pronunziata dal Ponente che avesse potuto menomamente offendere la legge e la sacra persona del Re (D.G.). 5. Durante la cena in casa Leognani il ponente medesimo non cantò, che a premura degli astanti innocentissime canzoni cioè La pappuscia e la Guardia Nazionale. 6. Il Caporale di Pubblica Sicurezza de Luca manifestava ai controscritti testimoni in Città S. Angelo, che altri, nongià il ponente pronunziavano voci oltraggiose contro la Sacra persona del Re e che il ponente medesimo usò tanto ad esso de Luca, che al guardia Ferri non equivoci tratti di amicizia. 7. Nel riuscire di casa De Vincentiis in Fano a circa mezz'ora di notte, avviandosi a casa Leognani cantò Il Bivacco e la Guardia Nazionale, né più uscì dopo la cena. 8. Il Ponente tanto negli anni precedenti che nel 1848 è stato sempre d'irreprensibile condotta morale, religiosa e politica, ubbidiente alle leggi, affezionato all'ordine, e devoto alla S. Persona del Re Nostro Augusto Sovrano." Nello stesso atto vi sono elencati tutti i nomi dei testimoni ed i certificati prodotti.

(12) A.S. Te, Gran Corte Criminale, b. 825/2, vol. 12.

(13) Il corpo delle Guardie d'onore, sorto per iniziative spontanee di "volenterosi giovani" in occasione dei viaggi di Ferdinando II, fu regolamentato dal r. d. 30 maggio 1833. In ogni provincia del regno doveva esserci uno squadrone di 140 individui di età compresa tra i 17 ed i 40 anni poi elevata dai 20 ai 50. Il corpo, che parrebbe di nessuna utilità militare prestava servizio nelle ricorrenze di solennità e di gala, e quando il re o altri componenti della famiglia reale si trovavano in visita nelle province. Le famiglie possidenti erano tenute a fornire alla Guardia d'onore un solo milite, di preferenza il più giovane tra i fratelli ed erano a loro carico l'uniforme e il cavallo. Il citato r.d. concedeva l'esenzione dalla leva con l'impegno di servire per cinque anni nella Guardia d'onore, previa autorizzazione del Ministero della guerra. L'ammissione avveniva su proposta dell'Intendente e del Comandante delle armi della provincia. Le Guardie d'onore furono dette "guardie nazionali a cavallo" durante la parentesi costituzionale 1848-1850 e di nuovo dopo il 25 giugno 1860. Cfr. G. Landi, Istituzioni del Regno delle due Sicilie (1815-1861), Milano, 1977

(14) A.S. Te, Gran Corte Criminale, b. 825/1, vol. 10.

(15) A.S. Te, Polizia Borbonica, b. 582, f. 3.

(16) A.S. Te, Prefettura Gabinetto I e II versamento, b. 40, f. 50.

(17) La consultazione del documento mi è stata gentilmente concessa dagli eredi Rossi che ringrazio (proprietari della villa Rossi, oggi Romantic Relais a Silvi Marina).

(18) A.S. Te, Prefettura II/8, serie I, cat, 27, b. 1, f. 13

(19) A.S. Te, Affari Ecclesiastici, b. 30, f. 834.

(20) Archivio Storico Comunale Teramo, b. 82, f. 15, div. III, sez. I.