Durante il
lavoro di riordinamento del complesso documentario relativo al fondo
Polizia Borbonica presso l'Archivio di Stato di Teramo in un
fascicolo, contenente composizioni in versi manoscritti da autorizzarsi
per la stampa, con vera sorpresa ne ho trovato alcuni dedicati al
musicista e pittore caricaturista teramano Melchiorre De Filippis
Delfico (1). Il mio stupore derivava dal fatto
che, da tempo, avevo vanamente "tentato di trovare" una
testimonianza della presenza artistica del musicista
nel teatro Corradi
di Teramo, unico attivo in città dal 1792 al 1868, perché non mi
sembrava possibile che ciò non si fosse mai verificato (2).
Alcuni dei
versi, indirizzati all'illustre concittadino "Per gratitudine ed
affetto" sono a firma di Pietro Corradi, proprietario dell'omonimo
teatro e di Carlo Campana, insegnante di matematica presso il Real
Collegio S. Matteo di Teramo e datati 8 maggio 1856, altri recanti la
dedica "I concittadini estatici… nella sera del 10 maggio 1856
plaudenti offrivano" sono di Andrea Palombieri, insegnante di
lingua italiana nel predetto Collegio.
In quel
periodo, nel teatro cittadino era allestita la stagione musicale di
primavera, appaltata alla Compagnia in musica di Raffaele Maccaferri di
Ancona per la produzione de' Il Trovatore, della Luisa
Miller e de' I Masnadieri(3).
L'incidente
accaduto al tenore Eugenio Concordia, la rottura di una gamba, rischiava
di far saltare la rappresentazione de' Il Trovatore, con notevole
danno per gli artisti della compagnia (4)
cosicchè, Melchiorre De Filippis Delfico (5),
trovandosi a Teramo per un altro evento importante come si dirà più
avanti, ed informato dell'accaduto improvvisò in scena la parte del
protagonista Manrico con "la tradizionale filantropia degli avi
illustri" e "per l'altrui soccorso prestò l'opera
sua" come annoverano il Campana ed il Corradi.
Il successo
dovette essere notevole perché, in una lettera del 5 giugno 1856 a
firma di Giovanni Marcozzi, deputato ai Pubblici spettacoli e diretta
all'Intendente per la soluzione di una controversia tra l'impresario
Maccaferri e due artisti della Compagnia, egli scrive che "…per
la generosità del Signor Delfico… sono in cassa cento e più ducati a
vantaggio dell'impresa per le due serate che si fecero fuori
abbonamento (6)." Nel Giornale d'Italia
– Divagazioni della Domenica del 21 dicembre 1913, Guido D'Agostino
in un articolo dedicato a Melchiorre De Filippis Delfico riporta l'evento
con le parole di Emidio Agostinoni "…Inutile dire che il teatro
fu preso d'assalto, e così il poeta, musicista e caricaturista cantò
senza prova, come avesse avuto al suo attivo dieci
anni di carriera, e fu tanta la sorpresa e la festa che vollero
riportarlo a casa in trionfo, in alto, sulle spalle, tra i bagliori di
una fiaccolata improvvisata (7)".
Questo
avvenimento costituì, senza dubbio, l'esordio di Melchiorre nella
città natale. E' lui stesso, infatti, a darne conferma in una
lettera
da Napoli del 13 maggio 1857 diretta alla madre Marina, nella quale,
informandola del grande successo avuto nella prima dell'opera
Don
Pasquale di Donizetti, tra l'altro scrive "…Un trionfo più
completo non si poteva desiderare. Non trovo parole da potervelo
esprimere. E' andato tanto bene, che per tutta Napoli si parla con
entusiasmo di questa cosa. Domenica a sera, nell'istesso giorno in cui
io l'anno passato debuttai costì col Trovatore, o debbuttato (sic)
qui col Don Pasquale (8)."
L'altra
manifestazione importante per la quale il musicista si trovava a Teramo
era stata fortemente desiderata dalla popolazione ed accuratamente
organizzata dalla Municipalità cittadina. Era una festa di
ringraziamento in onore di S. Berardo e della Madonna delle Grazie,
patroni della città, da celebrarsi nei giorni 18, 19, 20 e 21 maggio
1856, poiché per loro intercessione la città di Teramo era stata
preservata dal colera. Infatti, nei primi mesi del 1855 il morbo si era
diffuso nelle limitrofe province marchigiane, estendendosi con rapidità
nei luoghi vicini. Nella provincia aprutina le vittime furono numerose
mentre, nel capoluogo si registrarono solamente sporadici casi, come
dimostrano gli stati di salute redatti quotidianamente dalle autorità
preposte (9).
In realtà la
festa era stata programmata per il settembre 1855 ma, una recrudescenza
del contagio, l'aveva fatta rimandare al maggio del successivo anno. I
preparativi, infatti, erano iniziati già dal mese di aprile quando, il
sindaco di Teramo Giustino De Albentiis, a seguito della delibera del
Decurionato, inviava delle lettere per prendere i preliminari contatti
con artisti, musicisti, artigiani, tappezzieri e pirotecnici. In
particolare, così scriveva a Melchiorre De Filippis Delfico residente a
Napoli "…apprezzando la sua valentia nella bell'arte musicale
che la qualità di concittadino, ha creduto pregarla per la composizione
di qualcuna delle musiche solite ad eseguirsi in simili circostanze. Io
adempio, della mia parte, con sommo compiacimento, l'incarico di farle
tale richiesta, persuaso che l'amore del proprio paese vincerà
qualunque ostacolo e saprà imporle dei sacrifici... (10)"
La risposta
non si farà attendere dimostrando il grande legame che il musicista ha
con la sua città "…mi veggo troppo onorato dell'incarico
ricevuto… Però debbo farle osservare, che pria di darle una
definitiva risposta, fa d'uopo conoscere quale sarà il genere di
detta musica, se Oratorio, Messa di Gloria, o Vesperi; più bisogna
assolutamente che sappia quali saranno gli esecutori, e specificatamente
la quantità e qualità delle voci… La prego intanto di credere che
dal canto mio farò di tutto per prestarmi ad un invito tanto
lusinghiero, e che tanto mi onora."
Il sindaco in
risposta gli comunicava che "… il desiderio che nutresi [è] di
sentire un Oratorio composto e diretto da lei… Ed affinché ella possa
con ogni suo comodo occuparsi della bisogna potrà richiedere qualche
suo amico poeta e librettista di costà a comporre la poesia dell'Oratorio…
Io le trasmetto una copia della vita del Santo Vescovo Berardo che
potrà esser utile al Poeta per attingervi le notizie opportune…"
Il musicista, dopo aver affidato al poeta Domenico Bolognese (11)
la scrittura dei versi, fa sapere che il tipo di composizione richiesta,
a Napoli non è conosciuta ed allora il sindaco, il 4 maggio, nell'inviare
tre libretti composti per altra occasione scriveva che "… qualora
il tempo mancasse per un nuovo soggetto potrà il Poeta sceglierne uno
fra i tre che più torni al genio suo e di Lei e dandogli una forma di
lirica a seconda del gusto attuale e delle esigenze della musica… da
cantarsi in Chiesa in onore del nostro Patrono il S. Vescovo Berardo e
di Maria SS. delle Grazie, a rendimento di grazie che gli dobbiamo per
la valevole protezione mostrataci in particolare nell'ultima invasione
del tristo morbo, il cholera…" aggiungendo che "… le voci
che si adibiranno saranno quelle di Basso, Contralto, Tenore, di secondo
Basso e forse anche di un Soprano. L'orchestra sarà completa, i cori
numerosi, poiché si avrà una compagnia in musica…" Per far sì
che il musicista potesse dedicare maggior tempo alla composizione e
ritenendo il periodo troppo breve, il sindaco si premurò di scrivere al
Ministro segretario di Stato dell'Interno, dove il Delfico era
impiegato "…mi fo ardito presentare all'E. V. le più calde e
fervorose preghiere anche a nome di questo Decurionato, perché si
compiaccia di accordare al S. Delfico un congedo di trimestre a contare
dal 1 giugno, affinché possa occuparsi della composizione della musica
non solo, ma recarsi in questa sua patria a dirigerla…" Non si ha
notizia sulla concessione del permesso.
Il
riacutizzarsi del morbo non consentì, però, lo svolgimento della festa
prevista per il mese di settembre ed il sindaco si vide costretto ad
informare tutti gli artisti e le maestranze coinvolte sulla necessità
del rinvio al maggio del 1856. Melchiorre nel prendere atto della
notizia l'8 agosto 1855 comunica al sindaco "Mi pregio farle
conoscere che la musica del noto Oratorio - dal titolo
Barac (12)
- è diggià compiuta, le parti di canto e di orchestra son cavate e
tutto è all'ordine… Spero intanto che la suddetta mia musica,
riesca di pieno gradimento a cotesti miei concittadini, assicurandola
che dal canto mio, ò fatto ogni sforzo per ben riuscire nell'intento,
anzi per vieppiù ingrandire il mio lavoro, vi ò aggiunto una Sinfonia,
appositamente scritta per introduzione del cennato Oratorio." Nel
dare notizia dell'opera del librettista così scrive " Domenico
Bolognese ha terminato il suo lavoro, e l'accerto che non poteva
riuscire di mio maggior gradimento. E per novità di concetto, e per la
chiara allusione al nostro S. Berardo ed alla Madonna delle Grazie, e
per la felicissima verseggiatura mi ha immensamente ispirato. Anche il
noto letterato Giulio Genoino (13) che l'ha
inteso n'è contentissimo…"
La festa
finalmente ebbe luogo, con un programma ricco di avvenimenti sia sacri
che profani, annunciata dal sindaco De Albentiis e solennizzata nei
giorni 18, 19, 20, 21 maggio 1856. Ai riti liturgici accompagnati dalle
musiche appositamente composte da Camillo Bruschelli, maestro di
cappella della cattedrale aprutina, eseguite da coro ed orchestra ed ai
cortei, presenziati da tutte le autorità religiose, civili e militari,
che sfilarono per tutte le vie cittadine "rischiarate da splendida
illuminazione", per tutti i quattro giorni si alternarono
"armoniosi concenti di Bande musicali…corse di berberi…elevazione
di gran numero di aerostati… svariati giochi popolari e fuochi d'artificio
composti da valenti pirotecnici con isvariatissime appariscenze…".
Nelle serate poi del 20 e del 21 si cantò l'Azione Sacra "…
allusiva alla circostanza, di cui la musica [fu] parto del fecondo
ingegno del Signor Melchiorre De Filippis Delfico de' Conti di Longano
nostro onorevole Concittadino che gentilmente ne fa dono alla patria…"
e nel Teatro Corradi si diede nuovamente "la tanto applaudita"
opera Il Trovatore di Verdi.
Nella
relazione sull'ordine pubblico che inviò al Direttore della Polizia
generale in Napoli per sottolineare l'imponenza e la solennità dell'evento
Santo Roberti, Intendente della provincia di Teramo, così commentava
"… previo mio permesso celebrarono [la festa] con una pompa
veramente straordinaria, giacchè la spesa, la quale fu il prodotto
delle offerte volontarie, ascese a poco meno di ducati tremila…
Numerosi, e direi meglio infiniti furono gli spettatori che vi
concorsero dai diversi comuni di questa e di altre provincie ed anche
dall'estero… (14)"
Le notizie
biografiche di Melchiorre ci presentano un personaggio estroso dalla
precoce e creativa genialità artistica espressa nella musica come nel
teatro ed affidata alla prodigiosa e fervida matita per eccellenti
caricature.
Vorrei, a
questo punto, aggiungere qualche dettaglio relativo al suo carattere ed
alla sua vita sulla base di documenti, alcuni dei quali, probabilmente
inediti.
Terzogenito
di Gregorio De Filippis, conte di Longano e di Marina Delfico, pronipote
dell'omonimo filosofo, storico e giurista, Melchiorre nasce a Teramo
il 28 marzo 1825. Come testimoniano le caricature
autobiografiche (15)
manifesta precocemente il suo interesse per l'arte avviandosi allo
studio della musica, probabilmente con Camillo Bruschelli, insegnante di
pianoforte, dal 1829, presso il Real Collegio S. Matteo (16)
e maestro di cappella della Cattedrale aprutina.
In una
affettuosa lettera, il fratello Troiano, studente in Napoli, così gli
scrive: " Caro Melchiorre ho ricevuto la tua letterina colla quale
fra l'altre cose mi dici che desideri un assortimento di corde ed io
già te l'ho preso … L'altra sera sentii uno spartito al S. Carlo
che per la prima volta si rappresentava in Napoli il quale fece un
furore, esso è il Giuramento di Mercatante (sic), avrei voluto
che fossi stato con noi per farti sentire che musica divina ed in che
maniera eseguita. Ti esorto a studiare con calore la musica giacchè se
tu fossi in Napoli vedresti com'è ammirato e stimato un giovane che
si sa distinguere in questa bella arte… (17)"
L'esortazione
del fratello non sarà certamente vana!
Il versatile
Melchiorre frequenta, con merito, anche la locale scuola di disegno
sotto la guida del pittore Pasquale Della Monica il quale, proprio
grazie all'aiuto del suo amico Gregorio De Filippis Delfico, aveva
raggiunto Teramo nell'ottobre del 1821 perchè compromesso nei moti
carbonari di Napoli. Solo pochi mesi dopo, il 16 febbraio 1822, ottiene
la nomina di Maestro di disegno presso il Real Collegio S. Matteo (18),
in sostituzione di Muzio Muzii (19) esonerato per
motivi politici.
Il talento
per l'arte dell'adolescente Delfico si mette in evidenza già nel
"pubblico saggio" che il Della Monica aveva organizzato nella
sala comunale nel maggio del 1839, in occasione del quale aveva
presentato "Un'accademia ed un corso di anatomia" a lapis,
opera che l'anonimo recensore del Giornale Abruzzese annovera tra
"le produzioni degne di lode e… che hanno maggiormente fissata l'attenzione
degli osservatori (20)."
Trasferitosi
a Napoli nel 1841 per compiere gli studi letterari sotto la guida dell'umanista
monsignor Antonio Mirabelli, si distingue rapidamente per il suo genio
versatile di poeta, pittore, giornalista, musicista e filodrammatico
tanto che, nel settembre 1845, viene allestita al Teatro Nuovo la sua
prima opera Il carceriere del 1793, accolta favorevolmente
dal pubblico napoletano e sulla quale un anonimo critico commenta "…
considerato nei rapporti della sua verde età di men che quattro lustri,
e della nessuna esperienza in fatto di cose teatrali, è ben
ragguardevole anche agli occhi della ghiacciata e severa critica… (21)"
Accanto a
tanta versatilità e genialità artistiche Melchiorre manifesta,
tuttavia, alcune intemperanze di carattere e qualche
"dimenticanza" verso i famigliari e non solo, come è
possibile cogliere nelle lettere che il padre Gregorio, frequentemente,
invia a Napoli dove si trovavano anche i fratelli Troiano e Filippo. In
quelle del 25 marzo e del 5 aprile 1844, ad esempio, il padre gli
ricorda di rispondere a Carlo Ginaldi per "l'affare" di cui
lo aveva incaricato ed aggiunge "…né mai rispose e ringraziò D.
Andrea Palombieri della lettera e de' libretti di fichi secchi
inviatigli per mezzo mio: faccia dunque l'una e l'altra risposta, e
cominci dal chiedere scusa della tardanza (22)."
Nella lettera
del 13 dicembre 1844 il genitore lamentandosi di non avere loro notizie
"… raccomanda nuovamente a Melchiorre le commissioni che ricevè
prima e dopo della partenza. Ed io, per me [scrive] gli ricordo il
catalogo delle piante di Torino… Lodovico è impaziente di veder
giungere i pastori, Margherita le sedie e Bernardino i colori e la tela (23)"
oppure, nella successiva del 23 dicembre, dove gli viene chiesto di far
sapere l'uso che farà, per poterlo approvare, della
"gratificazione" ricevuta perché non venga spesa "in
cose superflue e di lusso (24)."
I richiami si
fanno insistenti, per il tramite di Troiano, in due missive dei primi
mesi del 1845. Nell'una gli "…raccomanda di spingere Melchiorre
ad eseguire le incombenze che ebbe dalla famiglia nonché a dare
categoriche risposte a varie domande che in varie lettere gli [aveva]
fatto…" nell'altra lo rimprovera per non aver dato sue notizie
e di non aver soddisfatto le commissioni ricevute esortandolo con le
seguenti parole "….badi egli dunque che, se per ora gli ho
dimezzato il mensile, continuando così, glielo leverò in tutto e
prenderò delle altre misure, che poco certo gli potranno piacere. E'
un colpevole oblio verso la sua famiglia questo che egli usa, ed un
saggio di ingratitudine certamente non aspettato. Se egli è
insuscettibile di rendergli i piccoli servigi pe' quali le sorelle ed
i fratelli si erano raccomandati, ne passi l'incarico ad altri… ma
non continui a fare scioccamente il sordo perché gliene verrà male (25)."
In realtà, un
provvedimento in tal senso era stato già preso in precedenza dal padre
Gregorio come si evince da una accorata lettera di Melchiorre, inviata da
Napoli il
22
luglio 1843 alla madre Marina dove tra l'altro scrive "…sembrami
impossibile come Papà abbia potuto fare questa cosa [sospensione di
mesata]; giacchè sono molti giorni che sto senza prendere neppure u grano
di caffè…continuando…sarò ridotto, o a fare un debito, o pure a vendermi
il mio violino; cosa che più facilmente farò se non mi mandate qualche
cosa, ed al più presto possibile; ve ne supplico… Sono stato ardito dirvi
queste cose, ma a voi solo; dappoichè sapendo che Papà trovasi a
Montesilvano potrete avere questa mia senza sua saputa, e mandarmi così
anche qualche cosetta".
Non desta
meraviglia, a questo punto, la lettera che Melchiorre invia da Teramo al
fratello Troiano il 6 settembre 1844 nella quale, informandolo del
disastroso viaggio fatto, scrive "…Ti prego di fare le mie parti
col Sig. D. Giovanni il quale mi perdonerà se non ancora ho adempito al
mio dovere, ma nella ventura posta spero di poter scrivere sia a lui che
D. Checchina alla quale dirai… che non l'ho potuta servire riguardo
alla somma che gentilmente m'improntò pel mio viaggio, ma subito che
ritornerà papà non dimenticherò di parlargliene. Intanto se vedi zio
Giovannino (26) gli dirai che in questa posta è
stato impossibile lo scrivergli ma che non trascurerò di farlo… P. S.
ti raccomando di pulirmi qualche volta il pianoforte scoprendolo
interamente (27)."
Non è sempre
facile regolare un talento artistico!
Per
gratitudine ed affetto Teramo 8 maggio 1856
Onorate il
chiarissimo cittadino
Melchiorre De
Filippis Delfico
che per lo
altrui soccorso
presta l'opera
sua.
Onorate la
virtù
di Melchiorre
De Filippis Delfico
che non
isdegna
calcare le
patrie scene
onde bene
altri n'avesse.
Onorate
Melchiorre De
Filippis Delfico
chè con
melodioso canto
rapisce gli
animi
lenisce l'altrui
dolore.
L'atto
magnanimo
di Melchiorre
De Filippis Delfico
pone ne suoi
concittadini
eterna
memoria.
Pietro Corradi
Degli avi
illustri
La
tradizionale filantropia
Melchiorre De
Filippis Delfico
Smentita non
volle.
Carlo Campana
Al degno erede
del nome e del genio
Del Gran
Melchiorre Delfico
Chè alla
sventura del valente Tenore
Don Eugenio
Concordia
Ispirato da
filantropico sentimento
La parte
improvvisava di Manrico
Nell'opera
del Trovatore
I concittadini
estatici
Verso chi
accresce tanta gloria al nome teramano
Questa corona
di eletti fiori
Nella sera del
10 maggio 1856
Plaudenti
offrivano.
Andrea Palombieri
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