Com’è noto il
Regio Liceo Ginnasiale (intitolato a "M. Delfico" nel 1865), sorse nel
1861 con l’estensione della legge Casati (n. 3275 del 13/11/1859),
nell’ex Regno delle Due Sicilie (1). Ebbe sede, insieme con il Convitto,
nei locali corrispondenti agli edifici dell’ex Provveditorato agli studi
e dell’INAIL, in Corso S. Giorgio, tra i quali si interponeva la Chiesa
barocca di S. Matteo, demolita dal regime fascista. Precedentemente dal
1814 al 1861 erano stati la sede del R. Collegio e, dal 1857, del R.
Liceo-Università (2). Una preziosa testimonianza dell’Avv.
Riccardo Cerulli
(1920-2002) [del quale si veda il denso profilo di S. Galantini, R.C.,
in Gente d’Abruzzo, Dizionario biografico, Andromeda ed.,
Recanati, 2000, pp. 317-320], consente di lumeggiare in linea di massima
la strutturazione interna della Scuola, che fu trasferita nella nuova
sede di piazza Dante nell’ottobre del 1933. Il nobile e impareggiabile
Amico, con il quale è intercorsa una folta corrispondenza negli anni
1976/1985 (3) allorché iniziai gli studi sul Real Collegio e
sull’istruzione pubblica e privata nella provincia di Teramo, mi inviò
la "memoria" su mia esplicita richiesta, avendo da lui saputo che vi fu
alunno fino al 1933. Così scriveva il 2 dicembre 1984 nel biglietto che
accompagnava la "memoria": «Caro professore (…) Le rispondo in ritardo
perché ho dovuto riordinare i miei ricordi, più che cinquantenari, sul
R. Collegio. Ho scritto queste paginette, delle quali La prego di fare
l’uso più discreto possibile». L’Avv. Cerulli attingeva ai ricordi di
scolaro, che entrò nel R. Convitto nel 1927, per frequentarvi le classi
3^, 4^ e 5^ elementare, le classi 1^, 2^ e 3^ ginnasiale inferiore, e la
4^ ginnasiale superiore, passando nel nuovo imponente edificio di piazza
Dante nell’ottobre/novembre del 1933, dove frequentò la 5^ ginnasiale e
il Liceo, conseguendovi la maturità classica nel 1937. Ecco la
"memoria"dell’Avvocato Cerulli: «Nell’edificio del Real Collegio
si entrava in via Michitelli: poco più di una "rua" tra il corso S.
Giorgio e l’artistico cancello in ferro battuto del cine-teatro Apollo.
Nello spazio di forse quattro metri, tra il grande portone in rovere e
una contrapposta vetrata a due ante, sostava, durante il giorno un
portiere gallonato. Era Ferdinando; il suo viso paffuto e roseo era
ingentilito da candidi/favoriti, raggiunti da spessi baffi merovingi. Di
notte si ritirava nella sua guardiola di legno, subito a sinistra
dell’entrata, divisa in due piani; quello superiore adibito a camera da
letto, squallida e gelida d’inverno, caldissima d’estate. Al di là della
vetrata, un androne rettangolare, molto alto, disimpegnava l’intero
terraneo. Alla sua destra le porte della Biblioteca "M. Delfico" e
dell’aula della IV e V elementare del semiconvitto. Alla sua sinistra,
quella dei gabinetti di scienze naturali e di fisica del Liceo.
Dirimpetto al portone, un piccolo palcoscenico: alla fine dell’anno
scolastico vi si dava qualche rappresentazione teatrale; attori alcuni
alunni scelti e preparati con cura dal professore di italiano del Liceo.
Nel 1931, su quel modesto tavolato, andò in scena, applauditissima,
La Locandiera di Goldoni. Nelle ricorrenze patriottiche veniva
usato, come palco, per gli infiammati discorsi di quei tempi. A fianco
degli oratori prendevano posto, sulle sedie meglio conservate del
Collegio, le autorità civili, militari, religiose e scolastiche alcune
in abiti da cerimonia, altre in camicia nera sovrabbondante di nastrini
di decorazioni guerresche. All’estrema sinistra dell’androne, da
un’apertura sormontata da un arco a tutto sesto, carico di ornati
barocchi, si passava all’ampio vano scala, illuminato da grandi
finestroni. Qui la porta dell’aula delle elementari inferiori, gestite
dal semiconvitto, e di fronte la prima rampa della comoda gradinata di
accesso ai piani superiori. Dalla sua destra partiva il lungo corridoio
che conduceva all’oblungo refettorio e alle (odorose) cucine. Collegiali
e semicollegiali sedevano – le spalle al muro – avanti a due strette
tavole, imbandite con sobrietà – una da una parte – una dall’altra. Il
loro comportamento durante i pasti era abbastanza rumoroso, ma quasi
sempre corretto. Un vecchio istitutore, dai baffi spioventi, alla
tartara, percorreva senza soste lo stretto passaggio tra le due tavole,
attento ai rumori eccessivi e ad altre eventuali irregolarità, subito
represse e all’occorrenza punite. Il trasgressore veniva invitato ad
alzarsi e a rimanere in piedi fino alla fine del pranzo, o della cena,
quando tornava a sedere, per finire di consumare le pietanze, ormai
fredde! (oggi, una punizione del genere sarebbe ritenuta fuori di misura
e qualificato torturatore che l’applicasse). Le scale – molto
somiglianti a quelle del prossimo Palazzo Delfico – (gradini bassi di
notevole ampiezza), raggiungevano il secondo ed ultimo piano, articolato
in quattro rampe.. Sul ripiano della prima, su una colonna di marmo
pario, l’onesto sembiante di
Melchiorre Delfico, cioè il busto del
Pagliaccetti. Era di buon augurio toccargli il naso. Al primo piano
l’alloggio del Rettore con finestre sul corso e gli uffici del
rettorato, con finestre su via Delfico; un oscuro corridoio correva
avanti detti uffici e proseguiva verso le c.d "stanze di studio" e le
camerate delle cinque squadre, ciascuna intitolata a un caduto della
recente "grande" guerra! C’era anche una camerata – prigione – dove ad
–onor del vero – assai raramente – scontavano pene reclusorie gli
indisciplinati. (Debbo dire che – a mia memoria – questo tipo di
punizione venne inflitto soltanto in tre o quattro casi, non dagli
educatori responsabili: rettore e suoi collaboratori, ma dai terribili
maestri di ginnastica, tutti autoritari come il regime voleva che
fossero!). Saliamo le due ultime rampe e siamo all’aula della II
Liceale, con ingresso dal pianerottolo e luce da una finestra sul corso.
Dall’altra parte la III e la I liceale, due camerini. Vi si entrava da
un corridoio, anch’esso buio, che passava – poi – avanti la Presidenza;
svoltava a destra, serviva la V e la IV Ginnasiale e l’Aula Magna
vastissima, (le pareti in tinta verde sfumata, alti scaffali stracolmi
dei libri della scuola, chissà dove finiti); svolta a sinistra – quindi
– e l’ultimo tratto avanti alle aule del Ginnasio inferiore, rallegrato
dal sole, quando c’era, penetrante da larghe finestre sul corso S.
Gorgio. Le aule inondate di luce da ponente. Vista della Catena del Gran
Sasso e dei Monti e colli degradanti verso il mare, compreso il vicino
Colle Izzone. Nella tarda mattinata di un giorno di ottobre, o novembre
del 1933(4), un bidello sussiegoso, il Di Filippo, temuto
dagli alunni, perché "spione" delle loro "mancanze" portò sulle cattedre
di tutte le aule, il registro del Liceo Ginnasio; "giornale di bordo" lo
chiamava il preside Giacomo Franchi. Ciascun professore fu invitato a
dar lettura di una specie di proclama, redatto dallo stesso Preside,
contenente l’annuncio del trasferimento della scuola a piazza Dante,
decretato per l’indomani. "Domani – così cominciava il retorico ma
tutt’altro che ignobile scritto – domani abbandoneremo queste vecchie
mura, onuste di gloria …" Questo è quanto ricordo dell’edificio del
Real Collegio, nel quale entrai nel 1927 semiconvittore scolaro di
terza elementare, (Maestro Raffaele Trotta), proveniente da Giulianova,
(scuola paterna) ed uscii nel 1933, alunno di IV ginnasiale,
(insegnanti: di materie letterarie la fiorentina Signora Benciverni, di
matematica Donato Petronio, di francese Enrico Alberto Rivoire, di
religione Valdese)» (5). |