Nell'autunno del 1934 (1), lo storico sammarinese Francesco Balsimelli
fu per alcuni giorni a Teramo su invito di Marino De Filippis-Delfico,
ospite nel palazzo di famiglia, con lo scopo di visionare e studiare le
carte di Melchiorre Delfico, soprattutto quelle relative alle ricerche
sulla storia dell'antica repubblica del Titano.
Tornato in patria, volle raccontare di quelle piacevoli e suggestive
giornate: lo fece con l'articolo Ricordi
teramani, uscito allora sul "Popolo Sammarinese", una breve
narrazione scritta in punta di penna e, si direbbe, di getto (2). Non
poche sono le sorprese che il racconto riserva. Al tema centrale
dell'articolo - l'amicizia tra la città di Teramo e la repubblica di San
Marino, nonché i preparativi per le onoranze da riservare a Melchiorre
Delfico nel successivo anno 1935 - si sovrappone infatti una serie di
immagini di contorno, tutte di straordinario interesse: la città come
appare agli occhi di un forestiero che vi entra per la prima volta, le
stanze del palazzo, i personaggi incontrati a cominciare da quelli che,
appositamente per conoscere l'ospite, Marino invitò in quei giorni a
palazzo, alcuni dei quali assolutamente inattesi nelle cronache di
quell'anno 1934: ma di questi si parlerà in altra sede.
Tra le righe del testo dell'articolo, un passo ha attirato subito la mia
attenzione; lo leggo e rileggo cercando di estrarne tutte le
informazioni dirette o indirette che contiene. Balsimelli descrive la
stanza (3) a lui riservata dal conte Marino, la colloca come terza di
sette, sul lato del palazzo che affaccia in via Carducci, una grande
stanza dalla storia importante (4) della quale, tra l'altro, riferisce:
"Vecchie incisioni di Melchiorre e di Orazio Delfico sono appese alle
pareti; un quadro di considerevoli dimensioni, opera del senatore
Troiano Delfico padre del conte Marino, rappresenta la famiglia del
conte di Longano che fu sposo a Marina".
Non c'è alcun dubbio trattarsi proprio del dipinto "forse oggi perduto"
del quale abbiamo pubblicato la riproduzione fotografica in questo sito
e per il cui recupero, due anni or sono, lanciammo un appello, anche
sulle pagine di alcuni periodici locali. La riproduzione fotografica
pubblicata, lo ricordo, si trova conservata nell'archivio della
biblioteca Delfico. Si tratta di una riproduzione in bianco e nero,
formato 18x24 ca, eseguita in epoca imprecisata, comunque prima del 1961
quando la sappiamo esposta, al centro di un pannello dal titolo "casa
Delfico", in una delle mostre organizzate nel 1961 per le celebrazioni
del Centenario dell'Unità d'Italia.
L'appello lanciato per il recupero del dipinto purtroppo è ancora senza
esito, circostanza questa che sembra quanto mai strana: possibile che un
così significativo e importante dipinto "di famiglia" sia andato
distrutto o perduto o dimenticato in una qualche soffitta?
Quella di Balsimelli è l'unica testimonianza diretta, fino ad oggi
incontrata, di qualcuno che avendo visto il quadro con i propri occhi,
ne dà informazioni e ne indica una collocazione certa, sia pure con
riferimento a una data risalente a più di settant'anni fa. È il caso qui
di ricordare che il palazzo era allora di proprietà, per tre quarti, dei
due figli di Troiano, e cioè Marino e Luciano, mentre l'ultimo quarto
era di proprietà di uno dei figli di Filippo e cioè Fausto (5).
Dalle parole di Balsimelli sappiamo dunque con certezza che nel 1934 il
dipinto era ancora in possesso dei Delfico, che si trovava collocato al
fianco dei ritratti di Melchiorre e Orazio (ma qui va chiarito di quale
Orazio si sta parlando) e insieme a una preziosa statua quattrocentesca,
in una delle stanze storiche del palazzo, riservata nell'occasione a un
ospite di riguardo. Ricaviamo inoltre l'informazione, non desumibile
dalla riproduzione fotografica, che si trattava di un quadro di
"notevoli" dimensioni.
Si potrebbe quasi avanzare l'ipotesi inoltre che la stanza descritta da
Balsimelli sia la stessa raffigurata nel dipinto (6). O che almeno siano
gli stessi i due dipinti che si notano alla parete, alle spalle del
gruppo di famiglia raffigurato, dei quali uno sicuramente raffigurante
Melchiorre, l'altro, poco leggibile, che sembra però mostrare un
personaggio in abiti rinascimentali: potrebbe trattarsi quindi non
dell'Orazio contemporaneo e nipote di Melchiorre, ma del primo Orazio,
quello che nel corso del XVI secolo fu uno dei principali costruttori
della fortuna economica della famiglia Delfico (7).
Non possiamo invece stabilire con certezza se fosse conservato
normalmente a Teramo o a Montesilavano. Lo stesso Balsimelli infatti,
dopo aver riferito che il palazzo era stato abbandonato trent'anni
prima, aggiunge che Marino Delfico " … ha ridato la vita a questo
palazzo per una settimana: domestici, arredamento, argenterie,
cristallerie, biancheria, tutto è stato mobilitato per ricevere l'
illustre ospite, illustre in quanto é inviato per incarico del Comitato
Governativo pro monumento a Melchiorre Delfico"; lasciando così
pensare che tutto quello che si vedeva nel palazzo in quei giorni,
compresi dipinti e opere d'arte, fosse stato ricollocato per
l'occasione. Tale ipotesi però sembra contraddetta da un breve
trafiletto pubblicato nel 1939 dal giornale fascista "Il Solco" che, nel
dare notizia del definitivo abbandono del palazzo da parte dei Delfico,
al termine del complesso iter burocratico che ne trasferiva la proprietà
(che passerà poi alla Provincia) al Comune di Teramo, riferiva che erano
in corso le operazioni di trasloco dei mobili (il palazzo era quindi
arredato), operazioni alle quali sovrintendeva Bice Delfico Casamarte
(8).
Si deve dunque dedurre che non solo le carte e i libri ma anche dipinti
e opere d'arte siano stati lasciati in abbandono per oltre trent'anni
nel palazzo di Teramo.
Rivela infine Balsimelli, che il "Gruppo di famiglia" di cui trattiamo
era stato dipinto da Troiano e non da Bernardino, come da me in
precedenza ipotizzato. Se questo è vero (e al momento va data senz'altro
fiducia a una così autorevole e diretta testimonianza), va dunque
corretta anche la mappa delle identificazioni relativa ai personaggi
ritratti nel dipinto: per cui nel pittore riflesso nello specchio
sarebbe da riconoscersi Troiano; al contrario, nel personaggio in piedi
sulla destra, ritratto con abiti e strumenti da caccia e con il cane ai
piedi (alla maniera di tante statue di Diana cacciatrice) andrebbe
riconosciuto invece Bernardino (9).
La testimonianza di Balsimelli sembra inequivocabile. "Opera del
senatore Troiano, padre del conte Marino". L'indicazione è precisa,
proviene con tutta evidenza da Marino stesso e non sembra lasciare
spazio a dubbi, nonostante che l'articolo di Balsimelli, scritto certo
sul filo della memoria, contenga diversi errori e imprecisioni (10).
D'altra parte era noto che Troiano si dilettasse di pittura, che vi si
applicasse in gioventù (11) e che durante gli anni difficili dell'esilio
in Grecia, di pittura (ma anche di caccia (12)) vivesse (13). È giusto
però rimarcare che "più pittori di lui", se così può dirsi, o almeno di
lui più noti, furono senz'altro Bernardino e lo stesso Melchiorre. Il
primo infatti, lo ricordiamo, fu autore degli affreschi di Sant'Agostino
a Teramo, degli affreschi dell'Annunziata a Mosciano Sant'Angelo, del
grande telone del Teatro comunale di Teramo (14), fu Bernardino infine
l'unico tra i Delfico ad apparire sul Catalogo del Comanducci,
probabilmente fin dalla prime edizioni ottocentesche. Di Melchiorre, a
parte l‘attività di caricaturista, sappiamo che fin dal 1839, appena
quattordicenne, aveva partecipato a una esposizione collettiva tenuta
nella sala del Municipio di Teramo dagli allievi della scuola di
Pasquale Della Monica, con Giacinto Stroppolatini, Federico Pensa e
altri (15).
Per il resto va sottolineato che quasi tutti i giovani di casa Delfico
seguirono l'insegnamento della pittura e che sono documentati esercizi e
lavori di copiatura anche a firma di Filippo e Rosa (16).
Nell'evidente gioco di ruoli che il dipinto sembra riservare ai tre
figli più grandi: il musicista (Melchiorre al pianoforte), il pittore e
il cacciatore, quella di Troiano pittore sembrava proprio l'ultima delle
ipotesi praticabili.
Mi sembra di dover segnalare infine che l'espressione usata da
Balsimelli come titolo del dipinto, "Famiglia del conte di Longano", sia
la stessa, esattamente la stessa, che figura anche sulla etichetta
battuta a macchina posta sotto la riproduzione fotografica conservata
nella biblioteca Delfico. Non mi sembra possa essere casuale l'uso di
una espressione così particolare. Tale circostanza dunque mi sembra
faccia pensare alla possibilità che effettivamente il dipinto rechi, in
qualche sua parte, proprio questo titolo. |
(1) L'arrivo di
Balsimelli a Teramo è da collocarsi nei primi giorni del mese di
Ottobre o, addirittura, alla fine di Settembre del 1934. Scrive
infatti Giovanni Fabbri, su L'Italia Centrale dell'8 ottobre: " …
è da molti giorni a Teramo ospite graditissimo del gentiluomo
perfetto on. Don Marino conte Delfico, l'illustre prof. Francesco
Balsimelli, valoroso letterato e benemerito degli studi storici,
inviato speciale del Governo della gloriosa Repubblica di S. Marino
per raccogliere ulteriori notizie sulle opere di Melchiorre Delfico
e in ispecial modo sul largo epistolario da Lui tenuto con i
maggiori uomini del suo tempo", in [Giovanni Fabbri], Per
Melchiorre Delfico, "L'Italia Centrale", n. 2352 dell'8 ottobre
1934.
(2) Francesco Balsimelli, Ricordi teramani,
in "Il Popolo sammarinese", 11 novembre 1934, ora ripubblicato in
questo sito.
(3) "La camera ove sono
alloggiato, enorme di quadratura e di volume, è terza da sinistra a
destra, d' una teoria di sette vaste sale, che davano un tempo, per
mezzo di artistico cavalcavia, nell' ampio giardino pensile,
strappato ora dal palazzo come un arto dal corpo". Queste le
parole con le quali Balsimelli inizia a descrivere la sala.
(4) " … in quella stessa camera
riposavano
Orazio e Diomira Delfico quando nella notte del 26 settembre
1798 a viva forza fu strappato dal talamo il consorte e portato in
prigione col padre
Gian Bernardino e con lo zio Melchiorre in altre stanze del
palazzo, lasciando fra il pianto e le grida la giovanissima moglie
incinta di quella creatura che morirà poi nell' esilio sammarinese.
Una pregevole Madonna d' ignoto autore quattrocentesco, troneggia
custodita in un grande armadio a vetri".
(5) cfr
Tesi di laurea di Luigi Restuccia, consultabile presso la Biblioteca
Provinciale "Melchiorre Dèlfico", Teramo.
(6) La stessa, tenuto conto che tra la
data in cui il dipinto era stato eseguito (1843-44) e l'epoca in cui
Balsimelli vi soggiorna sono passati almeno novant'anni e vi sono
stati i lavori del 1914 durante i quali il palazzo aveva subito un
vistoso taglio proprio dal lato del giardino per essere riallineato
al nuovo asse stradale di via Carducci.
(7) Si confrontino le pagine a lui
dedicate in Donatella Striglioni Ne' Tori, L'inventario del Fondo
Delfico, Teramo, 1994, pp. 59-67.
(8) La Biblioteca e il Palazzo Delfico
al Comune, in "Il Solco", 12 agosto 1939.
(9) Così pure, a questo punto, dovrebbe
identificarsi con Troiano il personaggio che appare nel "Ritratto di
giovane che dorme", rinvenuto anni fa all'interno di un volume
proveniente da casa Delfico, e identificato con Bernardino solo ed
esclusivamente in virtù della somiglianza con l'autore di "Famiglia
del conte di Longano". A questo punto, di fronte a un Troiano che si
rivela pittore così valente si può ipotizzare che sia opera sua
anche il bel "soprapporta" di palazzo Delfico, recentemente
restaurato, raffigurante l'Isola di Corfù.
(10) Si evidenzia nel testo dello storico
Sammarinese tutta una serie di piccole inesattezze
(comprensibilmente Balsimelli non aveva avuto il tempo di digerire
la grande mole di notizie e informazioni ricevute e
comprensibilmente i nomi finivano per accavallarsi e confondersi
nella sua mente), per cui la pittrice De Colli, moglie di Savorini,
da "Carlotta" diventa "Clotilde", Cicognani diventa "Cicognara", il
corso di porta Reale e del Trivio diventa il corso San Giorgio, la
piazza Vittorio Emanuele, conosciuta anche come piazza "Grande",
diventa piazza "Maggiore".
(11) L'acquisto a Napoli di "colori da
pittura" per i vari giovani De Filippis-Delfico è voce ricorrente
sui libri dei conti di Gregorio e sulle lettere di famiglia.
(12) Numerose
sono le testimonianze che confermano di una marcata passione per la
caccia di Troiano.
(13) Interessanti al
riguardo alcune lettere conservate nell'archivio privato di Tommaso
Santoro, che Luciana D'Annunzio ci segnala, dalle quali si ricava,
ad esempio, che Melchiorre, da Napoli spedisce in Grecia al fratello
Troiano "colori e pennelli" (Melchiorre alla madre Marina, lettera
del 19 marzo 1856); oppure che "Troiano sta benissimo..." e che
"trovasi in campagna, in un sito chiamato Parnaso, dove è andato a
passare qualche giorno, per ritrarre delle vedute che in quel sito
sono molto belle" (Melchiorre alla madre Marina, lettera del 2
maggio 1857).
(14) Da molti
attribuito a Melchiorre e ora definitivamente assegnato a Bernardino
grazie ai documenti rinvenuti da Luciana D'Annunzio [a
tal proposito si consiglia di consultare
l'articolo su "Il Parafulmine"] presso l'Archivio di Stato di
Teramo.
(15) "Giornale
abruzzese di scienze lettere ed arti", 1839.
(16) Biblioteca
provinciale Delfico di Teramo, Fondo Delfico.
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