Il convento di S. Agostino
Sede dell’Archivio di Stato di Teramo |
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di Luciana D'Annunzio |
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La presenza dei monaci Agostiniani nella città di Teramo, seppur in
veste ancora eremitica, risale probabilmente alla seconda metà del XIII
secolo, anche se le notizie storiche e i documenti consultati non hanno
permesso di stabilire con certezza l’anno di tale insediamento.
Lo storico Anton Ludovico Antinori negli Annali scrive infatti
che, nel 1255, il priore e i frati dell’Eremo di S.Onofrio ad
Cesenanum nel territorio di Penna (villa di Campli) della diocesi
aprutina, fecero istanza al vescovo Matteo per poter professare la
regola di S.Agostino in quel romitorio e in qualunque altro luogo della
sua giurisdizione. Il vescovo aprutino li autorizzò con un rescritto
emanato da Civitella il 10 agosto 1260 (1). Successivamente, questo
convento ottenne indulgenze e terre crescendo anche nel numero dei frati
e rendendo verosimile, quindi, che proprio da questa comunità
provenissero gli Agostiniani che diedero origine al nuovo insediamento
nella città di Teramo. Sulla data di fondazione del convento Niccola
Palma scrive "… che nel 1362 già esistesse e fosse luogo di studio,
si è veduto nelle memorie di S.Benedetto. Altro non so dirne di
vantaggio; perché soppresso in forza di dispaccio segnato agli 8
settembre 1792 ed eseguito al 1 ottobre 1796, è ora moralmente
impossibile indagare ove siano andate a nascondersi o a perir le sue
carte (2)".
Tuttavia, uno tra i primi storici dell’ordine, l’agostiniano Tomas de
Herrera nella sua opera Alphabetum Augustinianum,
pubblicata a Madrid nel 1644, scriveva che nell’archivio del convento di
Teramo, del quale non si aveva notizia certa di fondazione, aveva visto
una bolla del papa Clemente IV, emanata da Viterbo nel 1268, con la
quale il pontefice accordava il perdono dei peccati ai cittadini
teramani che avessero aiutato il priore e i frati eremiti di Teramo,
della Diocesi aprutina, dell’ordine di S.Agostino per la chiesa che
risultava essere stata costruita in onore dei beati apostoli Filippo e
Giacomo (3). Se ne deduce quindi che, a questa data, il convento
esisteva già. Non è chiaro però se la bolla contenesse le indulgenze per
ultimare la fabbrica della chiesa o per altro vantaggio del monastero e
dei frati. A questo proposito infatti, Luigi Torelli, autore dell’opera
Secoli Agostiniani overo Historia generale del Sagro ordine
eremitano pubblicata a Bologna nel 1675, scrive "… E se bene il
detto Errera non dice, che cosa contenesse questa Bolla, nondimeno da
questo poco squarcio, che egli produce, io ne deduco, che contenesse
qualche Indulgenza, o per il proseguimento della Fabbrica della Chiesa,
ò per altro vantaggio del Monistero, e de’ Padri di quello: hora Teramo
è Città, e il detto nostro Convento tuttavia si conserva in assai buon
stato, di cui altre volte forse tornaremo à favellare (4)". Anche
altri storici tra i quali Augustin Lubin e Nicola Crusenio,
probabilmente attingendo all’Herrera, recano la medesima notizia (5).
Ma, al tempo della stesura della Relazione innocenziana (6)
redatta il 18 febbraio 1650 da padre Battista Bonfante, priore del
convento di S. Agostino di Teramo, la pergamena papale non venne
trovata. Difatti si legge testualmente "Il Monasterio del Glorioso
Padre S. Agostino della Città di Teramo situato dentro la Città capo
della Diocesi Aprutina poco distante dalla piazza per la sua antichità e
poca cura de passati non vi è special memoria del quando e come fu
eretto; e dopo le diligenze al possibile usate si è ritrovato come
nell’anno 1312 passò a miglior vita il Padre fratel Angelo figlio di
questo convento; si presuppone però molto antico havendo sempre tenuto
con se e al presente tiene il secondo luogo tra i monasteri della
Provincia e nella Città precede a tutti gli altri, eccettuatone i Padri
Domenicani (7) in virtù del loro privileggio(sic)…Ordinariamente
vi abitano dieci et undeci Religiosi…(8)".
A questo punto è possibile comunque determinare che l’insediamento
agostiniano possa essere ricondotto al periodo che precede il 1268 e che
fosse pienamente attivo nel 1312, quando, tra l’altro, stava prendendo
corpo anche il nuovo assetto urbanistico della città, ricostruita ed
ampliata dopo l’incendio del 1155. Essa, infatti, inizierà ad espandersi
verso occidente includendo, all’interno di una nuova perimetrazione
difensiva, il territorio detto terra nova, poi sestiere di
S.Giorgio, dove venne a trovarsi il monastero le cui pareti a nord, che
delimitavano gli annessi terreni, orti e frutteti, furono inglobate
nella nuova cerchia muraria. Tale ubicazione fa supporre che S.Agostino
dovette costituire un polo di aggregazione abitativa.
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Pianta allegata al progetto di Carlo
Forti (1810), pianta convento con orti annessi e mura di cinta della città |
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La comunità si sviluppò inserendosi nel tessuto socio-economico
della città tanto che, nel 1420, ebbe necessità di allargare la
propria struttura conventuale destinando ad altro uso la chiesa,
forse allo "studium" monastico citato dal Palma,
caratteristica e momento importante della Regola agostiniana. La
struttura conventuale si ampliò fino a comprendere,
ingrandendoli ed inglobandoli, la chiesa e l’oratorio di S.
Giacomo, ubicata nelle adiacenze dello stesso convento, di
proprietà della Congregazione dei Disciplinati della morte e S.
Maria del Soccorso ivi eretta nel 1260 (9).
Il pio sodalizio alienò il suo
luogo di culto che "…
occupava tutta la nave piccola della presente
chiesa
[quella esistente prima dell’abbattimento del 1875] e circa
la metà della nave grande, come ne fa fede l’altarino
antichissimo (10) che esiste nel lato dell’epistola del
presente altare maggiore…", e concorse alla
realizzazione della nuova chiesa con l’elargizione di una
ingente somma di denaro e con la fornitura dei materiali. |
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Sec. XV - Madonna del Soccorso |
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Il nuovo
tempio, anche se dedicato ai Santi Filippo e Giacomo, iniziò a chiamarsi
di S.Agostino; vi si edificarono dodici sepolture e tre cappelle laicali
di privata proprietà (11), mentre l’altare maggiore venne impreziosito
dal Polittico di Jacobello del Fiore, oggi conservato in Cattedrale
nella cappella dedicata a S. Berardo (12). Fu così che ebbe inizio un
rapporto molto stretto ed a volte anche conflittuale, che intercorse per
secoli, tra gli Agostiniani e la Congregazione dei Disciplinati della
morte e S. Maria del Soccorso la quale, in seguito, entrò a far parte
della Confraternita dei Cinturati, detta anche Società di S. Monica,
eretta ed approvata con decreto vescovile del 1439 nella chiesa
agostiniana di S.Giacomo di Bologna (13).
La floridezza del complesso monastico è documentata dagli Statuti di
Teramo del 1440 nei quali è prevista l’elezione di due
economi laici per l’amministrazione dei beni (14), dallo storico
Francesco Savini il quale, nel suo Comune teramano, scrive che
alla fine del 1500 le fabbriche di S. Francesco, S. Domenico e S.
Agostino erano "magnifiche" e contavano la presenza di un
notevole numero di frati (15) e dal volume del Catasto antico del
comune di Teramo del XVI secolo recante le indicazioni di tutte le
proprietà del convento agostiniano (16). Nel corso dei successivi
decenni, il monastero non subì sostanziali modifiche strutturali e, alla
metà del XVII secolo, nella già citata Relazione innocenziana
venne così descritto "…benchè sia antico e affatto rinnovato nelle
fabriche…ha tutte le comodità necessarie… Nell’ingresso d’esso Convento
intorno al Chiostro vi sono oltre un Granaro grande ad uso del
Monasterio sette fondachi, seu granari che s’affittano e rendono di
solito scudi 17. Nel Dormitorio vi sono venti camere ad uso de Padri e
forastieri. Ha la Chiesa sotto il titolo de Gloriosi Apostoli Filippo e
Giacomo unita a latere d’esso Convento, et una delle più belle di essa
Città, quale per esser molto commoda del continuo è frequentata; vi sono
due Compagnie, una delle donne sotto il titolo di S. Monica (17),
e l’altra degli huomini col sacco sotto il titolo della Madonna
Santissima del Soccorso aggregata all’Arciconfraternita di S. Giacomo di
Bologna, et è una delle più antiche; la fabrica della Chiesa è bella sta
fatta a volta decentemente guarnita di Cappelle, et altre sopellettili
sacre. Tiene esso Convento un giardino murato a latere del suo proprio
sito, vi sta una piantata di viti… e un roseto…" (18).
Nello stesso periodo si registrò un sensibile incremento della
consistenza del patrimonio fondiario. La Relazione elenca
dettagliatamente tutte le proprietà costituite da case, masserie, vigne,
oliveti dislocate nel circondario della città, ma anche nel territorio
di Campli e Giulianova, date a colonia o ad enfiteusi. Riporta con
precisione le rendite, quantificate in scudi, che traggono dai censi,
dagli affitti e dai raccolti consistenti in grano, orzo, mosto, olio,
legumi, ghiande, in parte vendute ed in parte utilizzate dai monaci. Tra
le vendite, tra l’altro è annotata quella di tre "tumolate di sale
che dà il Re Cattolico", eccedente al loro consumo.
Segue nella Relazione del priore la nota delle uscite: "All’incontro
detto Monasterio ha peso di messe perpetue sei la settimana; una
all’Altare del Santissimo Crocifisso, tre all’altare delli Signori
Michetelli; una alla Santissima Epifania et una a S. Andrea. Di più ha
il peso di due messe una a Santa Lucia e l’altra alla Madonna del
Soccorso e ci sono due uffici l’anno quali pesi sin al presente giorno
sono pienamente soddisfatti. L’elemosine delle messe votive e quelle si
acquistano inter missam sollemniam per la Chiesa una con li quattro
scudi della Venerabile Compagnia che dà per l’officiatura d’essa
Cappella si dividono tra sacerdoti ciascuno de quali haverà ogn’anno
scudi otto e sono per vestiario non dandogli altro il Convento."
Il documento prosegue con un elenco dettagliato delle spese cui i frati
dovevano far fronte: la celebrazione del Capitolo in provincia, la
colletta ordinaria al "Padre Reverendissimo et Assistente d’Italia al
Padre Provinciale", il Cero pasquale, l’incenso e le candele, il
restauro dei tetti della chiesa e del convento come anche delle case che
si davano in affitto e quelle "rusticali delle massarie", il
vitto dei Padri, l’elemosina di pane per la città, l’accoglienza dei
forestieri, il vestiario a cinque religiosi non sacerdoti,
l’amministratore, il barbiere, la lavandaia "per suo servitio e
sapone", lo speziale, la legna, la coltivazione degli oliveti, la
raccolta delle olive, la molitura del grano ed infine viene indicato
che"… quel poco d’entrata che sopra avanza si spende ogn’anno per uso
de Padri nel Dormitorio per lenzuola, coperte e rifacimento di matarazzi
et anche per li supellettili della cucina e refettorio (19)".
A proposito del priorato del teramano Bonfante il Palma, elogiandolo,
scrive che è da attribuirsi a lui il merito di aver dotato la chiesa di
S.Agostino di quadri, dorature e suppellettili ma non gli perdona di
aver spostato dall’altare maggiore il prezioso Polittico di Jacobello
del Fiore per far posto al quadro, raffigurante S.Tommaso da Villanova
circondato da poveri con S. Agostino in gloria, realizzato dal
pittore Giacinto Brandi al quale il detto priore lo aveva commissionato
(20). Lo storico aggiunge, inoltre, che le rilevanti spese erano state
sostenute col denaro che il frate aveva ritratto dalla predicazione
argomentando "… che sormontato avesse ricchi pulpiti e stato fosse
applaudito oratore (21)".
Nei successivi secoli la prosperità patrimoniale degli Agostiniani,
continuamente incrementata dalle numerose donazioni ed offerte
provenienti dalla generosità di cittadini e di benefattori, è
testimoniata sia dagli elenchi dei beni registrati nei Catasti
del comune di Teramo del 1644 e del 1749, come dagli atti notarili nei
quali ricorrono donazioni e testamenti i cui lasciti a favore del
convento, della chiesa o della Confraternita dei Cinturati e Maria SS.
della Consolazione e del Soccorso erano spesso legati, com’era in uso,
alle messe e alle sepolture.
Dallo storico Palma si apprende inoltre che, il 15 agosto 1718, ad opera
di Pietro del Pezzo di Salerno, caporuota della Regia udienza di Teramo,
si era inaugurata presso la chiesa dei padri Agostiniani una accademia,
già esistita nel XVII secolo, che doveva promuovere il culto delle "buone
lettere" detta "de’ Ravvivati" la quale ebbe però breve durata (22).
Ma un dispaccio reale, datato Napoli 5 dicembre 1778, pervenuto
all’Udienza di Teramo venne a turbare la consuetudine della regolare
vita monastica dei seguaci di S.Agostino e, come si dirà meglio in
seguito, costituirà il pretesto per la chiusura del convento.
In continuità con i principi illuministici del governo di Bernardo
Tanucci, Ferdinando IV perseguiva una politica ecclesiastica tesa a
rivendicare il predominio del moderno stato laico sulla chiesa. Un
esempio significativo di tale sistema fu, tra le molte riforme, la
soppressione degli ordini religiosi ritenuti superflui. Così, col
precitato dispaccio dispose che, in mancanza di scuole e convitti nelle
province del Regno, il clero regolare, ossia Francescani, Domenicani,
Agostiniani e Carmelitani "essendo parte della Società Civile,
dovevano rendersi utili alla medesima, non solo con la preghiera e
coll’opera spirituale, ma in qualunque altra maniera…". Ordinò,
pertanto, che in tutti i luoghi del Regno demaniali o baronali, e anche
nei luoghi di campagna dove vi erano conventi di frati degli ordini
mendicanti, si dovevano obbligare, con la prescrizione di pene, tutti i
superiori ad introdurre nei rispettivi chiostri le pubbliche scuole dove
le persone, "sia degli alti ceti ed anche della più povera gente",
che volevano istruirsi nel leggere, scrivere, aritmetica, nei primi
fondamenti della grammatica e nel catechismo, avrebbero potuto farlo
gratuitamente (23).
Non si è a conoscenza dei risultati conseguiti dalle reali disposizioni
nelle province del Regno ma, un esposto inviato al Re il 20 luglio 1780
da tal Nicola Sulpizij, dietro il quale si celavano in realtà gli
esponenti degli ambienti laicisti della città, segnalava non solo che
gli Agostiniani di Teramo non avevano osservato gli ordini reali
evitando di aprire una pubblica scuola, ma metteva in cattiva luce i
frati anche dal punto di vista religioso annotando che "… due soli
religiosi Sacerdoti sono, che niente fanno… Essi niun vantaggio recano
al Pubblico, non coadiuvando i Parochi coll’amministrazione de’
Sagramenti, ne fanno scuola, come la Maestà Vostra prescrisse… Deve
dunque sopprimersi quel Convento se tolta la gente inutile ed oziosa
sarà sostituita in di lei luogo una pubblica scuola colle pingue rendite
del medesimo a vantaggio del pubblico e della povera Gioventù, che non
si può istruire ne’ doveri dell’Uomo e della Religione in questa città
per mancanza di Maestri. Questi sono i voti e i caldi prieghi, che
l’Oratore porge alla Maestà Vostra a vantaggio delle Famiglie, che non
hanno mezzo da poter mantenere i propri figli fuori di questa Città… e
questi spera l’Oratore di vedere secondati dalla vostra Reale
Beneficenza, oggi che tutto il Regno ne vede gli effetti…(24)".
A seguito del ricorso il Re, con dispaccio del 29 luglio 1780, disponeva
che il Tribunale di Teramo, sentite le ragioni dell’Università espresse
dal pubblico Parlamento, si informasse e riferisse (25). Il 7 agosto il
Sulpizij, determinato a raggiungere il proprio intento, invia al Sovrano
un altro memoriale.
A dimostrazione di come certo anticlericalismo fosse all’epoca
circoscritto a settori ben delimitati della società, il 2 settembre 1780
il Parlamento generale cittadino, composto da tutti i capifamiglia della
città e delle ville, veniva convocato nel convento di S.Agostino che,
già dal 21 luglio 1765, dava ospitalità a tale civica adunanza. Nel
consesso si votò "unica voce et nemine discrepante" la proposta
di Felice Carice che era di parere contrario alla soppressione "…per
non togliere il preggio (sic) alla città e la devozione ai
fedeli…" e suggeriva di chiedere al Padre provinciale degli
Agostiniani di mandare nel convento qualche monaco rispettabile che
potesse istruire i ragazzi (26).
Ma la sorte degli Agostiniani era oramai segnata. Nell’ultimo decennio
del ‘700 si ritenne non più differibile la necessità di dare una sede
più adeguata al carcere della Regia udienza, collocato nel rione
S.Leonardo nella strada detta del Trivio, che oltre a versare in cattive
condizioni sia di sicurezza che di igiene, per essere frequentemente
infestato da morbi epidemici, era insufficiente a contenere i detenuti.
Tale esigenza, evidenziata dal Tribunale indusse il sovrano ad emanare
il seguente dispaccio, datato Napoli, 8 settembre 1792, "In vista
della rappresentanza di cotesta Udienza per l’ampliazione del carcere
Sua Maestà ha risoluto e vuole che si sopprima cotesto conventino de’
P.P. Agostiniani per impiegarsi le fabriche per uso del carcere tanto
necessario in codesta Udienza ed all’effetto con questa stessa data si
danno gli ordini convenuti al Fiscale (27)".
Il 23 settembre 1792 si riunì il Parlamento cittadino che, sempre su
volere del Re, avrebbe dovuto decidere circa la destinazione d’uso delle
rendite del soppresso convento. A tal riguardo, si lesse una lettera
inviata dalla Società Patriottica (28) di Teramo nella quale, oltre alle
espressioni di compiacimento per la decisione sovrana, si auspicava "…di
diminuire il numero dei Prigionieri, ed in conseguenza quello dei
delitti, che non [poteva] ottenersi senza il, miglioramento dei
Cittadini…". Era desiderio quindi che con il ricavato delle rendite
si stabilisse una pubblica scuola ed una "casa di educazione e
d’istruzione per la gioventù, dove con una onesta pensione concorressero
le famiglie alle spese del mantenimento dei giovanetti…" mentre gli
argenti erano da destinarsi alla Cappella di S. Berardo protettore di
Teramo. Si aprì un dibattito durante il quale presero la parola
Giovan Filippo Delfico che era
favorevole a quanto proposto dalla Società Patriottica, Pompeo Mancini
che indicava di vendere i beni ed erigersi un Monte di Pietà ed infine
Gregorio Rubini che era per impiegare il valore dei beni per la
"ricompra de’ Fiscalari" ma, non essendoci accordo, si passò ai voti e,
dopo ben due scrutini ritenuti irregolari dal Giudice civile, il
Parlamento si sciolse senza aver nulla deliberato (29).
Erano intanto iniziate le contestazioni ecclesiastiche: in un ricorso al
trono dell’ottobre 1792 il procuratore
del monastero agostiniano si doleva "altamente" contro gli
amministratori della città "li quali per astio avevano dato ad
intendere cose non vere", perché non si era tenuto conto della
risoluzione del Parlamento del 1780 contraria all’abolizione ed infine
perché nessuno si era preoccupato di accertare se l’immobile potesse
adattarsi all’uso cui veniva destinato. Con dispaccio del 20 ottobre
1792 il Re investì della causa la Real Camera di S. Chiara che doveva
procedere sentendo le ragioni dell’ordinario, ossia del vescovo aprutino
Luigi Pirelli che, nel gennaio del ’93, era a Napoli a perorare
personalmente la causa. Il suo interessamento riuscì a far ritardare
l’iniziativa, infatti, nel 1796 i monaci erano ancora insediati nel
convento da dove si allontanarono a seguito dell’acquartieramento
militare (30).
Mentre perduravano le opposizioni tese a preservare il convento il
sovrano, con altro ordine del 21 ottobre 1793, chiedeva al Tribunale
l’invio di 80 ducati, da prendere dalle rendite del convento, per
destinare un architetto che potesse effettuare la perizia sullo stato
delle carceri, la valutazione della spesa occorrente per adattare le
fabbriche del convento e considerare la situazione e la sicurezza del
luogo (31).
Ma, il precipitare degli eventi per effetto della Rivoluzione Francese
le cui conseguenze erano arrivate anche in Italia e la necessità insorta
di far fronte allo stato di guerra fecero sì che, il 17 giugno 1796, il
decurionato teramano deliberasse di inviare l’illustre concittadino
Melchiorre Delfico ad incontrare
Ferdinando IV, di passaggio a Sulmona, ed offrirgli assieme agli omaggi
tutti gli argenti degli ex Agostiniani di patronato dell’Università. Il
sovrano con real carta del 22 giugno inviata per mezzo del segretario di
Stato Giovanni Acton, letta nel Pubblico decurionale parlamento del 26
giugno 1796, espresse ai cittadini teramani soddisfazione e gratitudine
per il successo del reclutamento della leva volontaria nella provincia,
per i sentimenti di fedeltà e per l’offerta ricevuta (32). Con
disposizione del 3 settembre 1796, Ferdinando IV ordinava all’Udienza di
procedere alla vendita dei beni dell’abolito monastero ed impiegarsi il
ricavato per i lavori di adattamento a carcere e tribunale usando tutta
la vigilanza possibile onde evitare frodi (33). Al difficile momento
storico-politico si aggiunsero ulteriori ritardi per l’inizio dei lavori
causati dalle contraddizioni interne al consiglio cittadino per la
vendita dei fondi che determinarono l’arrivo da Napoli, in data 8 luglio
1797, di un altro dispaccio reale nel quale si ribadivano i saldi
propositi del sovrano sull’alienazione dei beni diretta a finanziare le
opere di fabbrica sotto la direzione dell’ingegnere napoletano Francesco
Carpi, in unione con la Società Patriottica di Teramo (34).
Con una supplica al Trono,
Melchiorre
Delfico compiva un ultimo gesto per impedire che di quei beni
dell’Università disponesse il Fisco sia pure per la costruzione del
nuovo carcere dal momento che gli amministratori avevano pensato di
utilizzare quelle rendite per i bisogni straordinari in cui si trovavano
a causa dell’accantonamento militare e per le tante civiche occorrenze
quali strade, fontane, ponti ed infine le pubbliche scuole (35), mentre
il Parlamento decurionale il 24 agosto 1797 aveva deliberato di far
scegliere allo stesso
Delfico un
valente avvocato che potesse perorare a Napoli la causa per la
definizione del patronato (36).
Ma anche questi estremi tentativi risultarono vani. Infatti il re
Ferdinando, con altro comando del 18 agosto 1798, volle che restasse
"fermo" quanto già determinato ed in merito al presunto patronato,
vantato dall’Università sui beni dell’abolito convento degli
Agostiniani, dispose che il decurionato dovesse dimostrare tale diritto
e che, se così fosse stato, avrebbe accordato un indennizzo (37).
Intanto il 7 dicembre dello stesso anno le truppe francesi entrarono nel
Regno prendendo possesso della fortezza di Civitella del Tronto e il 19
dicembre invasero Teramo. Ebbe così inizio l’effimera esperienza della
Repubblica Napoletana che avrà termine il 21 giugno 1799 con il ritorno
dei Borbone sul trono di Napoli. Per far fronte alle emergenze e per
soddisfare le richieste dei fratelli Fontana, generali delle truppe a
massa stanziati in Teramo, il governo cittadino deliberò di costruire
una nitriera artificiale ed una polveriera al fine di cooperare alla
difesa della Provincia incaricando il chimico Vincenzo Comi il quale,
nell’accordare la propria disponibilità, chiese di poter utilizzare i
sotterranei e i fondaci dell’ex convento di S.Agostino affermando che
erano "abbandonati all’inutilità...(38)".
Restaurato il governo della città dopo la cacciata dei francesi,
dovranno trascorrere ancora degli anni prima che prendano avvio i lavori
per la costruzione della casa di reclusione. Scrive infatti Luigi Coppa
Zuccari che fu premura del preside Francesco Carbone, arrivato al
comando della provincia di Teramo nel 1803, intraprendere nel maggio di
quell’anno "la fabbrica delle carceri, del Tribunale e di una
magnifica abitazione per i presidi" (39). La redazione dei disegni
per la trasformazione del convento in carcere provinciale, abitazione
dei ministri di giustizia ed assistenza alle opere edilizie furono
affidati al giovane ingegnere teramano Eugenio Michitelli per il quale,
successivamente, si dispose il pagamento di 300 ducati, sulla base della
stima fatta dall’ingegnere Giuseppe Sibbeni. Il pagamento, come prova
l’atto del notaio Grue in data 27 marzo 1806, avvenne con la cessione di
una porzione di orto dell’abolito monastero, su apprezzo del perito
Pasquale Quartapelle (40).
Ultimati i primi lavori, quando era già iniziato il cosiddetto "decennio
francese" un attestato di Berardo Porta, capitano di campagna, rendeva
noto che per disposizione di Pietro de Sterlich, primo Intendente della
provincia, tutti i detenuti dell’antico carcere, sito al Trivio e
venduto a Berardo Savini per 2000 ducati con atto del notaio Giovanni
Palombieri del 7 maggio 1803 "colla sola condizione che i carcerati
avessero dovuto stare in detto carcere, financhè non si rendeva
abitabile il nuovo, che dovea fruirsi nell’abolito convento di
S.Agostino (41)", erano stati qui trasportati il 5 gennaio 1807
(42), mentre le altre opere previste, tribunale e abitazione del
preside, non vennero più eseguite.
Ma nella sede carceraria (43) non tardarono ad evidenziarsi diverse
problematiche sia strutturali che di sicurezza e fu così che, anche a
seguito del disposto del real decreto 29 giugno 1809 (44), si ordinò un
nuovo progetto di ristrutturazione ed ampliamento. Dell’esecuzione
progettuale da realizzare fu incaricato il teramano Carlo Forti,
ingegnere in capo del Corpo reale de’ ponti e strade. L’edificio doveva
racchiudere il carcere civile, quello criminale, il tribunale, il corpo
di guardia, l’infermeria e la cappella. Corredato da una planimetria
generale del sito dell’ex convento, dalle piante del piano terra e del
secondo piano, da due sezioni e da un prospetto, "trovato regolare
dal generale Campredon", venne approvato a Parigi il 17 gennaio 1810
con decreto di Gioacchino Napoleone (45). L’aspetto esterno si
presentava costituito da un imponente blocco a tre livelli con un fronte
principale delineato nello stile tra i più consueti esempi neoclassici,
diviso in tre registri, il primo dei quali lavorato con fasce a bugnato,
scandito da finestre rettangolari con balconcino e cornice classica in
alto.
A seguito dei Regolamenti (46) emanati dal Ministero dell’interno, il 7
maggio 1810, l’ingegnere Forti inviò all’Intendente della provincia la
sua proposta sulla disposizione dei locali per "… gli accusati di
delitto grave… pe’ supposti rei di piccolo delitto, ed anche pe’
debitori e per le donne" con i rilievi attraverso i quali indicava
le gravi carenze relative all’ospedale che, come previsto dalle norme,
non doveva avere nessuna comunicazione interna alle prigioni e che
prevedeva di realizzare ex novo al secondo piano, ai "bagni di
fabbrica" e, soprattutto, alla mancanza d’acqua alla quale si poteva
far fronte conducendo nel carcere quelle del canale dei mulini ubicati
nei pressi del fiume Vezzola (47).
Nel novembre del 1816 l’Intendente scrisse al Ministro dell’interno che
i lavori, appaltati agli "intraprenditori" Antonio Girardi e
Domenico Marinari erano iniziati "con felici auspicj…". La
fabbrica " fu proseguita fino allo stabilimento del Carcere Civile,
del Criminale e in gran parte della Ruota stessa: ma gli eventi del
tempo - fine del decennio francese e ritorno al trono di Napoli dei
Borbone - e più la mancanza di mezzi fecero poi interromperla. Essa
non è stata più terminata e… vi si veggono al presente in tutto il resto
che rottami del vecchio edifizio parte caduti e parte cadenti…" con
conseguenti problemi, non solo di stabilità soprattutto per le volte
dell’edificio che minacciavano di crollare "per la debolezza e la
cattiva congegnazione dell’armatura", ma anche di igiene e salute
causati dall’ammasso dei detenuti in spazi troppo ristretti. Chiedeva
pertanto, rifacendosi al disposto reale che aveva previsto per i lavori
l’impiego delle rendite degli ex-Agostiniani, di essere autorizzato dal
sovrano alla vendita di una masseria, ubicata nella contrada di
Scapriano, al fine di poter continuare l’edificio (48).
Le opere di adeguamento strutturale ripresero nel 1818 e sono descritte
in dettaglio nel verbale di consegna dei lavori redatto il 23 giugno
1827 alla presenza di una commissione, all’uopo costituita (49), e degli
appaltatori Domenico Marinari per le costruzioni in muratura, Ubaldo
Gramaccini per quelle in legno e Raffaele Celli per quelle in ferro
(50). Il predetto verbale di consegna risulta molto particolareggiato
sia nella illustrazione della qualità dei materiali utilizzati sia per
la varietà e le tipologie delle strutture lignee e di ferro adottate. La
mancanza di risorse economiche condizionò notevolmente il compimento
delle opere tanto che del progetto originario di Carlo Forti, in
effetti, non venne realizzato molto e l’ex convento, una volta assunta
la funzione di carcere, subì successivamente numerose variazioni ed
aggiunte per motivi sia di uso che di sicurezza. Ciononostante il
carcere viene ancora descritto come assolutamente insicuro,
insufficiente a contenere il numero crescente dei detenuti e soprattutto
mancante di una differenziazione degli ambienti da destinare ad ambo i
sessi, per non parlare del fatto che gli spazi esistenti erano di
piccole dimensioni. Si ravvisò quindi la necessità della messa in atto
dello studio di un nuovo disegno realizzato ed approvato nel 1858 ma,
come si può verificare dai documenti, non attuato (51).
Con l’unità d’Italia si ebbero nuove disposizioni sull’organizzazione
carceraria, in particolare quelle riguardanti l’isolamento delle donne
dagli uomini e di conseguenza si produsse un altro progetto recante la
data del 7 febbraio 1862 completo di piante e prospetti. E’
rappresentato in un’unica tavola dove è possibile osservare il disegno
dell’antico assetto del convento, verificare le modifiche effettuate e i
lavori realizzati fino a quel punto ed analizzare il nuovo, nel quale
sono disposti la facciata principale, le planimetrie del pianterreno,
primo e secondo piano, con tutte le indicazioni dei lavori da effettuare
e delle destinazioni degli ambienti e, campite in rosso, le opere da
eseguire nell’immediato per realizzare l’ala femminile (52).
Il programma dell’opera, firmato dall’ing. Gherardo Rega del Corpo reale
del Genio civile e dall’ing. capo Pozzi, presenta una nuova versione
della fabbrica consistente in un blocco più basso, composto dal
pianterreno e un primo piano sul lato della strada a sud, molto più
lungo e ampio rispetto alla versione precedente, con due "chiostri" e
solo una parte più arretrata a tre livelli con la previsione, inoltre,
di una notevole espansione sul lato occidentale. Sottoposto
all’approvazione della Direzione generale dei lavori pubblici, sezione
di Napoli, dal verbale del consiglio superiore dell’11 giugno 1862 si
apprende che il piano dei lavori non poteva essere accolto per diversi
motivi tra i quali: l’insufficiente sicurezza costituita dall’ubicazione
a pianoterra e antistanti la pubblica strada dei nuovi locali per
stabilirvi le donne, la poca garanzia per la vigilanza presentata dal
secondo portico ed infine la carenza delle stanze da adibire alle arti
ed ai mestieri. Il parere dell’organo competente era quello di
trasferire le donne in un altro edificio ma il suggerimento non ebbe
esecuzione (53).
Successivamente, le necessità in ordine alla sicurezza e le esigenze di
altri spazi indussero le autorità ad eseguire ulteriori lavori:
suddivisione di alcuni compresi nel pianterreno e primo piano,
prolungamento del cammino di ronda e costruzione di una nuova cucina
che, dal 1862, non si trovava più all’interno del carcere ma affidata ad
un appaltatore esterno. Il progetto, redatto dall’assistente Giovanni
Salimbeni del Corpo reale del Genio civile, reca la data dell’11 marzo
1864 (54). Nello stesso tempo, a seguito della relazione del medico
sulle critiche condizioni igieniche delle prigioni, la Prefettura
commissionava la redazione di un disegno per suddividere l’infermeria in
ambienti minori nei quali, distinguere gli ammalati a seconda delle
malattie, migliorando in tal modo le esigenze dell’infermeria stessa.
Nel progetto, curato anch’esso dal Salimbeni in data del 29 marzo 1864,
è possibile notare, oltre alla suddivisione delle sale per le malattie
toraciche, per quelle "comunali", per gli oftalmici, per gli
infermieri e per il medico e cappellano, che "i compresi", ossia
le stanze delle recluse, si trovavano ancora al secondo piano del
carcere (55). Un altro serio problema che diede molto da pensare agli
amministratori del tempo era costituito dalla necessità di dotare
l’edificio carcerario di una adeguata struttura fognaria. A tal fine nel
1886 furono redatti due progetti che prevedevano la realizzazione di un
impianto con i relativi condotti afferenti direttamente al fiume Vezzola,
dopo aver attraversato la nuova strada di circonvallazione
definita "di passeggio" e le proprietà di alcuni privati
(56).
Gli adattamenti strutturali, soprattutto in ordine alla sicurezza a
causa del verificarsi di numerose evasioni, non erano però ancora
ultimati. A seguito del rapporto di una ispezione ministeriale, con una
nota inviata da Torino il 7 dicembre 1865, la Direzione generale delle
carceri nel sottolineare al Prefetto "come la contiguità della Chiesa
di S.Agostino colle carceri sia di grave minaccia per la loro sicurezza
attesa la debolezza del muro di confine, corrispondente ad alcuni
cameroni…" e proponendo l’occupazione della Chiesa stessa come
misura necessaria perché cessasse tale pericolo, gli chiedeva di
conoscere quali provvedimenti avesse messo in atto per fronteggiare tale
problema. Il Prefetto, nel gennaio del 1866, faceva sapere di aver
disposto il collocamento, nelle ore notturne, di una sentinella più
all’esterno del carcere e di essere entrato in trattative con il priore
della Congregazione cui apparteneva il luogo di culto onde avere il
consenso per la sua demolizione (57).
La chiesa di S.Agostino, dopo la soppressione del convento, era stata
affidata infatti alle cure dell’Arciconfraternita dei Cinturati e Maria
SS. del Soccorso e della Consolazione (58) sin dal 1809, come si
preciserà meglio in seguito. Ora, se da una parte vi era una evidente
urgenza di separare il carcere dalla chiesa mediante un cortile per
prolungare il cammino di ronda e per rendere impossibili le evasioni
tramite il passaggio all’esterno attraverso il tetto della chiesa
stessa, dall’altra non era così semplice abbattere un tempio costruito
da secoli, molto frequentato ed amato dal popolo teramano.
Non si hanno testimonianze documentali tra il 1866 e il 1869 mentre, a
decorrere dal 1870, numerosi e reiterati solleciti ministeriali venivano
inviati al Prefetto, nei quali si ordinava di predisporre al più presto
il progetto relativo all’isolamento del carcere e si chiedevano
informazioni circa la proprietà della chiesa. La pertinenza di questa è
dimostrata soltanto dalla copia di un atto del 21 aprile 1809 con il
quale l’intendente Simone Colonna de Leca aveva ceduto alla
Confraternita la chiesa con alcune rendite censuali per il suo
mantenimento (59). In data 31 gennaio 1872 dal Ministero dell’interno
giunse l’ordine di procedere all’esproprio del tempio per causa di
pubblica utilità col pagamento di un indennizzo. Nel frattempo
l’esecuzione del progetto, redatto da Luigi Davini ingegnere del Genio
civile e approvato nell’agosto del 1872 fu rinviato, su proposta del
governo, al successivo anno per mancanza di fondi in bilancio (60).
Contemporaneamente alle numerose trattative che intercorrevano per
l’isolamento del carcere tra il Governo e gli uffici locali, si cercava
di dare una soluzione anche all’annoso problema di sistemare le donne
recluse in locali più idonei e soprattutto di separare le "giudicabili"
e le minorenni dalle condannate e dalle prostitute e, a tale scopo, con
lettera del 29 maggio 1873 il Ministero dell’interno dispose che
l’ufficio tecnico del Genio civile redigesse un progetto d’arte per
elevare l’edificio carcerario di un secondo piano nel lato di
nord-ovest (61).
Intanto i confratelli della Congregazione dei Cinturati, alla quale
erano associate le più distinte e agiate persone della città e che dal
1809, nell’amministrare la chiesa, avevano erogato "vistose somme"
per restauri e nuove costruzioni come il campanile, progettato da Carlo
Forti nel 1820, "l’orchestra" ossia la cantoria nel 1839 e
l’altare maggiore, preoccupati oltremodo di evitarne l’abbattimento,
avanzavano proposte e soluzioni diverse sia alle autorità locali che
governative. Nei memoriali ribadivano che, tra le molteplici opere di
carità, prestavano inoltre la loro assistenza nel carcere ai condannati
a morte "durante il tempo che questi infelici stavano in Cappella
sino al momento della esecuzione" e che provvedevano al loro
trasporto come a quello di tutti gli altri defunti reclusi al cimitero
(62). Anche il vescovo aprutino Michele Milella, nell’inviare una
lettera al Ministro dei culti, faceva notare che la chiesa, era situata
nel quartiere più nobile della città, che a preferenza delle poche altre
accoglieva, per la sua ampiezza, una moltitudine di cittadini e che, se
abbattuta, sarebbe venuto a mancare un idoneo luogo per gli uffici sacri
ed infine che era da considerarsi come concattedrale poiché quando il
Capitolo aprutino non poteva officiare nel duomo si serviva di
S.Agostino. A seguito di ulteriori mediazioni condotte dal direttore
delle carceri Oliva con i confratelli della Congrega dei Cinturati
questi ultimi, il 26 giugno 1873, comunicarono al Ministro dell’interno
la proposta di cedere, a titolo gratuito, quella parte della chiesa che
occorreva ad isolare il carcere dichiarando inoltre di impegnarsi a
pagare tutti i lavori occorrenti ed a ricostruire, nel miglior modo, la
restante sezione del tempio scongiurando così la distruzione di "pregevolissimi
dipinti in affresco di rinomati autori e di sepolcri gentilizi"
(63).
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Teramo, Piazza S.
Agostino, 1906 |
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Teramo, Piazza S.
Agostino, anni '20 |
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Dopo una prolungata serie di carteggi intercorsi tra il Prefetto e il
Ministero dell’interno - Direzione delle carceri, si raggiunse
finalmente un accordo con la stipula di una puntuale ed accurata
convenzione conclusasi il 1 aprile 1875 tra l’Arciconfraternita dei
Cinturati, rappresentata da Raffaele Quartapelle, e il Prefetto della
provincia Luigi Maccaferri, delegato del Governo. Con tale intesa il pio
sodalizio cedeva gratuitamente quella parte della chiesa necessaria per
l’isolamento del carcere e si impegnava a costruire il muro di
demarcazione a sue spese in cambio della possibilità di poter riadattare
la parte restante della chiesa o, volendo, di ricostruirla liberamente
ex novo, sempre a sue spese e suo esclusivo interesse (64).
Difatti, su progetto dell’architetto Giuseppe Lupi, la chiesa venne
prima ristretta sul lato sinistro ma poi demolita per esigenza di
sicurezza ad eccezione dell’oratorio nel quale, tra altre settecentesche
opere pittoriche, Giovan Bernardino Delfico
aveva firmato nel 1853 gli affreschi della volta e dei pennacchi
raffiguranti rispettivamente l’Apparizione della Vergine a S. Monica e i
quattro Evangelisti.
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Bernardino De Filippis Delfico
Bozzetto Madonna della Cintura |
Bernardino De Filippis Delfico (1853)
Madonna della Cintura |
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Ignorando completamente il preesistente e antico impianto a tre
navate e distruggendo ogni testimonianza visiva della presenza
agostiniana a Teramo (65) il tempio fu ricostruito in stile
neoclassico ad una navata dove, su ogni lato, si aprivano sei
cappelle decorate da rilievi a stucco.
Durante i lavori di riedificazione, nei primi giorni di febbraio del
1878, la "cronaca cittadina" del Corriere Abruzzese riportava
la notizia del crollo della volta della chiesa che causò non pochi
problemi alla Confraternita e, forse, la morte stessa
dell’architetto Lupi colpito da "apoplessia" il 17 febbraio,
a qualche giorno di distanza dall’avvenimento.
Dopo la sua riapertura al culto avvenuta nel 1889 (66), i Cinturati
pensarono di dotare la chiesa anche di un nuovo pulpito e lo
commissionarono allo scultore teramano Luigi Cavacchioli (67) ma,
col trascorrere degli anni, la chiesa di S.Agostino perse l’antico
prestigio e la considerazione del popolo come dimostra una istanza
dell’Arciconfraternita del 14 ottobre 1911 con la quale chiedeva al
vescovo Alessandro Zanecchia Ginnetti di trasformarla in parrocchia
per la decadenza delle pratiche devozionali, per la mancanza di
fedeli forse causata dal fatto che il loro cappellano, a seguito
delle rinnovate disposizioni vescovili, non poteva né confessare e
né predicare. In seguito, il Concordato del 1929, sancito tra la S.
Sede e il Regno d’Italia, stabilì il passaggio di tutte le
Confraternite alla diretta dipendenza dell’autorità ecclesiastica
diocesana e così avvenne anche per quella dei Cinturati con un
verbale a firma del priore Gerardo Ferrara che reca la data del 9
ottobre 1935 (68). Il vescovo Gilla Vincenzo Gremigni, con bolla del
28 agosto 1948, elevò poi la chiesa di S.Agostino a parrocchia del
quartiere di S. Giorgio con immissione nel civile possesso da parte
dell’Ufficio amministrativo diocesano del 15 luglio 1950 (69). Negli
anni ’60 la chiesa, divenuta Vicaria curata della Cattedrale, venne
chiusa al culto e, dopo ulteriori restauri, fu nuovamente aperta per
l’officiatura della sola liturgia domenicale.
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Teramo, Piazza S.
Agostino, oggi |
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Teramo, Chiesa di S.
Agostino, Oratorio |
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Dell’antico splendore della chiesa e del convento agostiniano, del
ruolo spirituale e sociale poco o nulla è rimasto nella memoria
collettiva anche perchè, come si è visto, la chiesa medievale fu
abbattuta. Copiose invece sono le fonti documentarie nelle quali le
tracce dei numerosi lavori compiuti o solo progettati sono una
evidente conferma che gli sforzi di adeguamento alla funzione
carceraria, susseguitisi per quasi due secoli, furono la principale
preoccupazione delle diverse amministrazioni centrali sia di antico
regime come delle francesi e borboniche sino alle post unitarie e
ciò, purtroppo, in pregiudizio della conservazione della
testimonianza storica costituita dalla originaria funzione del
complesso conventuale.
La perdita di identità cui l’antico monastero di S.Agostino è andato
incontro attraverso le diverse sovrapposizioni e il ventennio di
abbandono, dopo il trasferimento del carcere nella nuova casa
circondariale, è un dato ineliminabile. L’auspicio è che la
destinazione a sede dell’Archivio di Stato possa in parte recuperare
e restituire alla cittadinanza un edificio plurisecolare col suo
valore storico ed architettonico che ha di certo rappresentato una
importante realtà per la vita religiosa e civile della città di
Teramo.
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S. Agostino, Chiostro |
S. Agostino, interno lato sud
dopo restauro |
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(3) Nel passo della Bolla, riportato incompleto e che non
permette in tal modo di avere un senso compiuto della frase, è scritto
"Rogamus itaque Universitatem vestram et hortamur in Domino, in
remissionem vobis peccaminum iniungentes, quatenus ad Ecclesiam
dilectorum filiorum Prioris, et Fratrum Eremitarum Teramen. Aprutinae
Diocesis Ordinis S.Augustini, quae in honorem BB.Apostolorum Philippi e
Jacobi constructa esse dignoscitur". Cfr. Tomas de Herrera,
Alphabetum Augustinianum,in quo Praeclara Eremitici Ordinis germina,
virorumque, et faeminarum domicilia recensentur,Tomo II, Madrid
1644, p. 475.
(4) Cfr. Luigi Torelli,
Secoli Agostiniani Overo Historia Generale Del Sagro Ordine Eremitano
del Gran Dottore di Santa Chiesa, S. Aurelio Agostino Vescovo D'Hippona
Divisa in Tredici Secoli ...Composta, e data in luce dal R.P.F.
Luigi Torelli da Bologna Maestro in Sagra Teologia, Historiografo, e
Predicatore Generale dello stesso Ordine,
Bologna, Giacomo Monti,
1659-1686, vol. IV, p. 745;
(5) Augustin Lubin, Orbis
Augustinianus, sive Conventuum ordinis Eremitarum Sancti Augustini
chorographica et topographica descriptiio…, Parigi, presso Egidio
Alliot, 1672, p. 107; Nicola Crusenio,
Pars Tertia Monastici Augustiniani completens epitomen historicam ff.
Augustinensium a magna unione usque ad an. 1620,
con aggiunte di G. Lanterio, Valladolid, 1890, p. 298.
(6) Il 17 dicembre 1649 papa Innocenzo X emanò una
Lettera Apostolica con la quale, volendo arginare il problema della
crescita incontrollata dei piccoli conventi, ordinò che si facesse un
censimento delle comunità di tutti gli Ordini Regolari per conoscerne la
situazione patrimoniale e i Religiosi che vi risiedevano, disponendo
successivamente la chiusura di quelli che non avevano almeno dodici
frati. Cfr. Emanuele Boaga, La soppressione innocenziana dei piccoli
conventi, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 1971.
(7) Alla luce di quanto evidenziato sulla data di
fondazione di S.Agostino è opportuno precisare che l’ordine temporale
degli insediamenti monastici nella città di Teramo, va ordinato nella
maniera seguente: Minori conventuali di S.Francesco, 1227, Agostiniani
1268, Domenicani 1287. Cfr. N. Palma, Storia cit., vol. IV, pp.
597- 608.
(8) Archivio Generale Agostiniano, Roma, Relationes
Innocentianae 3/1. Abruzzo-Calabria, pp. 11-13.
(9) In alcuni documenti è indicato l’anno 1262. Cfr.
Archivio di Stato Teramo, d’ora in poi A.S.Te, Prefettura II 8, serie
I, parte I, cat. 17, b. 14, f. 102.
(10) L’altarino dedicato alla Madonna del Soccorso era
ornato da un affresco che la rappresentava attribuito a Giacomo da
Campli, pittore attivo nella seconda metà del XV secolo. Distaccato e
montato su tela si conserva nelle sale della Pinacoteca Civica di
Teramo, Cfr. Pinacoteca Civica di Teramo: catalogo dei dipinti, delle
sculture e delle ceramiche, Cinisello Balsamo (Mi), Pozzi, 1998,
pp. 22-23.
(11) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat.
17, b. 14, f. 102.
(12) Per dettagliati riferimenti storici e bibliografici
sul Polittico e su Jacobello del Fiore cfr. Fausto Eugeni, Atlante
Storico della Città di Teramo. Repertorio di vedute, incisioni,
planimetrie, dipinti, immagini fotografiche da Jacobello del Fiore alle
prime fotografie aeree (secoli XV-XX), Teramo, Ricerche & Redazioni,
2008, pp. 18-25.
(13) Cfr. Omaggio che al piissimo e clementissimo Francesco II Re del Regno
delle due Sicilie in occasione che nel fausto giorno 16 ottobre 1859
prendeva possesso della Prefettura perpetua dell’Arciconfraternita de’
Cinturati e del SS. Sacramento…Teramo, Quintino Scalpelli, [1859] e
in Archivio Generale Agostiniano, Roma, Relationes
Innocentianae 3/1. Abruzzo-Calabria, pp. 11-13.
(14) Francesco Savini, Statuti del Comune di Teramo
del 1440, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1889, libro I, p. 36.
(15) Francesco Savini, Il comune teramano, Roma, Forzani
e C. Tipografi del Senato,1895, p. 429.
(16) A.S.Te, Comune di Teramo, serie II - Catasti, b. 4, vol. 1.
(17) A tal proposito nel fondo notarile, esaminato a
campione, vi sono alcuni atti pubblici nei quali, alla presenza del
notaio, del giudice ai contratti, dei testimoni e dei monaci
Agostiniani, dentro la chiesa di S.Agostino diverse donne dichiaravano
deliberatamente per la salute della loro anima, in lode e onore della
Santa Madre Monica, di voler osservare l’obbedienza e la castità "cum
manta" e di volersi istruire nella Religione agostiniana per tutta
la loro vita. Queste donne erano conosciute anche come mantellate, pie
donne aggregate al terzo ordine di S.Agostino, cosiddette per il velo
nero che si avvolgevano, note anche come terziarie. Cfr. A.S.Te, Atti
dei Notai, not. Febo Di Febo di Teramo, b. 91, vol. 2, anno 1614.
(18) Archivio Generale Agostiniano, Roma, Relationes
Innocentianae 3/1. Abruzzo-Calabria, pp. 11-13.
(19) Ivi.
(20) Cfr. Salvatore Rubini, Una tela di Giacinto
Brandi nella Chiesa di S. Agostino in Teramo, in "Teramo" Bollettino
mensile del comune, gennaio 1933, n. 1, pp. 26-27.
(21) N. Palma, Storia… cit., vol. V, pp. 336-337.
(22) N. Palma, Storia… cit., vol. III, p. 413.
(23) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – serie Reali
Dispacci, b. 20, vol. 80, c.246 v.
(24) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del
Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.27. La copia della supplica
è allegata al verbale del generale parlamento tenuto il 2 settembre
1780.
(25) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – serie Reali
Dispacci, b. 20, vol. 80, c.416 v.
(26) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del
Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c. 27 v.
(27) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – Reali
Dispacci, b. 23, vol. 83, c.21 v.
(28) Fondata nel 1788, era l’organismo che, dopo aver
criticamente preso atto delle condizioni economiche e morali della
provincia di Teramo per poterne individuare e curare i mali, divenne
propulsore del movimento che si prefiggeva di sostenere e promuovere
l’agricoltura ed il commercio. Ne facevano parte, tra gli altri,
Gian Filippo e Melchiorre Delfico,
Vincenzo Comi, Berardo Quartapelle, Alessio Tullj, Fulgenzio Lattanzi.
Nel 1810 si trasformò in Società Economica. Cfr. Guido de Lucia,
La Società patriottica della provincia di Abruzzo
Ulteriore I (Teramo). 1788-1798,
in "Rivista di Storia dell’Agricoltura", a. V [1965], n 3-4.
(29) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del
Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.69.
(30) Cfr. Vincenzo Clemente, Rinascenza teramana e
riformismo napoletano (1777-1798), Roma, Edizioni di storia e
letteratura 1981, p. 428 e segg. e A.S. Te, Comune di Teramo, Pubblici
consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, cc. 109 v.-110 r.
(31) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – Reali
Dispacci, b. 23, vol. 83,c.179 r.
(32) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del
Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.104 v.
(33) Ivi, c.613 v.
(34) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – Reali
Dispacci, b. 24, vol. 84, c.44 r. e v.
(35) Biblioteca Provinciale "M. Delfico" Teramo,
Armadio Delfico, manoscritto autografo di M. Delfico.
(36) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del
Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.108 r.
(37) Ivi, c.150 v.
(38) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del
Parlamento decurionale, b. 1, vol. II,
c.114 v.-115 v.
(39) Luigi Coppa Zuccari, L’invasione francese negli
Abruzzi. 1798-1815, Roma Tipografia Consorzio Nazionale, 1939, vol.
III, p. 326.
(40) A.S.Te, Atti dei Notai, notaio Domenico
Antonio Gabriele Grue di Teramo, b. 795, vol. 35, c.142.
(41) A.S.Te, Atti dei Notai, not. Giovanni
Palombieri di Teramo, b. 1362, (1803),
cc. 93-100.
(42) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 968, f. 1.
(43) A.S.Te, Intendenza Francese, b. 31, f. 473.
Dallo stato delle prigioni compilato nel 1809, a due anni dal
trasferimento e, in ordine alla sicurezza si legge che "Il sito di
questo Carcere centrale della Provincia è una estremità della Città fra
il settentrione della medesima, attaccato da un lato alla chiesa dei
soppressi Agostiniani, con un largo sufficiente innanzi al suo ingresso,
ed un lato che è isolato ed è il più esteso e in distanza di due tiri di
fucile dal Fiume chiamato Vezzola, Restandovi intermedii un orto,
antiche mura della Città, ed il territorio di un privato. La
ventilazione, che si ha lungo il canale di questo conferisce alla
salubrità dell’aria che vi si Respira. Dopo alcuni riattamenti
ultimamente eseguiti la sicurezza è confirmata abbastanza. Solamente
sono malsane le Camere per la forza armata per la umidità essendo state
una volta magazzeni da conservar generi. Le stanze di detenzione sono
nel numero di 14 cioè due dette per il Civile, la prima inferiore detta
corsea capace ordinariamente di 40 individui ed in casi straordinari
anche di 70; la seconda superiore capiente di n. 45 nel primo caso fino
a 80 nel secondo. Di comunicativa con questa vi sono altre due camere
all’uso medesimo la più estesa della capienza di 5 a 9 persone e l’altra
più ristretta di 2 a 4 al più. Attaccata a quest’ultima vi è la camera,
che abita l’ajutante del Maestro di Giustizia adatta per un sol uomo.
Segue questa l’altra adatta alla detenzione delle Donne da capire 11 a
20 individui. Viene poi quella destinata per l’Ospedale delle donne
della capienza di 4 a 6 di esse. Vi è quindi l’Ospedale per i maschi di
due membri, l’uno e l’altro da contenere 19 a 30 dei medesimi. Una
camera inferiore detta Criminale è della capacità di ventisei a 50
Prigionieri. Esistono inoltre 4 segrete ciascuna sufficiente per un reo.
Tre sono le camere per il Custode adatte per n. 3 individui. E due per
la forza capaci di 16 armati".
(44) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 986, f. 1.
(45) Archivio di Stato Napoli, Decreti Originali,
vol. 32, ff. 88-94.
(46) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 986, f. 1.
(47) A.S.Te, Intendenza Francese, b. 34, f. 532.
(48) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 968, f. 10.
(49) La commissione era composta dall’ingegnere
provinciale Lodovico de Vito, assistito dai Deputati alle opere
pubbliche provinciali Giovan Michele Thaulero e Salvatore Corradi, dai
componenti la Commissione delle prigioni, Andrea Gentileschi delegato
dall’intendente, Gioacchino Villani Regio procuratore generale, Carmine
Ferrarelli, giudice di Gran corte delegato dal presidente della Gran
corte medesima e da Giorgio Manoja, amministratore delle prigioni in
A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 981/a, f. 23.
(50) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 981/a, f. 23.
Nel documento è descritta tutta la disposizione dell’edificio della
quale se ne riporta qualche breve stralcio: "…a pianterreno nel braccio
di ponente tre segrete separate da tre piccoli corridoi ed un camerino
addetto alla conservazione della "guillettina"… nel braccio di
mezzogiorno la scalinata che conduce al primo piano, il Corpo di guardia
esterno, l’androne, il Corpo di guardia interno, un passaggio, una
spaziosa cucina con focolajo alla Romana con fornacelle sotto la cappa
del camino, il portico… la facciata intonacata ed ornata di bugne
convesse negli angoli dell’edificio ed intorno ai vani di portone e di
bugne piane intorno ai vani a lume tutte di stucco sopra ossatura a
mattoni ed il cordone che corona il basamento parimenti coverto di
stucco sopra ossatura di mattoni, tutte le suddette bugne e cordone
tinte color gialletto sopra fondo color piperno… le mura intorno al
vaglio rivestiti a mattoni..il dippiù di fabbrica a pietra arricciata ed
imbianchita terminati da una merlatura a mattoni sostenenti i parapetti
pel passaggio della sentinella sulla sommità de’ muri ed una galitta
parimenti di fabbrica a mattoni nell’angolo tra ponente e settentrione…
nell’aia del detto vaglio una cappella con facciata decorata di ordine
ionico e frontone, con vano arcato nel mezzo coverta a volta di mattoni
in piano sotto del tetto con altarino alla Romana e cornice di stucco
intorno al quadro nel muro in fondo compita di stucchi e pavimenti di
quadri arrotati… nel braccio di levante al piano superiore cinque
segrete e al di sopra dell’ultima delle dette camere attaccate alla
Torre antica una camera al 2° piano per far simmetria col corpo di
fabbrica opposto… Nel piano superiore del braccio a ponente il
correzionale di sopra ripartito in quattro cameroni… nel secondo piano
della prigione antica l’ospedale e la prigione delle donne…".
(51) Il progetto non si conserva tra le carte della
Intendenza Borbonica ma è più volte citato. Cfr. A.S.Te,
Intendenza Borbonica, b. 969/2, f. 22.
(52) Ivi.
(53) Ivi.
(54) A.S.Te, Prefettura II 7, serie I, cat. 17, b. 1, f. 5.
(55) A.S.Te, Prefettura II 7, serie I, cat. 17, b. 2, f. 16.
(56) A.S.Te, Prefettura versamento ’95, serie I, cat.
2, b. 10, f. 14.
(57) A.S.Te, Prefettura II 7, serie I, cat. 17, b. 1, f. 9.
(58) La Confraternita dei Cinturati e di Maria SS. della Consolazione e del
Soccorso che, con decreto del 7 luglio 1851, aveva aggiunto anche il
titolo del SS. Sacramento fu sempre celebre e rinomata. Ebbe privilegi e
riconoscimenti da diversi pontefici per le pratiche di carità, per
l’esercizio frequente dei divini uffici, per l’alto numero dei
confratelli e per aver annoverato tra i prefetti due sovrani: Ferdinando
II e Francesco II. Si distinse però, come testimoniato in vari documenti
conservati presso l’Archivio di Stato, anche per i molti dissidi e le
numerose liti avute con le altre Congregazioni cittadine.
Particolare rilievo presenta la controversia con la Confraternita della
Madonna della Sanità, eretta nella chiesa dello Spirito Santo, che venne
denunciata dal priore dei Cinturati, come risulta dal verbale del 3
marzo 1796, perché da alcuni anni svolgeva la processione del Venerdì
Santo con le stesse modalità e in contemporanea a quella organizzata dai
Cinturati, con evidenti inconvenienti per l’ordine pubblico e disagi per
la devozione. Questi ultimi, sin dal tempo della loro costituzione,
avevano promosso l’organizzazione della predetta processione antelucana,
e ne vantavano l’esclusiva. La causa venne dibattuta a Napoli nella Real
Camera di Santa Chiara la quale, con nota del 24 marzo 1797, dispose che
entrambe le Confraternite potevano fare la processione ma con la
differenza che prima doveva uscire la Congregazione dei Cinturati
assegnando alla medesima due ore per il giro e, che ritiratasi questa,
poteva uscire la congrega dello Spirito Santo per altre due ore "affin
di evitarsi ogni futuro inconveniente, e sconcerto, senza potersi in
menoma parte contravvenire al sudetto stabilimento e sistema", cfr.
A.S. Affari Ecclesiastici, b. 30, f. 808. Le altre controversie
che agitarono per molto tempo i Cinturati erano relative
all’ordine di precedenza nelle processioni.
Per tale problema si pronunciò il Sacro Regio Consiglio con decreto
inviato da Napoli il 24 novembre 1785 col quale si stabilì che le
quattro confraternite cittadine si dovevano "alternare in ciascun
anno nell’esercizio della precedenza nelle pubbliche funzioni". I
Cinturati non accettarono tale risoluzione e inviarono alle autorità
competenti suppliche e ricorsi nei quali vantavano il titolo di
Arciconfraternita e di conseguenza il diritto di precedenza ma, anche
questa volta, i motivi addotti furono respinti con la determinazione del
Consiglio di Stato pervenuta da Napoli il 25 agosto 1848, cfr. A.S.Te,
Luoghi Pii Laicali – Corrispondenza, b. 284, f. 336. E’
opportuno, infine, fare accenno ad un altro lungo dissidio che agitò i
Cinturati e il comune di Teramo per il possesso del Polittico di
Jacobello del Fiore che, iniziato nel 1889 si concluse nel 1907 con la
restituzione del dipinto alla Confraternita.
(59) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat.
17, b. 14, f. 102 e Atti della Direzione, b. 35, f. 13.
(60) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat.
17, b. 14, f. 102.
(61) Ivi.
(62) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 986, f. 87 e
Luoghi Pii Laicali – Corrispondenza, b. 284, f. 336.
(63) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat.
17, b. 14, f. 102.
(64) A.S.Te, Prefettura versamento ’95, serie I, cat.
2, b. 3, f. 5
(65) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I parte II, cat.
17, b. 2, f. 13
(66) Cfr. Elisabetta Di Francesco, La chiesa ed il
convento di S.Agostino a Teramo. Notizie storico-architettoniche, in
Notizie dalla Delfico, n. 2/1990.
(67) Cfr. Teramo com’era, a cura di Fernando
Aurini, Clemente Dino Cappelli, Fausto Eugeni, Marcello Sgattoni, Roma,
Editalia Librerie dello Stato, 1996.
(68) Archivio Vescovile Teramo, busta sulle Confraternite
di Teramo.
(69) Archivio Vescovile Teramo, busta sulle Parrocchie.
Teramo Cattedrale, Rione di S. Giorgio (1873-1982).
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Lo studio è pubblicato in:
L'Archivio di
Stato di Teramo nei Conventi di San Domenico e di Sant'Agostino:
luoghi di storia, cultura e memoria
e
Il Plebiscito del 21 ottobre 1860, Teramo - Ricerche &
Redazioni Giacinto Damiani Editore - 2010,
mostre allestite in occasione dell'apertura della nuova sede di
Sant'Agostino, inaugurata il 14 ottobre 2010. |
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